“Gli anni di Cristo” è il nuovo lavoro discografico di Mobrici

da | Apr 3, 2023 | Interviste

Gli Anni di Cristo è il secondo lavoro discografico di Mobrici ed è uscito venerdì 31 marzo.

Dopo aver dato alla luce il suo primo album da solista durante la pandemia, il cantautore torna in una nuova veste, raccontandosi al suo pubblico in maniera estremamente sincera, riuscendo a comunicare sensazioni, sentimenti ed emozioni in cui tutti possono riconoscersi. Ascoltando questo album sembra di tornare un po’ ai tempi d’oro dell’indie. Gli anni di Cristo sa di ritorno al passato, ma anche di grande cambiamento.

Mobrici ha scelto di mettersi in gioco presentando un progetto vario e potente, in cui non manca di certo la sperimentazione. Quest’aria di novità la troviamo di certo in brani come Sexe, in cui un ritmo martellante e dei crescendo improvvisi sono il pretesto per introdurre il tema della liberà sessuale, oppure in Luci del Colosseo, dove dei synth anni ‘80 e un’orchestrazione all’italiana fanno da cornice al racconto di una storia vissuta a distanza.

Il Mobrici che conosciamo noi però è anche dolce, romantico ed a tratti malinconico; ce lo dimostrano brani come Piccola o Amore mio dove sei, il featuring con Vasco Brondi, una poesia messa in musica che Matteo ha scritto per l’amore della sua vita non ancora incontrato.

Amore mio dove sei?

Quante ne hai passate senza di me?

E quante volte al giorno hai pensato di piangere?

Nel disco c’è anche un’altra collaborazione importante, quella con Fulminacci. I due artisti hanno registrato una nuova versione di Stavo pensando a te di Fabri Fibra, brano che durante la scorsa primavera era entrato nella colonna sonora della serie tv Neflix, Fedeltà.

In questo disco c’è spazio anche per la riflessione su temi importanti come gli interrogativi sul futuro o la capacità di guardare alle storie del passato con uno sguardo più maturo. Un album denso, ricco di sfaccettature, ma soprattutto di verità. Mobrici si mette a nudo e si racconta in maniera diretta ed esemplare.

Noi di Cromosomi abbiamo avuto modo di fare quattro chiacchiere con lui ed abbiamo scoperto qualche aneddoto in più su questo splendido disco e sul suo modo di lavorare con la musica.

Scopriamo insieme cosa ci ha raccontato.

Prima di tutto, come stai?

Bene grazie, tu ?

Bene grazie. Se tu dovessi dare una definizione a questo album, anche rispetto al tuo precedente, cosa diresti?

Gli anni di Cristo.

Lo definiresti col suo titolo, perché?

Perché sono le canzoni che ho scritto nell’anno dei miei 33 anni. L’intento non era questo, io nella vita scrivo canzoni da quando sono piccolo. Quando mi è venuto in mente di pubblicare un altro disco avevo già tante canzoni che avevo scritto l’anno scorso, così ne ho scelte alcune e questo insieme di canzoni l’ho chiamato Gli anni di Cristo.

Quindi ne hai scartate alcune tra tutte quelle che preventivavi di includere nel disco?

Più che altro, tra tutte quelle che avevo scritto ho scelte quelle che mi piacevano di più. Quando devi scegliere dei brani da mettere dentro un album non è bello essere ripetitivi, avere delle canzoni simili anche per tematiche, quindi quando cerchi di variare devi necessariamente fare una selezione. Tutte le canzoni rappresentano un momento abbastanza chiaro di questo mio anno, con dubbi, domande, riflessioni, cazzeggio.  L’album mi rappresenta molto, le canzoni rispecchiano abbastanza fedelmente chi sono ancora adesso.

Se dovessi pensare a due/tre momenti cruciali della tua vita che sono stati importanti per la scrittura di alcuni brani, quali identificheresti e perché?

Più che pensare a dei momenti da ricordare, penso che ogni giornata abbia un valore molto alto, quindi tendo a non buttare via  niente di quello che c’è. Per me anche uscire a bere un caffè con un amico o una sera e fare le quattro del mattino possono essere esperienze che potrebbero cambiarmi la vita. Sono abbastanza aperto alle novità e a quello che potrebbe succedermi, quindi tutto è fondamentale.

C’è una canzone del disco che ricollegheresti a un’esperienza importante che ti ha lasciato qualcosa?

Tutte, ma se c’è qualcosa che conduce a un episodio è questa canzone che si chiama Luna. L’anno scorso alla fine di un concerto ho incontrato una ragazza prima di tornare in albergo. Quando succede così ti aspetti che ti chiedano una fotografia o che ti facciano dei complimenti. Questa ragazza invece aveva degli occhi quasi commossi e mi aveva fermato solamente per dirmi che non ce la faceva più, che era stanca della vita che faceva. Subito dopo mi ha chiesto un abbraccio e se n’è andata.  Non ho nemmeno avuto il tempo di rispondere. Questa scena mi è rimasta impressa nel cuore e nella testa per tanti mesi fino a che non ci ho scritto una canzone.  Io non so il nome di questa ragazza.

Quindi Luna è un nome di fantasia?

Sì, ed ho scritto questa canzone su questa ragazza che rifiuta il proprio riflesso sui vetri delle macchine mentre passeggia. Io spero che questa Luna stia meglio ora. Io non mi ricordo nemmeno come fosse fisicamente, magari la rincontrerò. Spero che questa canzone sia una risposta alla sua commozione.

Questa non è l’unica canzone che hai intitolato con un nome, corretto?

Esatto, l’altro nome è vero però ed è Sophia. Quella è una storia personale, travagliata come al solito. È bello però il fatto che degli episodi e delle situazioni di vita quotidiana molto normali finiscano nelle canzoni.

Ascoltando l’album si evince che tu racconti l’amore da diversi punti di vita. Qual è quello, se ce n’è uno, in cui tu ti ritrovi di più?

Sicuramente ci sono due facce. In Piccola c’è un sentimento di disperazione che si ha ripensando al passato. Quel tipo di sentimento mi emoziona molto perché è molto vero e vivo. Poi c’è un altro lato dell’amore che è quello che esprimo in Amore mio dove sei. Questa canzone l’ho dedicata all’amore della mia vita non ancora incontrato. Mi piaceva questa idea di esprimere vicinanza a qualcuno che non hai ancora mai incontrato e vissuto. Magari questa ragazza adesso sta a Berlino e fa una vita totalmente diversa dalla mia. Questa cosa mi divertiva e mi piaceva l’idea di dare una chance a una situazione che ancora non esiste.

Se un giorno dovessi incontrarlo quest’amore ti immagini di rivelargli come è nato questo brano e i sentimenti che porta dentro?

Io nella vita faccio molta fatica ad essere romantico e sentimentale come sono nelle canzoni, però la cosa difficile è riconoscere le cose belle quando le abbiamo davanti. È molto più facile guardarsi indietro e dare una forma ai nomi e alle cose che sono successe. Nel presente è un po’ più difficile quindi spero di farcela. Se dovesse essere veramente l’amore della mia vita, vorrebbe dire che quelle cose le riconosceresti in un secondo.

Ci stai lavorando su questo?

No, non ci lavoro perché questo tipo di situazioni ed emozioni devono arrivare. Se le ricerchi non verrai mai premiato perché l’aspettativa è molto più alta della verità.

Rispetto al tuo primo disco da solista pensi di essere evoluto come artista e di aver trovato una linea diversa per esprimerti?

Io penso di sì perché per forza di cose andiamo avanti quindi c’è sempre uno scalino dopo il primo. In questo caso, forse perché mi sento molto sicuro delle mie potenzialità, credo di essere riuscito a centrare dei temi che volevo trattare e a scrivere delle canzoni che volevo fossero esattamente così.

Per esempio, quali?

Nella loro diversità tutte, perché presentano delle situazioni diverse ma che se chiudo gli occhi immaginavo esattamente così. Per questo il mio obiettivo è totalmente centrato. Quando chiudi i dischi pensi sempre che si sarebbe potuto fare diversamente, invece, in questo caso sono pienamente soddisfatto. Adesso che è uscito il disco non è più mio quindi è come se mi sentissi un po’ disoccupato in un certo senso.

Ti era capitato di avere dubbi col tuo primo disco da solista?

Lì è stato un po’ diverso perché essendoci stata di mezzo la pandemia il disco ha avuto più fasi a livello di creazione perché si continuavano a rinviare le date dell’uscita per via di una situazione bloccata e non si potevano fare i concerti. Il disco doveva uscire a maggio, poi a luglio e poi era stato spostato a novembre. Molte canzoni che avrebbero dovuto esserci all’inizio le avevo scartate e ne avevo registrate di nuove; quindi, quel disco ha avuto un percorso un po’ strano, è figlio di quei tempi lì. Non per questo però lo sento distante da quello che stavo provando all’epoca, infatti molte canzoni di quel disco  saranno presenti nei prossimi concerti perché sono comunque canzoni della mia vita.

A proposito di concerti, ti troveremo in tour?

Sì, adesso ho due date a metà aprile a Milano e Roma che sono andate sold out, le sto preparando in questi giorni. Poi ho annunciato la data evento all’Alcatraz del 30 novembre. Mi è piaciuto avere questo obiettivo a lunga visione perché  io sono abituato a vivere la vita giorno per giorno, ma questo  concerto è un evento finale dove chiuderò questo anno di Cristo e chiuderò questo album. Mi piaceva l’idea di festeggiarlo così, ci saranno tanti ospiti e sarà una grande festa.

Non ci saranno altre date?

Ci saranno delle date quest’estate. Io sono più un amante delle date al chiuso perché è più vivo il contatto con chi viene a sentirti.

Al concerto di novembre troveremo tra gli ospiti anche Vasco Brondi e Fulminacci?

Penso di sì, a me piacerebbe. Ora ci sto ancora pensando ma ho in mente una situazione dove io riesca a portare, così come ho fatto negli album, questi amici e colleghi che rispetto molto, così che chi viene a sentire potrà percepire anche dal vivo tutta questa vicinanza che c’è con loro. Poi ovviamente, cantare dal vivo ha tutta un’altra dimensione.

Nel brano con Vasco Brondi sei stato tu a proporgli di scrivere la sua strofa?

Si, l’approccio è stato lo stesso di Povero Cuore con Brunori. Io avevo scritto la canzone e poi sentivo che in una parte mancava la voce di qualcun altro. Mentre due anni fa sentivo che era proprio la voce di Brunori a mancare, in questo caso in Amore mio dove sei sentivo Vasco con la sua voce, il suo stile di scrittura, il suo modo di interpretare. Gli ho dato uno spazio e carta bianca per poter intervenire;  quando ho ascoltato il brano registrato ho pensato proprio di aver scelto bene. La comunicazione tra me e lui in questa canzone è vera e lo si vede anche nel video. Io sono un grande fan della verità, dell’inseguire qualcosa che ha a che fare con l’anima; quindi, incontrare anche altre persone che vivono come me questo percorso nella musica mi rende felice.

Questa verità è quella che cerchi anche quando scrivi tu ?

Assolutamente, io sono totalmente schiavo della verità nelle canzoni, anche da ascoltatore mi accorgo subito se un brano è vero o no. Sono cresciuto con delle canzoni vere figlie della vita di tutti i giorni di altri artisti, quindi la musica mi interessa solo per questo.

Chi sono stati i tuoi mentori, gli idoli a cui ti sei affezionato anche per poetica?

Io sono cresciuto con Lucio Battisti, scoperto a sette otto anni. Poi sono arrivati i Beatles, e poi da lì ho scoperto tutti i vari cantautori italiani, De Gregori, Venditti, Tenco, De Andrè. Poi per tutta parte internazionale sicuramente sono state importanti band come gli Oasis, gli Strokes, però i  Beatles sono stati davvero un punto di riferimento. In questo disco li cito due volte perché da quando è uscito il loro  documentario Get Back mi sono riappassionato come un malato. C’è un brano che si intitola Revolver ,e proprio quando stavo scrivendo la canzone stava uscendo la versione rimasterizzata del loro album, poi c’è una canzone che si intitola Kaiserkeller che è il nome di un locale di Amburgo in Germania dove loro suonavano prima di diventare famosi. In questo locale c’era un palco in cui si esibivano con tre loro canzoni e poi c’era uno spettacolo di burlesque, così in alternanza. Mi sono immaginato questo locale sotterraneo molto fumoso, molto alcolico. Anche a questa canzone era già così , come sound, come stile, come sfogo, ho voluto dare questo titolo.

I Beatles sono un po’ come dei tuoi vecchi amici insomma…

Io li vedo come degli amici sì, oltre che come punti di riferimento di  vita. Jhon Lennon è un po’ la mia guida spirituale. Il bello della musica è che non muore mai nel senso che dei dischi pubblicati 30-50 anni fa possono essere tranquillamente contemporanei se ti serve sentire quel tipo di cosa in  quel determinato momento.

Tu che percorso segui quando scrivi? Hai qualcosa di impostato oppure col fatto che come dicevamo prima ti lasci ispirare da tutto non segui uno schema?

No non seguo niente, mi guardo allo specchio fisicamente e mi chiedo chi sono, cosa sto provando e lo scrivo. Io non sono uno che ha l’obbligo morale di scrivere, quando lo faccio è perché ho qualcosa da dire. Le canzoni  proprio da sole, ci metto pochissimo, evidentemente sono proprio degli sfoghi che devono essere lì in quel momento e devi dargli una forma solida. Ti assicuro però che se mi mettessi adesso al piano e tu mi chiedessi di scrivere una canzone io sembrerei uno che non lo ha mai fatto. Io tengo molto al riparo questo approccio molto naturale e molto ludico alla musica perché secondo me proprio perché la rispetto e rispetto molto il pubblico non mi va di prendere in giro nessuno e nemmeno me stesso.

Quindi non ti è mai capitato di avere dei blocchi da questo punto di vista?

No, almeno blocchi di lunga durata no, però mi rendo conto che io sto benissimo anche se non scrivo canzoni per due o tre mesi, non ne sento la mancanza e non mi interessa.  Tutto quello che sentite è frutto di un processo creativo spontaneo.

 

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