Baustelle a Roma: quando i secondi si confondono con le ore

da | Apr 15, 2024 | #Cromosomiintour

Alle otto e trenta della sera c’era ancora un filo di luce a Roma nonostante il sole abbia iniziato a tramontare un’abbondante mezz’ora prima. Le sagome dell’Auditorium Parco della Musica di Roma tardarono a essere investite dal buio; in fondo, era un buio pastello, colorato il giusto per permettere di vedersi, senza conoscersi. I semafori non smettevano ancora di funzionare e il vento portava con sé l’odore dei panini del track all’imbocco di via Pietro de Coubertin.

Se l’aspettativa è la risposta, la certezza o la completa chiarezza, rischiano di tradire i risultati. 

Il concerto inizia trovandoci catapultati nella stanza rossa de I segreti di Twin Peaks, serie ideata da Lynch e Frost. 

L’intelaiatura con il quale lo spettacolo musicale è cucito sulla rappresentazione cognitiva della serie statunitense è veramente esilarante: due stanze, una grande come quella della sala rossa e il full band e una che sembrerebbe essere l’anticamera con una parte acustica più intima dove il metafisico influenza la realtà.

I Baustelle già dai primi brani ci fanno accomodare in un mondo straniante in grado di far perdere l’orientamento, collocandosi nella prospettiva del non luogo musicale. Ascoltiamo persone, ascoltiamo l’istinto, ascoltiamo l’ambiente e definiamo in maniera univoca lo spazio che ci circonda.

I suoni sembrano distratti e pongono un confine fra accettabilità e accettazione attraverso connotati ideologici che nulla hanno a che fare con la banalità e con la leggerezza.

É una penna studiata e calibrata quella dei Baustelle, così come le personalità di Francesco Bianconi e Rachele Bastreghi; due figure che nude con la propria voce riempirebbero uno spazio di quasi tremila persone come lo spazio costruito da Renzo Piano.

L’impressione è quella di essere investiti a tutti gli effetti da un concentrato di paesaggi sonori, racconti vividi messi ben a fuoco e poi suoni formalizzati e sensibili di varia natura presenti in un orizzonte culturale che nell’ultimo periodo sembra decisamente esserci sfuggito di mano. 

I Baustelle offrono molteplicità coinvolgenti di punti di frantumazione della società e delle persone che la abitano mettendo in mostra una complessa atmosfera, mediante un progetto creativo di design acustico e visivo che nulla ha da invidiare alle esposizioni sonoro-museali più rappresentative. 

Le luci s’incontrano, s’abbracciano come edera sui muri. Le linee si disegnano su dei piani geometrici animati dai corpi dei musicisti. I ritmi e i contorni si piegano al servizio di una musica che è più che mai evocativa. 

É durante il momento acustico che s’infiamma veramente la Sala Santa Cecilia e da lì con un crescendo rossiniano d’intensità, calore, azione scenica e musicale, i Baustelle ci traghettano verso un happening in cui rimaniamo assorti a goderci il tempo. 

Un tempo che in quell’istante sembra essersi bloccato in una platea davvero agitata, in una galleria che vorrebbe prendersi la prima fila, in quel papà che con una mano cerca di fare uno zoom sul palco e con l’altra accarezza la coscia di sua figlia che dorme rannicchiata sulla poltrona o in quella signora anziana che accenna una parvenza di balletto mentre il marito a mezza bocca canta le canzoni e con un’occhio di sguincio controlla i risultati della schedina. 

Si ferma tutto il mondo che ci circonda e come accade da sempre con la musica dei Baustelle, arriva la dimostrazione che le distorsioni cognitive molto spesso raccontano che l’uomo è fallibile in ogni sua interpretazione che fa del luogo che abita. Un mondo che fuori da quella sala da concerto ci sta portando via, pezzo dopo pezzo, tutta l’emotività e l’impulsività.

E come diceva qualcuno, insomma noi ci sforziamo anche di andare a tempo con la vita ma Achille non raggiungerà mai la tartaruga se la vita non prova a rispettare il nostro tempo.

I Baustelle riescono sempre a creare questa magia per la quale la lancetta dei secondi si confonde con quella delle ore.

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