In occasione dell’uscita del nuovo album di Fulminacci, Infinito+1, siamo entrati nel mondo coloratissimo creato da questo giovane cantautore.
Infinito+1 è il terzo album in studio di Filippo Uttinacci, in arte Fulminacci. Un artista che è riuscito a dare un nuovo volto al cantautorato italiano, mischiando elementi più classici alla Battisti, insieme a sfumature che ricordano molto Daniele Silvestri, ma senza tralasciare elementi indie-pop. In questo ultimo album non mancano infatti le sue chitarre inconfondibili e i cori travolgenti, ma c’è uno spazio dedicato ad un Fulminacci pop, con alcuni brani che ricordano delle hit da radio, come testimonia il featuring con i Pinguini Tattici Nucleari.
Autentico, emotivo, musicalmente geniale, sono i primi tre aggettivi con cui è possibile descrivere questo disco. Filippo lo annuncia in un video personalissimo, che rispecchia appieno la sua creatività, dove dichiara di voler dedicare questo album a chi si emoziona per le piccole cose, e noi ne abbiamo parlato con lui.
Filippo, come vivi la tua sensibilità? Ti ha mai fatto stare male?
Forse mi ha fatto stare male il percorso che mi ha portato a capire questa cosa. Quando uno pensa che le cose devono essere per forza grandi, ha delle aspettative che vengono disattese. Ci sono delle piccole cose nella vita quotidiana che sono bellissime e ti fanno stare bene. Prima non le guardavo, invece adesso sono la mia felicità, che non è un’esplosione, ma una costante. Questa è la soluzione.
Ad esempio? Cosa potresti citare?
“Avere tantissime bellissime relazioni umane: una relazione d’amore, e tante relazioni d’amicizia dove posso essere come sono. Questa per me è tutto.”
Rimanendo su temi intimi relativi a questo disco, Fulminacci è riuscito a trasmettere un messaggio importante: l’importanza di non dimenticarsi mai di essere bambini.
L’ha fatto proprio con la stessa semplicità con cui l’avrebbe fatto un ragazzino che guarda ancora il mondo con stupore.
La chiave della vita è conservare una parte bambina sempre. Le persone a cui mi affeziono di più sono quelle che si permettono di dire cose un po’ stupide. Quando uno non è bambino io lo vedo, e mi dispiace. Io sono in perenne contatto con la mia infanzia, mi sforzo di trovare e conservare i ricordi. Il bambino è onesto: puoi essere stronzo anche in modo importante, ma c’è una cattiveria piccola, non reale. L’opinione del bambino è una cosa preziosissima. I bambini sono una chiave di lettura della vita.
Ma pensandoci… hai mai riflettuto sullo scrivere un pezzo con un bambino?
Sai che è un’idea molto interessante? Poi magari mi incazzo, inizio a dire “senti basta..” Magari non ci riusciamo, però potrebbe essere divertente.
L’arte di Filippo è unica nello scenario italiano: si passa da ballad romantiche a strofe più argute dove nulla è lasciato al caso. Le sue parole si alternano con maestria e scioltezza, riuscendo a lanciare messaggi chiari, e ad emozionare con un’emotività rara.
Ma come si sviluppa il tuo processo creativo?
Ci sono più modi diversi. A volte sto a casa da solo, scrivo un pezzo e poi lo arrangio in modo veloce per avere un’idea e poi andare in studio. In questo disco invece ho avuto un approccio più istintivo. Alcuni pezzi li ho registrati in memo vocale, per poi lavorare col produttore per dare all’album un’identità. Altre cose sono nate proprio in studio, con Okgiorgio, il mio produttore. Questa è stata una cosa nuova: puoi subito fare le cose per bene e vederle riuscire.
Un altro tema affrontato spesso dall’artista è quello della satira sociale: basta pensare a Borghese in Borghese o Ragù.
In questo caso dove ci si piazza: dentro questa mischia che è la società o fuori?
Io mi sento sicuramente più introverso, però non mi sento escluso… mi sono ritagliato il mio mondo, da sempre. Ho incontrato persone che si trovano bene con me e io con loro. Non sono un tipo totalmente socievole e che ha voglia di novità, però ad esempio in questo disco mi sono sforzato di essere diverso e di uscire dalla comfort zone. Se non stai scomodo, non stai cambiando niente di te stesso.
E parlando delle tracce: qual è la canzone a cui sei più affezionato, e quella, se c’è, che ti piace meno?
Ci sono canzoni che non mi piacciono, per questo non sono nel disco. È stato bello anche sbagliare: ci sono cose che ho scritto ma poi ho buttato perché mi facevano schifo. Non ho una canzone preferita, ma posso raggrupparle. Per esempio Occhi grigi, Così Cosà e La Siepe sono delle canzoni emotive. La Siepe è la prima che ho scritto del disco, la più personale, parla solo di me, è un pezzo sincero che racconta delle mie paure.
L’artista racconta come il disco abbia un duplice volto.
È un disco sia molto pop che molto personale, c’è una netta divisione. Ci sono pezzi come Puoi e Baciami Baciami che sono il massimo del pop. Ho una doppia anima che non rinnego. Non ha senso dire “non apprezzo niente del pop” o “non apprezzo ciò che passa in radio”. In radio passano tantissime cose che mi fanno schifo, e tante che amo. Ci sono canzoni di nicchia che amo e non capisco perché non siano di tutti, e altre che non mi piacciono. Esistono canzoni belle e canzoni brutte.
Infine siamo voluti andare alle radici di tutto il percorso, chiedendo a Filippo quando ha capito che avrebbe fatto della musica il proprio mestiere.
In verità è successo quando ho avuto l’occasione di farlo, i miei pezzi sono arrivati nelle mani delle persone che tuttora sono al mio fianco e mi lasciano libero di fare la mia musica. Ma prima era un gioco. Non è scontato, ho capito che si poteva fare quando non era più soltanto una passione. Io questo non lo vivo come un lavoro perché non ho mai avuto pressioni. Il disco parla chiaro: sono io sia nelle scelte pop, che in quelle personali.
Fulminacci ha concluso con una dichiarazione di gratitudine che ha confermato il suo animo genuino:
Fare per lavoro ciò che fai per passione è un miracolo. È una cosa per cui ringrazio il destino tutti i giorni, perché è incredibile, è stupendo e non me lo devo dimenticare.