Il tour invernale di Davide Petrella, in arte Tropico, sold out praticamente ovunque, il 13 e 14 dicembre è passato per Roma. Il concerto è stato uno spettacolo di passione e poesia, di incredibile bellezza e qualità, grazie anche all’accompagnamento di musicisti incredibili. Stimando tantissimo sia la persona che l’artista, ne abbiamo approfittato per scambiare quattro chiacchiere con Davide. Ecco cosa ci siamo detti.
Ciao Davide ti seguiamo sempre con affetto e abbiamo visto nascere e crescere questo ultimo album fino ad arrivare alla sua pubblicazione completa. La prima parola che mi viene in mente è “viscerale”, riferita a 3 ambiti verso i quali sembri provare un amore e un’attrazione incredibile: le tue canzoni, la tua gente e Napoli. Abbiamo visto giusto?
Hai visto bene. I Napoletani in generale sono gente di sangue. Ognuno si tiene la strada che gli capita. A me è capitata la gavetta più violenta degli ultimi 20 anni di musica, ne ricordo poche così. O ci credi veramente o ti dedichi ad altro. Io faccio Musica da sempre, ma con il progetto Tropico è cambiata la percezione delle gente. Nei live mi hanno fatto capire che è questa la roba con cui posso fare la differenza. Io voglio arrivare dove merito, ma in modo pulito, senza boost, con il focus sulle canzoni e le persone . Il mio lavoro da autore mi da la possibilità di fregarmene dei soldi, vivendo in funzione della mia fame da artista e basta. L’experience segreta organizzata per i fan in questo tour o il release party in barca, sono tutte cose a spese nostre per restituire alle persone quello che mi stanno dando, essendo loro il motore di tutto. Con la semplice condivisione e il passaparola, stanno spingendo talmente tanto dal basso, che ci stanno aprendo inevitabilmente nuove porte che fanno ben sperare per il futuro.
Magari in questo modo servirà più tempo, ma così mi da proprio gusto e soddisfazione. Ho bisogno di rendermi la vita un po’ complicata per essere motivato. Ma io sono nato per fare questa cosa. Da ragazzino giocavo a pallone e scrivevo le canzoni. Io so dove devo andare. Io riempio gli Stadi. Punto. Ci metto 2,3,5, 20 anni, ma quello è il mio destino.
Da Non esiste amore a Napoli a Chiamami quando la magia finisce, due album che sembrano strettamente connessi a partire dalle rispettive copertine. Nel primo tu ed una donna, di fronte ma separati. Nel secondo tu e la stessa donna, che ti abbraccia da dietro, stavolta insieme. Che ci racconti a riguardo?
Eh me la sento calda, vi do uno spoiler. Quando è nato il progetto avevo basse aspettative perché la vita mi ha dato tante bastonate, ma poi hanno iniziato a girare un po’ di cose. I due dischi sono effettivamente collegati, ma non sono due. Sono tre! Tre album collegati graficamente, per le storie, per le canzoni. E’ un pacchetto che spero avrà senso alla fine del cerchio. Io subisco molto l’innamoramento del disco e non della singola canzone. Nel farlo do sempre il 100%, come se dovesse essere l’album della vita. Con il successivo si deve ripetere il processo e mi deve dare la stessa botta. Per questo secondo album ho scritto una quantità di canzoni incredibile per arrivare poi al prodotto finale.
Quindi vedremo qualche canzone di queste nel terzo album?
No, io sono dell’idea che le canzoni o ce la fanno o non ce la fanno. E se un brano non ce l’ha fatta una volta, non può farcela in futuro, in un altro album. Quindi la canzone muore e viene scartata per sempre e vi assicuro che ne butto tantissime.
Il progetto Tropico ha trovato la sua personalissima strada, senza piegarsi a logiche di nessun tipo. Hai ribadito più volte sui social questo concetto, della libertà di fare finalmente quello che vuoi, protetto dal tuo pubblico sempre più numeroso e fedele. Cosa è cambiato rispetto a prima?
Io sento veramente un legame con le persone che mi stanno scegliendo, senza che vengano veicolate da radio, Spotify o altri meccanismi come Sanremo. Noi stiamo fidelizzando gente attraverso il nostro lavoro di qualità. Se ora le cose stanno andando così è perché abbiamo lavorato bene con l’album e il tour precedente. Siamo 10 musicisti sul palco, tutto live, tutto riarrangiato, uno sbatti incredibile. Siamo un’anomalia. Ci vorrà più tempo, ma voglio che la crescita di Tropico sia legata solo alla musica che facciamo e alle canzoni. Il mio pubblico è bellissimo e mi emoziona, c’è un rapporto di fiducia. Sento che stanno investendo su di me, come io sto investendo su di loro. A Napoli farò il mio primo palazzetto ed è andato sold out, è un segnale e dovrà essere magico.
Nel tour stiamo vedendo numeri senza senso. Abbiamo meno visibilità e numeri sulle piattaforme di altri, però poi nei live la situazione si ribalta. Questo perché, nel nostro caso, la gente è veramente attaccata alle canzoni e sta spingendo dal basso. Sono molto più contento di questo Tour sold out che di aver vinto 1º e 2º posto come autore a Sanremo, 10 a 0 proprio, non c’è gara. Il focus è sul mio progetto.
Sembri legatissimo ad ogni tuo pezzo, quasi fosse un figlio. Come si fa a scegliere la scaletta di un concerto partendo da questa premessa? Esiste un brano al quale sei particolarmente legato?
Non riesco a scegliere una canzone preferita, anche se riconosco l’importanza di qualche brano specifico per il mio percorso. Non esiste il pezzo riempitivo in un mio disco. Anche i brani che non hanno le caratteristiche per essere il singolo di punta, dietro hanno magari un lavoro di sperimentazione maggiore. Anche la scaletta è così e sceglierla è stata una vera e propria tragedia. Nonostante suoniamo due ore, siamo costretti a lasciare fuori molti di pezzi che mi dispiace tantissimo non suonare. Ma se non facessimo così, sarebbe un concerto di tre ore e la gente si annoierebbe! Anzi mi annoierei anche io!
Sui social abbiamo visto che quando ti chiudi nel tuo processo creativo, ne sei totalmente assorbito. Appare come un processo doloroso in certo senso. Raccontaci di più.
Sì esatto, tutti i dischi miei sono la Morte Nera. Nelle canzoni ci sono sempre i fatti miei, romanzati ma comunque la gente deve capire che quello che sto cantando è reale. Per farlo, devo stare in strada e ammetto che, grazie al mio lavoro, ho la fortuna di avere una vita movimentata, che poi riesco a raccontare nella musica. Non sarei in grado di scrivere un disco comodo nella mia stanza o nel mio studio. Fare i dischi è bellissimo, ma per me è davvero tosta. In questo disco ci sono 14 brani, ma per arrivarci ne ho scritti più di 50. Tra queste ce ne sono alcune che erano troppo più forti e hanno oscurato tutte le altre. Ubriachi di vita e Chiamami quando la magia finisce, per esempio, mi hanno veramente messo le mani addosso.
L’anno scorso sei stato il vincitore nascosto di Sanremo, ne abbiamo parlato in un nostro articolo. Ti piacerebbe partecipare stavolta da vero protagonista?
Sì mi piace l’idea di andarci un giorno, ma non sono disposto a fare compromessi. Andrei con un pezzo mio importante, con poesia, profondo, senza strizzare l’occhio a nessuno. Ma la vedo molto difficile. Sarebbe come chiedere ad Amadeus di invitare un Jeff Buckley resuscitato. Sanremo sta spaccando negli ultimi anni, ma ricordiamoci che in ogni caso si tratta di televisione. La Musica sta di casa da un’altra parte e questo lo dobbiamo sempre tenere a mente. Io sono cresciuto dalla strada, dei soldi e della visibilità non me ne frega niente, voglio solo fare musica e avere gente ai miei concerti. Quindi se devo andare a Sanremo deve essere una cosa davvero importante, in cui io sia libero di essere me stesso, senza compromessi e mezzi termini. Non so se mai succederà, però sarebbe un sogno farlo così.
Parliamo delle collaborazioni nei tuoi Album. Siamo a Roma e, giocando in casa, abbiamo notato che l’unico artista presente in entrambi gli album è Franco 126. Avete un rapporto speciale?
Mi piace chiamare gente che reputo all’altezza di essere in un mio disco. Mi deve piacere dal punto di vista artistico, o vocale o di penna. Spesso ritrovo lo stesso modo di approcciare alla musica. Con Franchino siamo fratelli e ci vogliamo un gran bene, ma soprattutto artisticamente è una delle penne che mi piacciono di più insieme ad Edo (Calcutta), Silvano (Coez), Cesare (Cremonini). Sono fortunato ad avere tanti amici che stimo anche come artisti. Quando ho scritto Zona Nord ho pensato subito a Franchino perché sarebbe stato perfetto su quel pezzo. Non scrivo canzoni pensando di chiedere il feat., ma al contrario, faccio la mia musica e poi mi rendo conto improvvisamente che il brano sarebbe perfetto per la collaborazione con quel preciso artista. Pure con Ale (Mahmood) è stato esattamente così. Poi Fra (Madame), che tra le nuove leve è una delle migliori. Sono feat. belli anche in virtù di quella libertà di cui abbiamo parlato prima, perché anche gli artisti che chiamo si sentono liberi di fare cose che nei loro album non farebbero. Sul progetto Tropico è l’unico boost che accetto, perché il fatto che artisti anche più grossi di me accettino, rappresenta anche un bell’attestato di stima.
Daje raga, è stato un mega piacere.
Ci vediamo presto…chissà magari già in estate!