Non c’è storia per Geolier, il suo è un palazzetto che regge il confronto con la storia: quattro date sold out al Palapartenope di Napoli, e in un attimo il piccolo, ormai gruosso, rapper di Secondigliano esagera in grande stile.
C’è una strana cosa che accade quando un tour fa tappa a Napoli e che permette all’artista o alla band di prendersi tutto il calore fin nelle viscere. Il pubblico diventa casa accogliente perché è proprio quella stessa gente, in fila da ore per accaparrarsi un posto in prima fila, a fare della musica una tenera ossessione. Il trionfo di Geolier al Palapartenope era praticamente già scritto: d’altra parte Napoli è pur sempre la sua città e il giovane pubblico, a questo ragazzetto vestito da uomo, è particolarmente affezionato.
È felice Geolier, lo si vede dagli occhi che posa sui fan, dal viso incredulo mentre un palazzetto intero intona i suoi pezzi. È difficile mantenere un’energia costante sul palco e coinvolgere il pubblico per tutto il concerto, intanto Geolier è un paroliere feroce, un esibizionista in equilibrio che aspetta il momento di lanciarsi, poi il lancio lo fa e inevitabilmente alza l’asticella della sua performance.
Da Ricchezza a Poco/troppo, da Me vulve fa ruoss a Maradona è un susseguirsi di pura prestanza che non lascia il tempo alla sete, al riposo e men che meno alla noia. Il visual scenografico è studiato, contemporaneo e magnetico, i fedeli compagni alla consolle sanno perfettamente come guidare il ragazzo, ma è lui che ha in mano l’intera scena.
Solo lui conosce la sua gente perché conosce quanto può essere caldo l’abbraccio della sua musica.
È assolutamente plausibile il fatto che non tutti conoscano l’intera discografia di un artista. Ma il pubblico delle quattro serate, sold out in pochi giorni ormai da un pezzo, è stato quello delle grande occasioni: dal parterre, passando per le tribune riservate, tutti cantavano ogni singola parola dei testi che Geolier ha portato in scaletta. Anche la più vecchia Na catena non aveva bisogno di presentazioni né di incoraggiamento, anzi forse l’unico a non cantarla è stato proprio Emanuele. Non ne aveva bisogno.
La serata procede e Geolier non fa attendere a lungo i suoi primi ospiti. Non manca nessuno dei grandi della scena rap. “Lui è mio fratello” dice di tutti, presentando ognuno di loro. Perchè a Napoli è chiaro che il successo si fa insieme e chi parte da un rione sa cosa significa stagnare a lungo nella melma.
Arriva Rocco Hunt, poi proseguono Lele Blade, MV Killa, Paky, Roshelle e Luchè che letteralmente mandano il pubblico in visibilio.
Checchè se ne dica di questo ragazzo, adesso, esattamente nel momento in cui la periferia si affaccia alla metropoli e dimostra che non ha nulla da invidiarle, Geolier è un fenomeno chiaro, indiscutibilmente il numero uno della scena urban napoletana di questi giorni. È un punto di riferimento per le aree urbane italiane e questo tour è una testimonianza del potere della musica, delle sue possibilità e della sua inclusività. Napoli festeggia per celebrare chi ha realizzato i propri sogni con il sudore.
Emanuele è un sognatore e lo sappiamo, ma è una persona molto determinata che guarda già al futuro. I suoi sono sogni, certo. Ma soprattutto obiettivi da raggiungere.
Le sue canzoni hanno una storia da raccontare, una storia di vita, una storia di sogni, che anima i quartieri della sua città. E non è un caso che ognuna di esse abbia un rapporto stretto con molti giovani in tutta Italia. È proprio Il coraggio dei bambini a sancirgli quel posto tra i sudditi, di ragazzo spensierato che in Money canta
M’aggio scetate, me sentev’ triste cchiù ‘e ll’ati mmatine
Po’ pe m’arripiglià m’accatt’ ‘a cena ‘e settemila
ma che sa che oltre la fama, le auto, le tute Nike e Balenciaga, c’è un quartiere che ha bisogno di certe verità, di una codifica a cui, proprio lui, ci ha sempre abituati, storyteller di un mondo che ha rifiutato ma che lo attornia selvaggiamente.
È quel coraggio che gli è mancato da bambino ad essere insistente oggi tra il senso di responsabilità e la possibilità di sbagliare.
Era un bambino. Ma da quello stato di autoevoluzione è andato coraggiosamente avanti e non si è mai voltato indietro perché temeva di cadere e di perdere gli amici con cui aveva costruito tutto. Ma non è solo la musica a seguire questi fili.
Non sono solo la qualità della narrazione, il senso dell’espressione, le scelte linguistiche e musicali, ma anche l’espressione più sincera della sua evoluzione come uomo e le immagini che lo circondano a farci capire quanto sia cambiato il vero Emanuele Palumbo negli ultimi quattro anni.
Il prodigio è avvenuto: il sangue di San Gennaro si è sciolto. Geolier vince in casa 4-0.