Un segno di vita di Vasco Brondi: quel fuoco dentro che arde ed illumina tutto

da | Mar 15, 2024 | In Evidenza, Interviste, Recensioni album

L’incontro con Vasco Brondi per parlare insieme di Un segno di vita: di Alessia Pardo Abbiamo avuto il piacere di incontrare Vasco Brondi per ascoltare in anteprima il suo nuovo attesissimo album Un segno di vita, in uscita oggi 15 marzo per Carosello Records. Atteso perché è un ritorno, quello di Vasco, dopo tre lunghi […]

L’incontro con Vasco Brondi per parlare insieme di Un segno di vita:

di Alessia Pardo

Abbiamo avuto il piacere di incontrare Vasco Brondi per ascoltare in anteprima il suo nuovo attesissimo album Un segno di vita, in uscita oggi 15 marzo per Carosello Records. Atteso perché è un ritorno, quello di Vasco, dopo tre lunghi anni dall’ultimo disco Paesaggio dopo la battaglia (2021).

Brondi ci ha svelato, oltre a Un segno di vita,anche Piccolo manuale di pop impopolare (pubblicato con l’album nelle edizioni limitate di vinile e CD), un vero e proprio diario di lavorazione dell’album, un racconto che si intreccia in modo sorprendente con la musica stessa: un diario di bordo, un’esperienza che trasforma l’ascolto dell’album in un’avventura travolgente.

Tra aneddoti di scrittura, di registrazioni, di viaggi, concerti, incontri e riflessioni, Vasco ci ha presentato in maniera esaustiva Un segno di vita, che è un disco pieno di fuochi. Fuochi da custodire.

Ogni volta che mi approccio a fare un disco nuovo, la questione è togliere sempre uno strato in più e arrivare un po’ più nel profondo. Avvicinarmi non so se all’essenziale, al nucleo di me stesso, al nucleo incandescente della Terra: questa comunque è la cosa che mi accorgo che in ogni mio disco succede.

Un disco che si allontana dall’ultimo lavoro.

Da una parte sento che Un segno di vita sia molto più lontano da Paesaggio dopo la battaglia, che è il mio disco precedente. Quello, infatti, era un disco di ballate anche un disco lento, anche un disco in cui gli arrangiamenti sono strumenti fantasma, un po’ nascosti. Qui, invece, mi sembra tutto più in faccia, più semplificato, anche la voce è davanti.

Un segno di vita è un disco pop, in qualche modo.

Abbiamo creato delle sonorità che potessero essere in qualche modo più pop, poi un pop travisato da me, frainteso da me, che infatti diventa un pop impopolare. In Fuoco dentro dico “Segui la strada che nessuno ti indica”…io ho avuto come stella polare tutti quegli artisti che hanno seguito la strada che nessuno gli indicava, quella strada profonda molto personale, ma allo stesso tempo questi artisti sono stati molto popolari, molto attenti a raggiungere gli altri.

Penso a Battiato, a Lucio Dalla: tutta gente che ha trovato un suo modo di fare pop. Quindi mi interessava misurarmi con questa forma canzone, anche con il pop in qualche modo.

Le canzoni sembrano prendere vita propria, sfuggendo al suo controllo. Vasco scopre che la vera essenza delle sue composizioni si rivela in modo inaspettato, portandolo ad abbracciare una dimensione sperimentale e nuova nella sua musica.

D’altra parte ho visto che effettivamente sono uscite delle canzoni che non decido io, in Illumina tutto c’è questa frase che dice: “Non decidi tu i tuoi desideri”. Ecco forse uno non decide neanche le canzoni che fa, nonostante siano così importanti. Anche dopo quindici anni sento che non ho il controllo delle canzoni che escono. Ho anche smesso di dire: “Voglio fare un disco così, voglio fare un disco in un altro modo…” perché poi vedo dopo un po’ quello che esce, cosa succede. Anche adesso vi ho detto che ho voluto farlo così, ma in realtà mi sono accorto che scrivendolo c’era dentro di me evidentemente questa voglia di sperimentare questa dimensione per me nuova.

Perché pop impopolare?

Per me c’è qualcosa di inevitabile nelle canzoni che faccio…è come se la mia identità disinnescasse la hit: ho lavorato anche con produttori che hanno fatto chissà quale hit e quella di trasformarla in pop impopolare volente o nolente è quello che mi viene.

Nei brani questo connubio tra l’intimo e il pubblico crea un cortocircuito emotivo che Brondi considera essenziale per creare una sorta di documento storico dei tempi attuali, pur mantenendo una dimensione di eternità.

L’altra cosa che ho notato a posteriori è che sono quasi tutte canzoni d’amore, sono canzoni che conservano un’ intimità, ma che sono sempre collocate nel mondo contemporaneo.

È come se avessero una colonna sonora che è un telegiornale, anche se sono cose mie che conosco bene però c’è sempre il mondo contemporaneo fuori, quello che stiamo vivendo: c’è proprio questo intimo e pubblico che fanno un cortocircuito.

Per me è importante che le canzoni possano essere in qualche modo un documento storico degli anni che stiamo vivendo, ma che allo stesso tempo abbiano sempre una scintilla di eternità.

C’è un concetto di universalità nelle sue canzoni e, parlare delle piccole realtà che conosce bene, riesce sorprendentemente a toccare gli altri in modo profondo.

Mi rendo conto con il mio primo disco, che è passato come un disco generazionale, ed era un disco fatto pensando a quattro miei amici in 3 km quadrati di una città!      E questo mio parlare di una situazione piccolissima che conoscevo benissimo è stato una lezione per me. Poi, all’improvviso ho cominciato ad andare a suonare in città dove mai ero stato in vita mia e c’erano i ragazzi e le ragazze che cantavano questi pezzi e ci si ritrovavano.

Mi viene in mente anche Monicelli che diceva che per essere universali, per raggiungere gli altri dobbiamo parlare di cose minuscole e non di cose universali, dobbiamo parlare delle cose che sentiamo profondamente, che conosciamo bene.

C’è un tempo buono anche per ambire ad un tempo migliore?

Tutte le epoche dell’essere umano sono sono state tutte un periodo di transizione, non sono state né migliori né peggiori di altre: in ogni epoca c’è stata la sua guerra. Noi siamo molto accecati dal presente, da quello che non va. Per me è interessante non essere accecati solo da quello, per questo ho messo questa frase di Calvino anche nel libro (Piccolo manuale di pop impopolare) dove lui ne Le città invisibili dice che bisogna “cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” E credo, appunto che un segno di vita significhi anche questo, cioè nell’inferno cercare e dare spazio a quello che non è inferno.

E noi, prima di lamentarci di tutto il resto, dobbiamo essere attenti a non essere inferno.

La lotta interiore nei tempi moderni.

È un po’ un guardarsi dentro e un guardarsi attorno e, poi, tra l’altro in quest’epoca quelli che noi consideriamo tempi bui personali, di cui anche ci facciamo una gran colpa, derivano dal contesto in cui siamo: cioè siamo in una situazione in cui siamo stati addestrati a vivere di necessità in necessità, di ambizione in ambizione, di progetto in progetto fino a che uno non diventa matto sostanzialmente. E, tra l’altro, siamo paradossalmente tutti soli davanti a questa situazione, perché si vive individualmente, no? Quindi in questo senso c’è anche una lotta interiore: i tempi bui sono fuori, ma sono anche dentro perché si è spostata dentro la lotta e ce la facciamo da soli, la lotta. Il darsi pace, l’essere soddisfatti è quanto di più politico ci possa essere adesso!

La gratitudine come allenamento mentale e il potere del riconoscimento.

Io cerco di addestrarmi nel non essere concentrato su quello che non ho, ma su quello che ho! Non dobbiamo essere accecati da quello che non c’è, ma essere grati per quello che c’è. Intere civiltà nel buddismo lo chiamavano addestramento mentale ed è questo: l’addestramento a non essere accecati da tutto ciò che non va, ma nel provare un minimo di rispetto e gratitudine soprattutto per noi che siamo miracolati ad essere nati qua: abbiamo un corpo che funziona, non ci stanno bombardando in questo momento, apriamo il rubinetto ed esce l’acqua…non sono scontate queste cose. E noi se campiamo qualche decennio, il rubinetto che lo apriamo e non esce l’acqua lo vediamo. Quindi è un attimo, todo cambia!

La Musica come viaggio nell’inconscio.

La cosa che in realtà mi interessa della musica è proprio che, effettivamente lì, la questione è al di la della razionalità. Le canzoni a volte vanno proprio a pescare qualcosa dall’inconscio: ci sono delle cose che io non so di me che mi hanno colpito, che mi hanno ferito, fino a che scrivendo non escono. Quindi davanti a quei bivi, lavorando sulle canzoni diventa proprio forte e chiaro dove si deve andare.

Labirinti creativi e rifugio nella natura: i luoghi di Un segno di vita

In una canzone che si chiama proprio Fuori città c’è questo finale, che è l’ultima cosa che ho registrato per il disco, doveva trattarsi di una coda strumentale, ma sono riuscito a ficcarci parole anche lì: “desideri che ci guidano, desideri soltanto, con i nostri percorsi disegniamo labirinti visti dall’alto.” In parte mi sembra che, io visto dall’alto, in tutti questi movimenti costruisca dei labirinti e, a volte, mi sembra di perdermi in questi labirinti. La vita, però, è anche girare avanti e indietro in questi labirinti. Io devo dire che in questi labirinti ho continuato a sentire sempre di più il richiamo della foresta e ad assecondarlo, ecco da qui Fuori città, allontanandomene.

Da una parte mi sono sempre serviti questi viaggi anche per entrare e uscire dal mondo della musica. Io amo molto il momento in cui scrivo da solo perché posso andare nell’oceano a farlo, oppure stare anche a Ferrara. Però, ho sempre patito un po’ lo studio di registrazione anche perché mi sparavo almeno due settimane in questi seminterrati con orari di ufficio in cui canti per 8 ore quindi finivo che ero devastato. Però a sto giro ho pensato: “facciamo una roba che mi assomigli di più…se andassimo su in montagna a 2500 mt. e ci portiamo gli strumenti?” Quindi siamo andati lì ed è stata la prima volta che mi sono goduto le registrazioni di un disco. Per me averlo registrato lì con i miei amici, in un contesto così, lavorando tantissime ore, ma in mezzo agli alberi…camminando la mattina, facendo il fuoco la sera lì fuori è stato bellissimo. In questo modo il fare musica è contestualizzato in una bellezza tale che ti mette nella giusta proporzione, cioè insignificante, piccolissimo e precario e credo che essere in mezzo a tutti i miracoli della natura, sia sempre una buona lezione mentre stai creando.

Il fuoco, da elemento distruttivo a fonte di ispirazione.

Da una parte il fuoco è un elemento che è entrato in maniera sempre più forte nelle nostre vite: ora su due piedi mi viene in mente l’anno scorso in Sicilia quando abbiamo suonato al Tempio di Segesta e due giorni dopo ha preso fuoco tutto, compreso il Tempio di Segesta.  Quindi ultimamente vediamo il fuoco molto da vicino, anche in modo pratico…queste foreste che vanno a fuoco ovunque. D’altra parte, il fuoco è una cosa con cui sto facendo pace: quel fuoco lì va gestito, va custodito e poi usato perché davvero può anche illuminare. Per esempio, da ragazzino a Ferrara dove non succedeva niente io mi sentivo questo fuoco dentro, questa voglia di fare, di suonare, ma attorno a me vedevo una certa questione spenta e, talvolta, mi sentivo anche fuori luogo. Ora, invece, mi accorgo che io ho avuto una grande fortuna di essere riuscito a sublimare questa cosa nell’arte, nella scrittura, nella musica…nell’urlarla fuori nei primi dischi che per me non era mai tristezza: era disperazione che è stata  la forza propulsiva che mi ha fatto cambiare le cose, quindi è sacra quella roba lì. Il fuoco mi interessa come cosa sacra. Sono i fuochi da custodire che mi interessano adesso, per se stessi e per gli altri e per schiarire davvero le cose.

Il tour e la connessione diretta con il pubblico che crea un’esperienza condivisa senza barriere, parte essenziale dell’esperienza umana.

Ci sono state delle volte in cui si partiva per il tour e dicevo: “ok andiamo!” e in realtà sarei voluto stare ancora a casa a scrivere, a leggere. Invece, questa volta, sarà che ho imparato a fare degli intervalli: l’ultimo concerto era stato a giugno e ora ripartiremo ad aprile…quindi faccio in tempo a farmi tornare la voglia. Poi, questo disco non vedo l’ora di suonarlo…sarà che non mi sono proprio stressato a registrarlo, sarà anche per la montagna, per averlo fatto con i miei amici. Per me è stato un momento di gioia farlo e ho voglia anche di portarlo dal vivo. Non vedo l’ora di tornare nei club! L’anno scorso con il tour Canzoni da spiaggia deturpata, nei club è stato molto bello quindi ho deciso di rifarlo nei club, dopo aver fatto tanti anni i teatri. Quindi quella roba in cui non c’è la quarta parete, si fa tutti assieme, mi gasa moltissimo! È la più grande tecnologia che c’è essere nello stesso posto, nello stesso momento, nelle quattro dimensioni. Abbiamo perso questa cosa, che è antropologicamente umana, che è il rito: cioè i concerti hanno anche quella valenza lì, c’è qualcosa che succede…in una società laica e secolarizzata, il concerto ci riporta in una dimensione secondo me di qualche tipo strano, così come i rave. In queste situazioni ci andiamo a riprendere una cosa che è della storia umana comunque.

Un concerto dal silenzio al fragore.

Ho una super band! Faccio quest’altra cosa un attimo fuori luogo del fatto di avere una band. Siamo in tanti sul palco, ma non sempre suonano tutti: è un concerto che tende al silenzio e arriva al fragore. Abbiamo anche la possibilità di fare un sacco di prove, anche questo fuori moda come cosa! Ma sta andando così bene il tour, è sold out praticamente ovunque! Posso dirvi che la risposta di pubblico è stata molto al di sopra delle aspettative. Mi viene da dire che sono saltati tutti gli algoritmi su di me perché adesso si sta molto attenti ai numeri di streaming, dei sociali…e i miei non sono assolutamente altissimi. Però, i numeri che faccio dal vivo sono superiori a quelli che di streaming e di following hanno milioni di persone e, quindi, è tipo un cortocircuito che a volte anche le persone con cui lavoro non sanno maneggiare bene; così come addirittura il pre-order delle vendite fisiche!

La forza della “fidelizzazione”…

Credo che sia quella che viene chiamata fan base che sono quelli con cui ormai sono cresciuto, che sono una nicchia. Credo che abbia a che vedere con questo e anche con il fatto che la ricerca a volte paga anche se non è una ricerca di espansione di pubblico: la mia ricerca non è orizzontale, è verticale. A volte forse funziona anche quella cosa cioè andare nel profondo, non nei numeri. Poi, dopo all’improvviso, arrivano anche dei numeri che stupiscono e per me vabbè è un grande dono che posso fare da quindici anni  le cose che faccio da sempre.

Sanremo, perché no?

Ho provato a sentire le altre canzoni e, in effetti, mi son detto: “qua in mezzo le mie canzoni potrebbero sembrare strane.” Però, ho proprio capito che sarà che è da tanto tempo che faccio musica che ormai mi sento anche un avventuriero, come nei viaggi. Quindi per me Sanremo è una cosa che anche quella si può fare tranquillamente: cioè se ci pensiamo vai lì suoni la tua canzone tre, quattro volte e le canzoni si difendono da sole. Quindi magari rispetto agli inizi che ti avrei detto: “no non so, boh il contesto!” ora ti risponderei: “guarda, coma va, va…al massimo mi pentirò di essere andato!” Tanto meglio pentirsi di qualcosa che hai fatto che di qualcosa che non hai fatto.

Vasco Brandi è diventato proprio pop!

Sì sono proprio diventato pop però, pop impopolare!

La recensione di Un segno di vita:

di Francesco Staino

Un segno di vita è un disco figlio della volontà di raccontare la contemporaneità, senza mai dimenticare la scintilla di eternità che deve esserci in ogni cosa. Meno urla, più voce, un disco solido e melodico, si percepisce la nuova direzione artistica intrapresa da Vasco Brondi, nonostante “venga meno” quella sana disperazione ed urgenza degli anni Zero, quella che è stato il tratto distintivo delle prime Luci della Centrale Elettrica.

Questo disco è popolato da persone, alberi, laghi e vulcani, tutti incontrati durante il corso delle sue sessioni di scrittura – Ci sono le città ma anche le montagne, le colline, la cascate, i laghi, il mare, le strade tortuose, i viali, le stelle e i fanali delle macchine – racconta il cantautore.

In Un segno di vita si possono scorgere tanti fuochi, che possono distruggere o illuminare, bruciare o scaldare. Le canzoni che lo compongono sono fatte di ritornelli cantati forte, della vita di Vasco Brondi degli ultimi anni e degli incontri che sono stati tradotti in musica.

E poi cosa resta di Un segno di vita?

Resta un lavoro che come sempre porta il fruitore ad un lavoro di estrema indagine interiore, una piccola seduta psicoanalitica homemade tra le lenzuola e le airpods. L’evoluzione di Vasco Brondi è palese, dista davvero anni luce dai garage di Milano Nord, ma non per questo bisogna guardare al passato sempre con nostalgia. Il passato è passato, resta il bello e si vive al meglio il presente in attesa di futuri inverosimili.

Dei tre brani che hanno anticipato l’uscita abbiamo già scritto su Cromosomi, quindi serve concentrarsi su ciò che è inedito, come ad esempio Meccanismi, un brano che è una diapositiva di quella volontà estrema di essere tutta cuore, per disinnescare tutto quello che apparentemente è insopportabile e senza paura alcuna di mostrare quell’irrefrenabile voglia di vivere.

Spaventerai sempre tutti con la tua voglia di vivere,

non riesci a smettere di correre, non riesci a smettere di ridere,

spaventerai sempre tutti ma non me…

da “Meccanismi”

Se dovessi trovare un brano che ascolto in loop da giorni direi senza pensarci più di tre secondi Incendio, un brano che quasi spaventa per come profondità e immediatezza si abbracciano. Uno di quei brani da dedicare a chi si avvicina e poi si allontana da noi, esitante a volte, altre impaurita ma mai doma di vivere, di farsi male ed imparare da quel dolore. Uno di quei brani da urlare in faccia, come se fosse una smisurata preghiera, una ricerca d’attenzione costante, un possibile spoiler di quello che potrà essere.

E com’è essere l’unica macchina che esita, com’è camminare sola nella sera,

com’è in che bar, in che cinema ti dimenticherai di me.

Portami con te, tu prendimi, sarò un incendio nelle tue abitudini.

Portami con te, accendimi, sarà un incendio senza limiti.

Il tuo cuore è una registrazione di scene pericolose,

di strade tortuose dirette a mete meravigliose,

montagne scoscese spiagge minuscole erose…

da “Incendio”

Notti luminose è quel brano in cui l’intimità strizza l’occhio all’universale. Il mondo contemporaneo è presente, le guerre e le solite cose fanno da contorno agli amori che si divincolano tra le macchine esplose e le stelle visibili nonostante l’inquinamento luminoso delle metropoli. La capacità di miscelare il privato e il contesto pubblico resta la ricetta migliore per far assaporare pienamente la cifra stilistica di Vasco Brondi.

L’attrazione terrestre, l’attrazione celeste…

da “Notti luminose”

La stagione buona chiude l’album e lo fa con lasciandoci un delicato monito, un paradosso che trova riscontro tra la melodia e le battute iniziali del brano, dei dati sull’immigrazione che ascoltiamo ogni giorni in tv e leggiamo sulle app d’informazione. Forse la sintesi perfetta di Un segno di vita risiede nella frase finale dell’album:

Dammi il coraggio di sorridere di un sogno se non si può esaudire…

da “La stagione buona”

Trovatevi uno spazio, prendetevi del tempo, datevi il modo di accogliere dentro di voi Un segno di vita di Vasco Brondi.

La Playlist di Cromosomi