Golden Years e il suo viaggio nell’Era spaziale

da | Ott 12, 2023 | Interviste

Quando mi è stato assegnato questo pezzo, ho storto un attimo il naso. Intervista a Golden Years? Ma chi è? E’ bastato poco, veramente un minimo sforzo, per capire chi sia questo (fino a quel momento) sconosciuto.

Pietro Paroletti, alias Golden Years, è uno dei producers più prolifici in Italia negli ultimi anni. Ha collaborato con esponenti di prim’ordine dell’indie italiano, come Psicologi, Laila Al Habash, Gregorio Sanchez, Colombre e Post Nebbia, ma molti noi lo avranno ascoltato in tempi più recenti in Lovebars, il nuovo joint album di Coez e Frah Quintale. Presente Alta marea, il tormentone di quest’estate? Bene, è proprio opera sua.

Insomma, bando alle ciance. Per conto di Cromosomi, mi siedo virtualmente di fronte a Pietro in un caldissimo pomeriggio di metà ottobre e iniziamo a snocciolare un sacco di questioni. Prima fra tutte, il suo nuovo Ep, Era spaziale, uscito lo scorso venerdì 6 ottobre. Poi ci siamo fatti trascinare: lo spazio, il ruolo del producer, cosa vuol dire essere producer in Italia oggi, progetti futuri. Cosa aspettate a scrollare?

Venerdì è uscito il tuo nuovo Ep come Golden Years, Era spaziale. Come ti senti?

Mi sento bene, mi sento felice. E’ stato quasi un anno di lavoro. Quando le cose hanno un riscontro positivo, fa sempre piacere. E’ stato divertente, ma un po’ faticoso, come puoi immaginare: stare dietro a nove o dieci artisti non è una passeggiata. Ognuno ha le sue esigenze, qualcuno sta a Milano, qualcuno a Roma, qualcuno a Bologna. E’ stato divertente, stimolante. Sono contento.

Come nasce Era spaziale?

L’idea di farlo nasce dall’esigenza di fare pezzi che divertissero e che mi stimolassero. Ho fatto diversi beat e basi strumentali di partenza, poi li ho mandati ad alcuni musicisti con cui mi è sempre piaciuto lavorare e che stimo, poi ad altri artisti che conoscevo e altri che non conoscevo, chiedendo se volevano fare qualcosa insieme. Da lì ci sono state un po’ di sessioni in studio. I pezzi dell’Ep sono venuti tutti fuori spontaneamente in studio con l’artista in questione, in presenza.

Come ti sono venuti in mente tutti gli artisti con cui poi hai collaborato in Era spaziale?

Più che mi sono venuti in mente, ho scelto quelli (raggiungibili) di cui ero più fan, che mi piacevano di più sotto il punto di vista della scrittura e della musica. Anche questo è stato molto spontaneo, ho scelto quelli con cui volevo lavorare. Con qualcuno ero avvantaggiato, tipo Drast o Franco, perché siamo amici, ci conosciamo, lavoriamo ad altre cose insieme. Con altri ho legato direttamente con questi pezzi.

Hai lavorato con un sacco di artisti. Com’è funzionato il processo creativo dei vari brani?

Io avevo delle strumentali. Faccio tanti beat, costantemente, in tutti i tempi morti. Ho un sacco di sample. Una volta contattati gli artisti, li ho invitati direttamente in studio e poi lì abbiamo scritto il pezzo insieme. Non è stato un lavoro né distaccato, né freddo. Eravamo insieme in studio, a ragionare insieme sui pezzi al momento,

Sono rimasta molto incuriosita dal titolo: Era spaziale. Perché hai scelto proprio l’immaginario dello spazio?

L’idea del titolo non viene dalla musica, ma dal concept visivo che avevamo pensato con Tommaso e Sara di Forgotten Architecture. Volevo fare musica che fosse legata all’architettura space age, degli anni ’60 e ’70, preché sono abbastanza appassionato di quell’estetica lì. E’ legata alla corsa allo spazio, al progresso tecnologico. Poi mi piaceva anche la traduzione in italiano, era spaziale.

C’è un filo rosso che lega tutti i pezzi di Era spaziale secondo te?

Secondo me sì. Non dovrei essere io a dirlo, spero che si percepisca anche da fuori. A livello di scelta di sound, di accordi, i pezzi sono coesi. Ovviamente ci sono molti artisti che mettono il loro stile e la loro personalità, dando pieghe molto personali, ma a livello musicale il filo rosso c’è. Dal mio punto di vista li lega la naturalezza con cui sono venuti fuori. Non c’è costruzione, sono brani usciti in una giornata in studio. Voglio sperare che questa cosa si senta.

Se dovessi descrivere Era spaziale in tre parole, quali sarebbero e perché proprio queste tre?

Ci devo pensare un secondo… Allora, spontaneo, per il discorso che facevo prima. I pezzi sono venuti fuori in studio e ciò mi ha colpito: di solito è molto più difficile. Poi che ti posso dire… Non me ne vengono in mente. Andiamo avanti, magari ho un’illuminazione.

Tanti lodano i performer, i cantanti e i musicisti, ma pochi lodano i producer. Qual è la vostra condizione?

Secondo me ultimamente i producer vengono molto apprezzati, vengono evidenziati quasi troppo. Rispetto anche solo a dieci anni fa, si parla tantissimo di producer. Poco tempo fa in Italia nessuno sapeva cosa fossero, quindi da questo punto di vista è stata sicuramente un’evoluzione positiva. Non posso parlare a nome della categoria, ma parlo a nome mio: il mio è un lavoro bellissimo. Si sta a contatto con la musica tutto il giorno, in maniera creativa, senza avere pressioni che hanno gli artisti che vanno sul palco. Ci si arricchisce, si impara sempre qualcosa di nuovo lavorando con tanti performer diversi. Poi ora è anche un mestiere riconosciuto, quindi sono assolutamente contento.

Cosa ci dobbiamo aspettare da te nei prossimi mesi?

Ho tante strumentali, sto continuando a lavorare. Continuo a fare sessioni con diversi artisti. Ho voglia di fare musica, di collaborare con persone nuove. Magari non saranno uno, due o tre mesi, ma usciranno altre cose il prossimo anno.

Ma torniamo alle tre parole. Spontaneo, poi?

Spontaneo, sì. Vario. Non dal punto di vista mio, ma di quello degli artisti. Comprende tanti musicisti molto differenti, con stili molto diversi tra loro. Poi… la terza non mi viene in mente. Aiutami tu!

Spaziale?

Dai, va bene. Mi piace.

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