Entri al Palazzo dello Sport convinto di sapere cosa aspettarti e poi Coez, con la sua naturalezza e la sua semplicità old school, decide di sorprenderti, pur restando autentico. Ieri sera la data romana — la prima delle due, entrambe sold out da settimane — è stata un ritorno a casa, un album di famiglia lasciato aperto sul tavolo.
Ma partiamo dall’inizio: l’intro. Un video semplice, quasi dimesso, lui nel camerino che brinda con la band. Un momento che sembra rubato, e che in realtà prepara perfettamente il mood della serata.
Perché il tour 1998 è costruito così, come un viaggio nel vissuto lontano dall’intelligenza artificiale, tra malinconie e lampi di energia che arrivano quando meno te li aspetti.
Sul palco una scenografia che gioca con la nostalgia: undici televisori anni ’90, maxi schermi sospesi, vecchie TV a tubo catodico appoggiate a terra, interferenze, glitch, disturbi. Una scelta estetica netta, dichiarata, che porta dritta dentro l’immaginario del disco. Quell’immaginario analogico, così imperfetto, riesce a dare tridimensionalità alle canzoni. Il linguaggio che Coez parla alla perfezione.
Orang3 alla direzione musicale e al basso, Valerio Smordoni alle tastiere, Alessandro Lorenzoni alle chitarre, Giuseppe “Passerotto” D’Ortona alla batteria e Matteo Montalesi (Esseho) a chitarre e synth. Sono loro, gli amici di sempre… così 1998 prende la forma giusta: urban ma calda, intima, piena quando serve e incredibilmente leggera nei passaggi più fragili.
Come il ricordo all’amico Poppy’s, recentemente scomparso, sopra le note di Siamo morti insieme. “Siamo noi a decidere quali momenti portarci dentro” — dice il rapper romano.
La parte centrale del live sforna una hit dietro l’altra: Jet, Occhi rossi, Come nelle canzoni, Le parole più grandi. La platea canta ogni sillaba, ed è chiaro che il pubblico non è lì per un singolo ma per un percorso. “Vedo tanti che mi seguono da molto” — osserva l’artista.
Ed ecco gli ospiti. Prima Franco126 per Bella mossa; poi Tommaso Paradiso, che con Coez porta sul palco La fine dell’estate, trasformando il palazzetto in un gigantesco karaoke malinconico. Infine, tutti e tre insieme, in Roma di notte, uno dei brani più forti dell’ultimo album. Un momento da fermare il tempo, uno di quelli in cui capisci davvero cosa significhi “pezzo nato per questa città”.
Il resto del concerto è un equilibrio preciso tra passato e presente: le mine che hanno consacrato Silvano scorrono senza perdere un grammo di intensità, mentre i brani nuovi portano con sé quella vibrazione anni ’90 che riesce a raccontare. Luci basse, schermi che sfarfallano, una platea che sembra muoversi all’unisono. È uno spettacolo che vuole essere ascoltato con la parte giusta del cervello: quella che ricorda, ma non è capace di fermarsi.
E oggi si replica: seconda data romana, stesso palazzetto, stessa energia promessa. Ma ogni sera del 1998 Tour ha una sua identità, e chi riuscirà ad esserci lo capirà subito: Coez non fa copia/incolla nemmeno quando potrebbe.
Il tour ora prosegue verso Napoli, Bari (già sold out), Torino, Milano con due date, Firenze e di nuovo Roma per il gran finale dell’8 dicembre. E se ieri è stato un ritorno, l’ultimo appuntamento sarà una chiusura del cerchio.









