Per i Kool & The Gang a Milano non c’è soltanto il pubblico che ci si aspetterebbe. Molti boomer, senza dubbio, ma anche una bella quota di chi, a quei boomer, sta pagando le pensioni. Questo perché i Kool & The Gang sono nati come band prima di Woodstock, giusto per farsi un’idea, ma hanno plasmato un’idea sonora che è viva e vegeta ancora oggi. Capire cosa significhi vederli dal vivo sarebbe quindi impossibile senza raccontarne la storia.
C’è una magia nel suono di Kool & The Gang che non ha mai smesso di risuonare. Una miscela incandescente di ritmo, groove e anima, nata oltre sessant’anni fa e ancora capace di accendere le piste da ballo di tutto il mondo. Il gruppo, fondato nel 1964 a Jersey City da un manipolo di giovani musicisti jazz, ha attraversato generi, epoche e rivoluzioni culturali, mantenendo intatta una qualità rara: quella di saper unire raffinatezza musicale e un’atmosfera di festa vera.
Robert “Kool” Bell è l’emblema vivente di quell’attitudine al boogie che ha plasmato intere generazioni. Unico membro della formazione originale, con una voce che non ha mai perso calore, guida ancora una gang che – pur tra cambiamenti e lutti – non ha mai abbandonato il proprio spirito originario.
Il loro percorso inizia nei club della East Coast, con il nome di The Jazziacs, suonando in onore di giganti del jazz come Miles Davis e John Coltrane. Ma è solo con la metamorfosi in Kool & The Gang che il gruppo trova la propria identità: un impasto vibrante di funk, soul e r&b, immortalato nel primo omonimo album del 1970. Il mondo si accorge di loro tre anni dopo, con l’esplosiva Funky Stuff, seguita da inni generazionali come Jungle Boogie e Hollywood Swinging, divenuti leggendari anche grazie alla cultura pop – da Pulp Fiction a GTA: San Andreas.
Negli anni Settanta, la loro energia dal vivo, il sofisticato interplay tra fiati e sezione ritmica, li consacrò protagonisti assoluti della scena black americana. E quando la disco music prese il sopravvento, Kool & The Gang seppero reinventarsi con intelligenza, senza mai snaturarsi. L’ingresso del cantante J.T. Taylor segnò una svolta melodica, portando nelle classifiche planetarie pezzi come “Ladies’ Night”, “Too Hot”, “Get Down on It”, e soprattutto “Celebration”, autentico simbolo globale di gioia e rinascita.
Ma la loro musica è molto più che festa e leggerezza. Lo affermano loro stessi: «Music is the message». Brani come “Love & Understanding” o “Let the Music Take Your Mind” rivelano un’anima spirituale, fatta di amore, cultura, consapevolezza. La band ha attraversato i decenni rimanendo fedele a questo principio, facendosi campionare, reinterpretare, citare da centinaia di artisti, dall’hip hop alla dance elettronica. I loro riff hanno risuonato nei brani di Nas, Beastie Boys, DJ Kool, A Tribe Called Quest, Ice Cube. La loro influenza è stata paragonata a quella dei Beatles per la musica pop.
Mark Ronson li ha definiti «una delle più grandi ispirazioni della mia carriera». E non a caso. Kool & The Gang hanno scritto pagine decisive anche nel libro dell’hip hop, grazie a groove ruvidi, fiati pungenti, e quella sensualità ritmica che «non si spiega a parole: si sente sulla pelle».
La loro musica ha raccontato il cambiamento, accompagnato la storia, e oggi – tra nuovi album, live act infuocati e un pubblico transgenerazionale – continua a evolversi. “People Just Wanna Have Fun”, il loro trentaquattresimo disco, lo conferma: vecchia scuola nel cuore, ma con un sound aggiornato, contaminato, proiettato verso il futuro. Lo storico batterista George “Funky” Brown, motore ritmico del gruppo insieme a Kool Bell, lo dice senza mezzi termini: «Non abbiamo mai voluto fermarci. Ogni cambiamento è un’opportunità per creare».
Questa è la vera forza di Kool & The Gang. Non la nostalgia, ma la capacità di incarnare l’essenza stessa del groove. Non è solo musica da ascoltare: è esperienza fisica, emotiva, collettiva. Un linguaggio che parla direttamente al corpo, e al cuore.
In fondo, non serve molto per capirli: basta mettere su “Celebration”, lasciarsi trasportare e ballare. E scoprire che, dopo sessant’anni, la loro festa non è mai finita.