Il potere reazionario della parola, tra letteratura e musica
Nel corso della storia sono moltissimi i compositori che scelsero di dedicarsi ad un genere musicale che includesse anche la parola, al fine di dare forma a un pensiero difficilmente esprimibile attraverso un linguaggio puramente musicale.
Sia che si tratti di musica ‘colta’ (basti pensare alle composizioni di Luigi Nono, Luciano Chailly etc.) che di musica popolare, a partire soprattutto dalla seconda metà del Novecento la parola diventa uno strumento utile a esprimere in modo diretto e chiaro riflessioni critiche sul contemporaneo. In particolare, negli anni Sessanta e Settanta in Italia si diffonde la canzone d’autore. Vero e proprio genere poi codificato e capace di fondere il potere evocativo della musica con quello della poesia.
Non è raro infatti che i cantautori attingano alla letteratura o alla poesia per raccontare in modo lucido il proprio tempo, creando così brani divenuti col tempo vere e proprie testimonianze storiche del periodo in cui furono scritti. Un esempio tra tutti è “Dio è morto” (1965) di Francesco Guccini, il cui incipit fa da eco al primo e celeberrimo verso di “Howl” (1956) poema reazionario e visionario di Allen Ginsberg inizialmente censurato, che portò il suo editore editore ad essere arrestato a seguito di un processo per aver diffuso oscenità.
“Ho visto
F. Guccini
La gente della mia età andare via
Lungo le strade che non portano mai a niente
Cercare il sogno che conduce alla pazzia
Nella ricerca di qualcosa che non trovano”
Come voyeurs del proprio tempo, Guccini e Ginsberg riflettono, attraverso la poesia, contraddizioni, speranze e lotte di una generazione di giovani che scelse di sfidare l’establishment.
Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, / trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa, / hipsters dal capo d’angelo ardenti per l’antico contatto celeste con la dinamo stellata / nel macchinario della notte
A. Ginsberg
Come molti brani del cantautore, “Dio è morto” rappresenta una lunga invettiva poetica, quasi un flusso, che travalica così i limiti della forma canzone dominante in quegli anni sulla scena musicale italiana.
Appassionato lettore, egli sceglie di dedicarsi anche alla letteratura, quando pubblica nel 1989 “Cròniche epafàniche”, cui seguiranno “Vacca d’un cane” e “Cittanova blues”, a dimostrazione di quanto sia vitale ibridare i linguaggi.
Oltre la canzone: dalla musica alla letteratura e viceversa
Molti artisti sentono anche oggi il bisogno di cimentarsi con la scrittura, non attingendo più soltanto alla letteratura come fonte di ispirazione per la propria musica, si muovono alla ricerca di nuove forme di narrazione.
Ne è un esempio il romanzo fantascientifico-distopico di Luciano Ligabue “La neve se ne frega” del 2004. Ambientato in un futuro lontano in cui l’autore riflette però sul mondo che ci circonda.
Interessante anche il lavoro “Atlante delle case maledette” del 2021, ultimo libro di Francesco Bianconi (fondatore e frontman dei Baustelle), ambientato durante la pandemia. Egli racconta, intrecciando la narrazione alla riflessione esistenziale, di un personaggio che fa ordine nel suo passato attraverso le case in cui ha vissuto.
Una ricerca, quella letteraria che permette a molti artisti e cantautori di approfondire il proprio legame con la parola. E’ ciò che dice Riccardo Zanotti (frontman dei Pinguini Tattici Nucleari) in un’intervista sul suo romanzo AHIA! (2020). Racconta la storia di un ragazzo che, alla morte della madre, scopre che suo padre è un cantautore anni 80 caduto nell’oblio.
Del 2024 è invece il libro esordio “Non esiste un posto al mondo” di Maurizio Carucci, voce degli Ex Otago. In cui racconta un viaggio a piedi che parte dagli Appennini Liguri per arrivare a Milano. A partire dalla sua Genova del quartiere Marassi, il racconto esplora la ricerca di sé e l’urgente necessità di fare i conti con le proprie paure.
La parola sia essa cantata o scritta soltanto, diventa così uno strumento potente per conoscere e raccontare il mondo e le sue contraddizioni, per mettere in luce le sfide del domani. In conclusione l’ibridazione dei linguaggi artistici che caratterizza il nostro tempo, spinge gli artisti ad esplorare nuove forme di narrazione in cui la parola conserva e forse amplifica il suo potere trasformativo.