In un mercato musicale denso di brani più o meno validi, ci sono delle vere e proprie perle da non perdere. Barre potenti e citazioni di nicchia, a volte così oscure da essere quasi incomprensibili: questa è la ricetta per un pezzo rap di alto livello. Ecco quindi una carrellata di pezzi che gasano… ancor di più quando si colgono a pieno le reference. Enjoy!
Quante citazioni hai colto di questi pezzi rap?
64 BARRE DA CENSURA – Kid Yugi
“64 BARRE DA CENSURA” è un vero e proprio agglomerato di citazioni cinematografiche, mitologiche e artistiche in vero stile Kid Yugi. Il giovane rapper, infatti, ha fatto del suo “latinorum” la colonna portante del suo successo. In questo Redbull 64 Bars si susseguono reference alla cultura pop: gli angeli dell’anime “Evangelion” e la multinazionale farmaceutica Abstergo del celebre videogioco “Assassin’s Creed” sono solo alcune. Nello specifico, si cita il concetto di “memorie genetiche”, ricordi di vite passate ereditati attraverso il DNA e resi accessibili grazie all’Animus.
Ora che lo sponsor paga per ste rime esplicite sarò il nemico pubblico, il nuovo John Dillinger. Disgusto la platea, Olocausto Cannibale.
Le rime esplicite e pungenti del rapper di Massafra lo rendono il “nemico pubblico n.1”, epiteto affibbiato al criminale John Dillinger. Il moderno Robin Hood attivo durante la Grande Depressione è diventato presto un’icona popolare grazie alla sua eleganza ed empatia. Infatti, egli era solito bruciare i libri contabili su cui erano annotati i debiti delle persone in difficoltà economica al termine delle sue rapine. La cruenza delle barre di Kid Yugi arriva addirittura a disgustare il pubblico, come durante la proiezione del film “Cannibal Holocaust”, di Ruggero Deodato. Uscito nel 1980, il film è passato alla storia per l’efferatezza delle sue scene, tra cui atti di cannibalismo, violenze sessuali, torture, omicidi e uccisioni di animali — alcune delle quali reali.
Scene di violenza, droga e sesso come in “Un film serbo”. Sono il conto da pagare, il sacrificio del cervo.
Altre due barre-gioiello, dense di riferimenti. La prima richiama “A Serbian Film“, opera disturbante del regista serbo Srdjan Spasojevic. Qui, una pornostar in difficoltà economiche accetta di partecipare a un film senza conoscerne la trama. Ben presto, si ritrova costretto a girare scene di violenza sessuale, pedofilia e necrofilia, incapace di opporsi perché drogato sul set.
Le rime successive si aprono a due letture. La prima, di stampo classico, rimanda al mito di Ifigenia, figlia di Agamennone. Questi aveva osato dichiararsi un arciere superiore alla dea Artemide, scatenandone l’ira. Per placarla, fu costretto a sacrificare la figlia, che tuttavia fu salvata dalla stessa dea e sostituita con una cerva. La seconda chiave, più contemporanea, ci porta al film greco “Il sacrificio del cervo sacro”, dove un chirurgo, colpevole della morte di un paziente, si ritrova a dover decidere quale membro della propria famiglia sacrificare, in un crescendo di tensione morale e psicologica.
“64 BARRE DA CENSURA” è solo un esempio della capacità di Kid Yugi di arricchire le sue barre con riferimenti di spessore: altri brani degni di nota sono “Paganini”, “Hybris” e “Kabuki”. Tu li conosci?
Verità pt. II – Mezzosangue
Questo pezzo di Mezzosangue cela un testo criptico e di difficile comprensione ma che, una volta decifrato, rende manifesta la propria profondità. Fra riferimenti allo scrittore Dostoevskij e confutazioni alla filosofia socratica, il rapper affronta il tema della verità come concetto sfuggente e soggettivo. In questo pezzo dalle vibes distopiche, si traccia un confine netto fra chi è capace di abbracciare la verità grazie alla propria arte e chi, al contrario, confonde i dogmi e le imposizioni sociali con la realtà.
Mani per parlare, la matita chiusa in sé, come l’essere e il pensare. Perché quaggiù crescere è trasformarsi, e poi spogliarsi è come temperare.
[…]
Divenire cosa? Quando? Come? Mo che muto è verbo, ho una direzione
Per raggiungere la verità in questo viaggio tormentato e psichedelico bisogna mettersi in contatto con la propria anima, spogliandosi come una matita fa in un temperino. È particolarmente arguta la metafora delle mani che parlano -attraverso una penna- e scrivono le rime con cui Mezzosangue esprime sé stesso. È in questi versi che si cela un probabile riferimento a Dostoevskij, il quale credeva che per prendere coscienza del mondo bisognasse andare incontro ad una mutazione fisica.
Verità sociale, a loro basta questo: formano alveari come nuovi mondi e dentro è tutto reale. Paralleli soli non li scaldano, ma incantano. Loro sotto, sovrapposti, parlano di niente, di possibili niente e certe dimore tu per vedere devi averle; senza più ragioni, solo un senso: il sesto.
Ecco di nuovo il confine fra chi ha il potere di percepire la realtà e chi invece è accecato dagli schemi sociali imposti dall’esterno, che creano dei microcosmi in cui è difficile discernere la verità. È in questo momento che i dogmi si trasformano in prigioni di cui non siamo nemmeno consapevoli: per vedere le catene bisogna abbandonare la ragione e affidarsi al sesto senso.
“Verità pt. II”, con le sue metafore e i temi esistenzialisti trattati, sembra rifarsi a una puntata di Black Mirror. Un testo tutto da parafrasare e interpretare che cela metafore e riferimenti letterari e filosofici da scoprire. Che aspetti a metterti all’opera?
BODY PARTS – I denti – Marracash
Nonostante Marracash abbia l’assurda capacità di essere sempre comprensibile indipendentemente dai temi trattati, la sua discografia è piena zeppa di citazioni provenienti dal mondo del cinema, della psicologia e dell’attualità. L’album “Persona” è diventato una vera e propria colonna portante del rap contemporaneo, facendo incontrare mondi diversi fra loro senza mai farli cozzare. Questo è forse un disco così ben riuscito da essere già stato analizzato a tappeto dagli amanti del rap, ma vale la pena provare ad approfondirne alcune reference.
Già il titolo è ispirato all’omonimo film di Bergman, capolavoro del 1966 che analizza le sfaccettature dell’uomo e la sua complessità dietro le maschere di scena che indossa e che lo portano a mostrare facce diverse in contesti sociali e privati. Così come nella pellicola, Marracash viviseziona sé stesso e analizza ogni parte, per spogliarsi, comprendersi e iniziare un viaggio di accettazione terminato quattro anni dopo con “Happy end”, contenuto nell’ultimo album “È finita la pace”.
“BODY PARTS – I denti” inizia proprio con una premessa:
Devo stendere il cellophane prima…
Una provocazione non indifferente che accenna -seppur velatamente- al concept dell’album: Marra, come il più organizzato degli assassini, prepara l’ambiente allo smembramento cruento di sé. Questa traccia, oltre ad anticipare, svolge un’altra funzione: riassume la tracklist di “Persona”. Nella seconda strofa sono infatti elencati tutti i metaforici organi che compongono il disco, introducendo brevemente anche il tema di ogni traccia.
È proprio in questa strofa che si susseguono ininterrottamente citazioni alla cultura popolare ed al cinema: ne è un esempio la reference al movimento femminista “Me Too”, volto a denunciare violenza e molestie sessuali contro le donne. L’hint è ovviamente alla traccia “CRUDELIA – I nervi”, che affronta i temi delle relazioni tossiche, della dipendenza affettiva e dell’abuso psicologico. Un rapporto malato le cui dinamiche, ribaltate rispetto a ciò a cui siamo -ahimè- abituati, ci spiazzano e ci fanno riflettere.
I nervi tesi e lesi da una stronza, altro che Me Too.
Marracash sceglie di citare e ispirarsi a diversi film: oltre alla già ampiamente citata pellicola di Bergman, si apprezzano riferimenti a “21 grammi – Il peso dell’anima” di Inarritu e la rivisitazione di un monologo contenuto nel film “American Gangster”, in cui il boss di Harlem Bumpy Johnson afferma che “non si riesce a trovare il cuore di niente per accoltellarlo”.
Cerco il cuore del problema per accoltellarlo.
In questo modo Marracash sceglie di introdurre il brano “G.O.A.T. – Il cuore”, il cui scheletro si erge sulla citazione al libro “La sottile arte di fare quello che c***o ti pare” di Mark Manson. Riflessioni sulla “Teoria dell’Inversione” di Alan Watts portano ad una sola conclusione: per ottenere qualcosa, bisogna sbarazzarsi di tutte le esperienze negative legate ad essa. Il solo modo per farlo è “sbattersene”, ovvero scendere a patti con la propria diversità – che è proprio l’intento ultimo di Fabio.
Un primo cerchio si chiude con l’outro di “BODY PARTS”, che campiona il monologo della dottoressa nei confronti della protagonista del film “Persona”, Elisabeth Vogler:
Tu insegui un sogno disperato, questo è il tuo tormento. Tu vuoi essere, non sembrare di essere. Ma c’è un abisso tra ciò che sei per gli altri e ciò che sei per te stesso e questo ti provoca un senso di vertigine per la paura di essere scoperto, messo a nudo, smascherato. Poiché ogni parola è menzogna, ogni sorriso, smorfia e ogni gesto, falsità.
Ripercorrere L’Opera di Marracash per antonomasia con occhio orecchio critico non stanca mai, nonostante siano passati quasi cinque anni dal release dell’album. Anzi, adesso che il viaggio verso l’accettazione è terminato e la trilogia si è conclusa, è ancora più interessante approfondire le rime, i collegamenti e le reference di grande spessore che pullulano e rendono unica la discografia del principe di Barona.
Ovviamente, molti altri sono i rapper che nelle proprie strofe hanno nascosto significati profondi e citazioni più varie. Murubutu, nella vita professore, insegna i grandi classici e la storia attraverso il rap. Caparezza ha sempre utilizzato la sua musica come mezzo di denuncia sociale. Infine Rancore, che in “Argentovivo” riprende la concezione kafkiana di alienazione e reclusione mentale e sociale. Tracce come queste sono veri e propri codici da scoprire e decifrare ed arricchiscono un panorama musicale a volte ridondante e scarno di contenuti.