Intervista a Sciclitano: “Santi e Chiese” è il suo grido d’anima tra le contraddizioni di Roma

da | Apr 8, 2025 | Interviste, Recensioni singoli

“Santi e Chiese” di Sciclitano è un disco viscerale che racconta Roma e i suoi contrasti, tra fede e perdizione, tra architetture sacre e pensieri crudi, senza filtri.

C’è una Roma che accoglie e una Roma che brucia. C’è una città che ti cresce addosso e ti scava dentro, che ti perdona e ti giudica nello stesso istante. È in questo crocevia di emozioni che nasce Santi e Chiese, il nuovo disco di Sciclitano, fuori dal 4 aprile per Honiro Label. Un’opera che è più di un semplice album: è un itinerario tra gli angoli della Capitale che parlano con la voce della pietra, della fede, del peccato. Ma soprattutto, con la voce di un ragazzo che a Roma ci è nato e cresciuto, imparando ad amarla e sopportarla come fosse una parte del suo stesso corpo.

Sciclitano, classe 2003, porta nel nome l’eco delle sue radici siciliane, la sua famiglia, infatti, viene da Scicli, ma nel cuore batte forte il sangue romano. Il suo percorso musicale comincia con il cantautorato, ascoltato da bambino, per poi virare verso l’universo urban, rap e hip hop: da Noyz Narcos a Gué, da Marracash in poi, i suoi riferimenti lo accompagnano nell’adolescenza, fino a spingerlo a scrivere i primi testi a quindici anni. Da allora, non ha mai smesso di farlo con la stessa leggerezza e curiosità di quando tutto era un gioco.

Tra fede e disagio, Sciclitano ci porta nella sua città interiore

Dopo singoli come “Sbandato”, “Effetto Coanda”, “Borghetti” e “Bazar”, oggi Sciclitano alza il tiro e mette a nudo il suo mondo interiore con un disco che è una vera e propria confessione:

‘Santi e Chiese’ è la liberazione dei miei pensieri e delle mie sensazioni. Non c’è logica, non c’è un ordine preciso. Sono emozioni che arrivano come vengono, nude, crude, vere.”

L’album si muove tra banger, influenze southern, linee boom bap e flussi di coscienza che non cercano di ammaestrare l’ascoltatore, ma piuttosto lo sfidano a entrare nel suo universo.

Il titolo stesso è un manifesto. I “Santi” e le “Chiese” sono l’anima architettonica e spirituale di Roma, ma anche lo sguardo costante della città su chi la abita.

Sono parte della mia vita, di ciò che mi circonda. È come se Roma mi stesse sempre osservando. Le racconto nei pezzi perché sono dentro di me.”

La sua musica, però, non ha la pretesa di diventare “l’oppio del popolo”. È piuttosto una voce sincera, urgente, che restituisce al rap quel ruolo catartico e viscerale che troppo spesso viene dimenticato.

Santi e Chiese è il suono di chi cerca sé stesso in mezzo al rumore della città. Di chi non vuole insegnare nulla, ma solo essere ascoltato. Di chi, in fondo, ha fatto della musica il modo più onesto per dire al mondo: “Io ci sono”.

Sciclitano: “Roma ti guarda mentre la racconti

Poco prima dell’uscita del suo nuovo album Santi e Chiese, abbiamo fatto due chiacchiere con Sciclitano per entrare nel suo mondo, tra memorie personali, visioni urbane e un’urgenza espressiva che pulsa sotto ogni traccia. Un confronto diretto, sincero, dove l’artista ci ha raccontato cosa significa crescere tra le contraddizioni di Roma e come la musica sia diventata il suo modo più autentico di restituirle al mondo.


Nel tuo disco parli di Roma come di una città che “ci guarda”, un’entità viva che osserva chi la abita. Se Roma potesse parlare, cosa pensi direbbe di te?

Se Roma potesse parlare di me, onestamente non so cosa direbbe. È una città molto cinica, che osserva tanto ma parla poco. Ho scelto di fare questo disco proprio perché mi sento un prodotto di Roma: tutto quello che accade qui, nel bene e nel male, l’ho assorbito — direttamente o indirettamente. Anche le cose più dure, più negative. In “Bazar”, alla fine della seconda strofa, dico che “il romano è cafone”, perché è così: se prendi Roma, prendi tutto. Puoi prenderti i versi di Belli, ma anche il lato più ruvido e sfrontato della città e della romanità. Di me, non so davvero cosa penserebbe. Sicuramente ti guarda, ti giudica, ma non te lo dice. È una città che i suoi giudizi se li tiene stretti. E anche questo silenzio è stato un punto di partenza per il disco. Roma è il posto in cui convivono politica e chiesa, fascisti e comunisti… tutto il contrario di tutto. E crescendo qui, non puoi fare a meno di assorbire anche queste contraddizioni.

Hai detto che la tua musica non vuole essere un “oppio del popolo”, ma semplicemente dare voce a un’urgenza. Qual è quell’urgenza per te? C’è un momento preciso in cui l’hai sentita più forte?

Scrivere è sempre stata un’esigenza naturale per me, qualcosa che ho fatto fin da bambino. All’inizio erano poesie, pensieri sparsi… niente di strutturato o con l’idea di farne un mestiere. Era tutto molto casuale, spontaneo. Poi a un certo punto mi sono detto: “Perché non provare a scrivere una canzone?”. Ascoltavo rap praticamente dalla mattina alla sera era parte di me, quindi mi sono chiesto quanto potesse essere difficile provare. E alla fine non era così impossibile come pensavo. La vera urgenza, però, è arrivata dopo un lutto importante in famiglia. È stato un momento che mi ha segnato profondamente, e da lì è nato anche il mio nome d’arte. In quel periodo ho sentito un bisogno ancora più forte di scrivere: mettere giù parole mi aiutava a tirare fuori quello che avevo dentro, senza filtri. Scrivere canzoni è diventato quasi una scusa per parlare liberamente, per esprimere quello che altrimenti non sarei riuscito a dire.

Sei nato e cresciuto a Roma, ma il tuo nome d’arte viene da Scicli. Cosa porti con te della Sicilia, oltre al nome?

Porto con me le abitudini della mia famiglia, soprattutto in cucina, e anche un’eredità che viene dalla Libia, perché mio padre è nato lì. Tanti siciliani, soprattutto del sud-est, hanno avuto un legame con la Libia, e anche nella mia famiglia questa cosa si sente. In particolare, la Sicilia mi ricorda mia nonna: il suo modo di parlare, di cucinare… sono ricordi fortissimi. Nonostante questo, non mi sento in diritto di rappresentare una città come Scicli, dove in fin dei conti vado solo in vacanza. Sarebbe presuntuoso dire di parlare a nome di chi ci vive ogni giorno. Io sono cresciuto a Roma, e Roma è la mia città. Però quando è venuta a mancare mia nonna, chiamarmi Sciclitano è stato qualcosa di naturale. Prima è nata una barra in un pezzo, poi è diventato il mio nome d’arte. All’inizio non avevo nemmeno un nome d’arte vero e proprio… è successo un po’ per caso. Di Scicli mi porto dietro la famiglia e le tradizioni, cose che mi appartengono profondamente. Per esempio, uno dei piatti che amo di più è il couscous, un piatto che racconta tutto questo incrocio di culture che fa parte della mia storia.

Com’è nata “BORGHETTI”?

BORGHETTI” è nata come nascono quasi tutte le mie canzoni: in studio, ascoltando il beat e lasciandomi guidare dalle sensazioni del momento. Non arrivo mai con un testo già pronto, perché non riesco a scrivere da solo. È una cosa che mi succede da un sacco di tempo: se non c’è qualcuno lì con me, se non percepisco una specie di “giudizio” esterno, mi blocco. Invece davanti ai produttori, con loro presenti, è come se stessi affrontando una prova, un piccolo esame — e lì riesco a scrivere, a buttare fuori tutto. Anche “BORGHETTI” è venuta fuori così, in modo spontaneo. Io non scrivo mai canzoni monotematiche, non riesco a concentrarmi su un solo argomento. Il mio modo di scrivere è molto diretto: metto giù quello che mi passa per la testa in quel momento, senza troppi filtri. In questo caso ho raccontato alcune mie abitudini quotidiane, cose molto reali per me. Il Borghetti, ad esempio, è l’amaro che beviamo prima di entrare allo stadio. È un gesto che fa parte del mio rituale, della mia vita. L’esperienza dello stadio per me è fondamentale: ci sono cresciuto, mi ha formato. Anche questo entra nelle mie canzoni, senza che ci sia per forza un messaggio preciso. È più una fotografia di quello che vivo.

Tifi Roma?

Tifo Roma, da sempre. Sono entrato allo stadio grazie alla mia famiglia, mi ci hanno portato fin da piccolo. È un posto dove sono cresciuto, che mi ha insegnato tanto — uno dei pochi luoghi in cui, ancora oggi, mi sento davvero a casa. “BORGHETTI” nasce anche da questo: è il simbolo di un’abitudine, quel bicchierino che ci beviamo prima di entrare, quasi un rito. Ma nel pezzo non parlo solo di quello. C’è anche l’amore, o meglio, l’eco degli amori passati, di quelli che ti restano addosso. Ogni barra è diversa dalla precedente, perché mentre scrivo mi affido a quello che mi viene in mente in quel momento. Non seguo un filo logico preciso, ma c’è un’atmosfera comune che lega tutto: una specie di malinconia, un pensiero costante a ciò che è stato, che si mescola a queste abitudini quotidiane. Alla fine, il Borghetti diventa quasi un pretesto per parlare anche di quello.

Servirebbero tre vite per la merda da smaltire”. Se ne avessi davvero tre, cosa faresti di diverso nelle altre due?

Se davvero mettessi la testa a posto, potrei pure fare il Presidente della Repubblica, volendo. A volte mi piace immaginare che, se avessi tre vite a disposizione, nella prima farei il rapper — come sto facendo adesso — nella seconda il presidente della Repubblica, e nella terza… probabilmente finirei per farmi arrestare.

Il brano “Patrizia” vede la collaborazione di Chicoria. Com’è andata con Armando?

Ho conosciuto Armando qualche anno fa, dopo un live. Fu lui ad avvicinarsi per parlarmi, e da lì siamo entrati subito in sintonia. Dopo un po’ di tempo ci siamo risentiti: io gli ho mandato una bozza di un pezzo su cui stavo lavorando e a lui è piaciuta subito. Mi ha detto che avrebbe scritto la sua strofa e poco dopo ci siamo visti in studio. Quando è arrivato, aveva con sé un quaderno, un taccuino con le parole scritte sopra. Quella scena mi è rimasta impressa: vedere le barre su un foglio di carta, in un mondo dove ormai si scrive quasi tutto al telefono, mi ha colpito tantissimo. Poi abbiamo registrato insieme, è stato un momento davvero bello. Io sono cresciuto con le sue canzoni, con i suoi dischi… qualche anno fa sarebbe stato impensabile per me lavorare con lui. È stato un po’ come palleggiare con Totti: una cosa che sogni da sempre, ma non pensi possa succedere davvero.

Dopo Santi e Chiese che direzione vorresti prendere?

Non so esattamente quale sarà la mia direzione, ma cerco sempre di restare coerente con me stesso. Se questa coerenza mi ha portato a scrivere Santi e chiese, sono sicuro che mi porterà anche altrove. Per me la cosa più importante è dire la verità, non perché voglia dimostrare di essere “real” — sinceramente, a me di certe etichette non importa nulla. È anche il motivo per cui non mi ritrovo in molti discorsi tipici del rap: certe dinamiche mi interessano poco, mentre per altri sembrano essere la base di tutto. Io faccio musica perché ho qualcosa da dire, e se un giorno non riuscissi più a farlo, mi inventerei altro. Non ha senso per me fare il rapper solo per fare il rapper. L’unico obiettivo è raccontare quello che ho dentro, essere onesto. La musica per me è terapeutica, ma lo diventa davvero solo se sei sincero fino in fondo con te stesso. Non so dove mi porterà questo percorso, magari andrò verso sonorità un po’ più melodiche… oppure no. Non mi pongo limiti, l’importante è che resti tutto vero.

C’è un artista con cui i sogni di collaborare, anche fuori dalla scena rap?

L’artista che trovo più interessante tra quelli usciti negli ultimi tempi è sicuramente Lucio Corsi. Non sto dicendo qualcosa di rivoluzionario, lo so, ma è davvero quello che penso. È uno di quelli che ha spaccato di più, sia come personaggio che per l’attitudine artistica che ha, per il modo in cui dice le cose. Mi ha colpito molto, trovo che abbia un talento enorme. E poi è un cantautore vero, ed è qualcosa che, onestamente, non vedevo da vent’anni. Se invece parliamo di rap, ovviamente ti direi Noyz, è un riferimento. Ma in generale ce ne sono tanti che mi piacciono, quindi fare un solo nome è difficile. Dipende anche dai momenti, da quello che cerco in un certo periodo.

Dopo l’uscita dell’album ci saranno dei live?

Uno sicuramente il 29 maggio a Testaccio e poi credo ce ne saranno tanti!

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