“Indi”: Gazzelle tra nostalgia e presente. Il pop che racconta un’intera generazione

da | Gen 24, 2025 | Recensioni album

Tra spunti anni Ottanta, synth, casse che caricano sull’arrivo del ritornello, ma soprattutto tanti brani “à là Gazzelle”, ancora una volta il cantautore romano dimostra di saper raccontare rapporti interpersonali fallaci, amori non corrisposti e storie giunte al capolinea con parole universali

Venerdì 24 gennaio è uscito Indi, il sesto lavoro in studio di Gazzelle. A partire dal titolo, il cantautore romano gioca sulle sue origini: crea un’associazione per omofonia con il genere musicale che gli ha dato i natali, e lo riadatta al quotidiano, ad una necessità popolare decisamente più contigua al pop che all’alternative. 

Flavio Pardini, questo il vero nome del cantautore, si buttò in corsa in quel biennio musicale particolarmente fortunato che fu il 2016-2017, che vide consolidarsi una nuova scena e tante voci fresche (Coez, Calcutta, i Thegiornalisti, Carl Brave e Franco126, per citarne alcune) e rappresentative di una realtà diversa da quella del passato. E di lì in poi ha saputo seguire (e non raramente anche trainare) le svolte di un genere fino alla sua decadenza e alla sua svolta più “mainstream”.

Indi: la musica per raccontare l’universale

Indi si inserisce perfettamente in questo discorso di popolarizzazione del genere, e ancora una volta Gazzelle dimostra di saper raccontare rapporti interpersonali fallaci, amori non corrisposti e storie giunte al capolinea con parole universali, comprensibili e godibili a tutti.

L’album si apre con la prima traccia, Piango anche io, in cui le prime note, delicate e sognanti, si intrecciano con un ritmo di cassa che cresce gradualmente, fino a un climax esplosivo e ad una chiusura più morbida, simile a una ninna nanna. Il brano è introdotto da una citazione da “Forrest Gump”.

“Vorrei dire qualcosa sulla vita. Ok ma come si fa a parlare della vita? È come se la farina sapesse parlare della pizza che diventerà o come se una giornata stupenda sapesse parlare della giornata tremenda in cui si trasformerà”

Quasi una dichiarazione d’intenti esplicita, a ridurre le responsabilità della musica e a presentarla piuttosto come un veicolo per raccontare il presente, l’oggi, senza concentrarsi troppo su cosa sarà.

È anche vero che per parlare della quotidianità, Gazzelle si serve spesso del passato. Nel terzo brano, il singolo edito Noi no, canta “quel 2017 non ritornerà”, come metafora estrema di una malinconia perenne verso “Superbattito”, verso una novità sonora e di concetti che volenti o nolenti, non saranno mai più così innovativi. Paradossalmente, però, il brano che più invoca la nostalgia e l’imprigionamento dei ricordi è uno tra i più riusciti, a partire dal sound (che comunque molto rimanda a quel famoso lp d’esordio).

Nostalgia, tenerezza e ironia: i tratti caratterizzanti di Gazzelle

Si alternano poi spunti anni Ottanta, synth, casse che caricano sull’arrivo del ritornello – ma anche lettere aperte come Stammi bene, in cui, accompagnato dalla musica, Flavio si esprime quasi in un grido liberatorio nei confronti di qualcuno a cui ha voluto bene. Poi qualche spunto nuovo, come Il mio amico si sposa, la canzone più autoironica in cui gli accordi di chitarra iniziali si trasformano in un folk liturgico e si sviluppa una contrapposizione tra le aspettative sociali e il proprio ideale di libertà.  

E ancora brani “à là Gazzelle” uno dopo l’altro, a partire dai singoli Come il pane e Tutto qui, presentato in gara a Sanremo 2024. Con la sua penna essenziale, Flavio continua a mantenersi dentro gli standard dell’indie italiano (o meglio, quello che fu), riportandovi però situazioni sempre più cristallizzate. 

Tra indie e “Indi”

Forse è questo che separa il 2017 dal 2025, ciò che distingue gli anni dell’indie da Indi (che potrebbe essere interpretato anche con la sua valenza etimologica, di successione temporale, come a dire “da quel momento”): la globalizzazione delle parole, che di album in album si sono fatte meno simboliche e più visive, immediate. E Indi è una fotografia finita e riconoscibile di Gazzelle e dell’aspettativa che lui stesso ha creato nel pubblico. 

“In questa nostalgia ci ho costruito casa mia”, canta nell’epilogo Non lo sapevo. È la chiusura perfetta di un album e la metafora dell’intero percorso artistico di chi ormai non solo ha preso confidenza con la ricerca di sé, ma ne ha fatto la lingua di dialogo di una intera generazione che non cerca espedienti e sperimentazioni, ma piuttosto una musica che sappia raccontare il presente.

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