Se pensiamo agli artisti italiani più politici di sempre non può che venirci in mente l’epoca dei cantautori impegnati.
Stiamo parlando dei più famosi cantautori a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 che hanno scritto canzoni di protesta contro la guerra e denuncia sociale, canzoni che sono diventate simbolo delle lotte operaie e studentesche e che si cantavano durante le manifestazioni. Uno dei più noti è sicuramente Paolo Pietrangeli che scrisse Contessa. E poi Generale di Francesco De Gregori, che è una delle canzoni più famose contro la guerra. Auschwitz di Francesco Guccini e La guerra di Piero di Fabrizio De Andrè, per citarne solo alcune.
Quelli sono gli anni del grande successo di Lucio Dalla, Antonello Venditti, Francesco De Gregori, Fabrizio De André, Francesco Guccini, e ancora Gaber, Lolli, Battiato e molti altri. Ognuno di loro, con le sue caratteristiche, dà il via ad una stagione di grandi canzoni ideologiche e politiche.
Il decennio ’68-’78 nel nostro Paese è stato un periodo fortemente caratterizzato dal punto di vista ideologico per i giovani. Ecco il contesto in cui nascono i primi artisti politici italiani.
In questo periodo la musica d’autore, la novità del concept album, l’utilizzo di un nuovo linguaggio letterario e di nuovi modelli musicali, come il folk americano, il jazz, la ballata irlandese, sono tutti elementi che contribuiscono a costruire l’impegno politico dei giovani e stimolano alla combattività della società civile.
Gli ingredienti del cantautorato impegnato erano i temi trattati, il linguaggio, le soluzioni musicali ed anche l’immagine dell’artista e il rapporto con la discografia.
Dal punto di vista delle tematiche, la novità è che la riflessione sociale e politica si mischia a riferimenti alla quotidianità o, addirittura, costituisce lo sfondo di storie personali. Anticonformismo, ripensamento dei rapporti di genere, liberazione sessuale, allargamento della sfera della coscienza, lotta per i diritti individuali e civili, teoria e pratica delle minoranze, critica della scuola e dei saperi, pacifismo, si mischiano con le vicende individuali.
Nel contesto socio-politico degli anni ’70 molti di quei canti di ispirazione militante, come Contessa, diventano vere e proprie colonne sonore del “movimento politico”. Ma, mentre negli anni ’60 quei canti erano veicolati quasi esclusivamente dai canali della comunicazione di classe (occupazioni, cortei, manifestazioni di piazza, canzonieri e gruppi canori di movimento) ed erano viceversa trascurati dai canali della comunicazione di massa, ora, nel quadro di un massiccio allargamento dell’interesse politico da parte del mondo giovanile, il mercato musicale mostra segni di interesse. Gli argomenti di carattere collettivo, una volta connessi alla dimensione individuale, trovano la giusta combinazione per raggiungere una più vasta platea pronta ad accogliere certi temi.
La naturale conseguenza di questo investimento da parte del business musicale porta, da una parte, all’aumento di uno spazio politico sostenuto dalla discografia e raccolto nel repertorio dei cantautori, ma, dall’altra, al depotenziamento della carica provocatoria.
Verso la fine degli anni ’70 la politicizzazione dei giovani giunge però ad una saturazione.
Negli anni ’80 abbiamo assistito ad una crisi di identificazione dei giovani con l’ideologia e al loro allontanamento dalla politica di cui tanto si parla ancora oggi. Questo passaggio è stato intercettato bene anche dalla canzone d’autore che comincia a concentrarsi sul desiderio di gran parte del mondo giovanile di scrollarsi di dosso la “pesantezza” di politica e ideologie.
Questo passaggio che ha fatto scomparire la politica dalla musica per molto tempo , o almeno non è più presente in veste di canto politico nel senso classico che ci viene in mente pensando proprio agli artisti italiani più politici di sempre che erano tutti concentrati in quegli anni.
La politica oggi non è del tutto scomparsa dalla musica.
Le basi che si sono poste nel decennio della musica politicamente impegnata non si sono perse. Soprattutto in riferimento a quel concetto di rendere Pop, mainstream e accessibili ad un ampio pubblico, le tematiche politiche, sociali e civili, così come resta presente e, anzi, diventa sempre più forte la tendenza ad associare al contenuto musicale una precisa immagine dell’artista che lo schieri, più che in un’appartenenza politica, pro o contro qualcosa.
La tendenza generale degli ultimi anni riflette anche in questo caso il mondo giovanile. Quindi, se da un lato si prendono sempre più le distanze dal discorso politico e partitico, dall’altro si è sempre più vicini a battaglie sociali e di diritti civili, o su nuove tematiche come quella ambientale. Contemporaneamente c’è tutto un filone musicale più recente e più underground che, invece, si concentra su battaglie generazionali.
Ma queste tematiche che poniamo in contrapposizione alla musica politica, non sono in realtà esse stesse questioni che hanno a che fare con la politica?
Anche oggi ci sono molti artisti politici.
Basta pensare a tutti i concerti pro Palestina che abbiamo visto organizzare in Italia nell’ultimo anno e a tanti nomi di artisti famosi e affermati nel settore mainstream italiano.
I Modena City Ramblers che fondono la musica folk con la coscienza politica e la sete di giustizia. Pensiamo alla loro canzone sulla storia di Peppino Impastato o al fatto che siano tra i pochi che ancora portano in concerto Bella Ciao.
Daniele Silvestri, storico cantautore romano che non ha mai escluso l’argomento politico dalla sua musica e, anzi, nel 2019 ha fatto un intero disco politico che si chiamava Tempi Modesti dopo l’esperienza con i suoi amici e colleghi Max Gazzè e Niccolò Fabi, con i quali ha lavorato a un disco dal titolo Il Padrone della Festa incentrato sulla questione ambientale e di sviluppo dei Paesi del Sud del Mondo.
L’intera discografia di Caparezza è costellata di canzoni di denuncia politica. Così come quella di tante band tra cui gli Zen Circus, Lo Stato Sociale e i Ministri dei quali, tra le tantissime canzoni politiche, vale la pena citare quella sul G8 di Genova dal titolo La piazza.
Fiorella Mannoia è una tra le pochissime donne che uniscono la musica ad argomenti politici. Lei in particolare attiva sulla questione di genere e contro la violenza sulle donne con Una Nessuna Centomila, uno show live all’Arena di Verona, ma anche con la sua ultima canzone uscita recentemente dal titolo Disobbedire.
Su altre tematiche, quella dell’immigrazione e dei giovani di seconda generazione, si concentrato tanti altri artisti tra cui Ghali con canzoni di grande successo radiofonico come Cara Italia e Casa Mia.
Anche Willie Peyote inserisce spessissimo nelle sue rime questioni poiché, in particolare vengono in mente due sue canzoni: Io non sono razzista ma e Mostro.
Infine, quel filone di musica che racconta le battaglie della nostra generazione.
Battaglie che sembrano individualistiche ma sono sociali. Battaglie economiche e sociali legate ai cambiamenti culturali e politici che viviamo sulla nostra pelle o abbiamo ereditato dal passato. E, tra questi, sicuramente ci sono due gruppi abruzzesi, di Lanciano, i Management e i Voina che, senza peli sulla lingua e senza tralasciare la qualità musicale e testuale, sono i veri rappresentanti della nuova musica di rivolta.
Gli artisti italiani più politici di sempre sicuramente risiedono nel passato della nostra musica. Ma il fatto che la presenza degli argomenti politici nella musica sia più sporadico, imbellettato o di nicchia, non vuol dire che la musica e i giovani non siano più vicini alla politica. La forma è cambiata, forse non la sostanza.