“Chissà”: Willie Peyote e Ditonellapiaga cantano l’irresolutezza di un amore mai nato 

da | Ott 28, 2024 | Interviste

Tra ricordi, traslochi e foto evocative, in "Chissà", Willie Peyote e Ditonellapiaga raccontano una storia d’amore finita (o forse mai nata), tanto astratta quanto facilmente identificabile. L’intervista ai due artisti

Chissà se è tardi, se come me ti annoi e ti ritrovi a ripensarmi o se già dormirai”.

Si pongono dubbi esistenziali e domande destinate a rimanere senza risposta, Willie Peyote e Ditonellapiaga. Lo fanno nel brano Chissà, il primo in collaborazione tra i due, uscito il 25 ottobre su tutte le piattaforme digitali e distribuito da Universal Music.

Su una melodia dal gusto retrò, i due cantautori immaginano una storia mai vissuta, ma facilmente ascrivibile ad ognuno di noi. Fatta di ricordi, traslochi e foto evocative. Sopravvissuta nel tempo tra racconti fatti di tanti “se”, “forse” e “chissà” e tra tasselli eternamente insoluti che pian piano impariamo a farci andar bene anche così.

Com’è nata l’idea di duettare? 

Willie Peyote: L’idea è nata un paio di anni fa. Diciamo che c’è sempre stata, però ci è servito Fudasca a metterci insieme, perché ha organizzato questa session in pieno agosto, con un caldo infernale, qui a Roma, e ci siamo trovati due giorni in studio. È nato tutto in quarantotto ore, ma è stata Margherita a trainare tutto. Lo dico, così scarico su di lei ogni responsabilità. La parola “chissà” è venuta fuori da lei, la scelta dell’ambientazione musicale pure. Io mi sono solo lasciato portare, ma è stato molto bello. 

Ditonellapiaga: Anche io mi sono divertita molto. Ero convinta che sarebbe stato lui a guidarmi: ho detto “vado lì e vedo cosa mi propone”, invece si sono ribaltate le aspettative. Semplicemente è successo. 

Quanto è difficile mettere ognuno del suo in un featuring, cercando contemporaneamente di non stridere col vissuto dell’altro? 

W: Ma sai che non so se abbiamo parlato davvero del nostro vissuto in questo caso? Ci siamo fatti un viaggio, abbiamo immaginato una possibile ambientazione alternativa nel multiverso. È stato divertente perché Margherita ha buttato lì una roba e abbiamo scritto la sua parte. Poi sono andato io di là, ho scritto una strofa, sono tornato indietro, abbiamo scritto il ritornello e poi una seconda strofa. 

D: Quella per la creazione del ritornello è stata una sorta di sessione di brainstorming.

W: È vero, anche nelle parole. Non abituato a fare le session, avevo paura che fosse tutto un po’ rigido. Avevo anche un po’ di ansia da prestazione, invece è stato tutto talmente naturale… non so se tutte le session sono sempre così.

D: Non direi (ride, ndr).

Quindi non c’è stato molto da smussare l’uno dell’altro. 

D: No, all’inizio magari abbiamo dovuto trovare una quadra, un punto di partenza giusto, che fosse comune. 

W: Però ti giuro, non ho mai avuto la sensazione di dover fare uno sforzo per entrare nella sua ottica. Credo anche viceversa, le cose sono venute fuori e basta, da sole.

È venuto da se anche il titolo, Chissà?

D: Mi piaceva l’idea di immaginare che in un ipotetico universo alternativo potevamo stare insieme. Ogni tanto mi segno degli spunti, e la parola “chissà” mi sembrava piena di significato e di vissuto: suonava bene, poteva funzionare musicalmente e trovavo potesse aprire le porte a un viaggio, un film, come quello che un po’ abbiamo scritto noi. Era divertente l’idea di immaginarsi cosa faceva l’altra persona un po’ di tempo dopo essersi lasciati. Come diceva Guglielmo, non è un racconto legato a vissuti personali, è più una storia universale, con degli esempi molto comuni. 

W: Però la parte in cui si parla del gelato è legata a qualcosa di realmente accaduto, perché mentre registravamo siamo andati alla gelateria “La Romana” a mangiarci un cremolato (ride, ndr). E abbiamo deciso di inserirlo nel pezzo.

Nel brano dite: “Chissà se a volte guardi ancora le foto con me o le hai perse nel trasloco”. Voi siete più nostalgici o lasciate andare i ricordi con facilità?

W: Io in realtà mi sono reso conto che a casa ho ancora le foto. Non ho fotografie di nessun genere, ma quelle con una ex le ho ancora sulla libreria, le ho riviste l’altro giorno e mi hanno ricordato la canzone. In realtà perdo sempre tutto nei traslochi, non sono un affezionato alle foto. Questo è un caso. Di solito non conservo nulla, anzi, tendo a cancellare.

D: Io ho una scatola con ricordi inutili che non riguardo mai, però ce li ho, almeno. Anche le foto, spesso le conservo: anche se non le guardo mai, alcune sono sul computer dei miei genitori, spero non guardino mai cosa c’è lì dentro. Le tengo lì perché mi dà fastidio buttarle, mi sembra brutto come concetto, quello di eliminare dei ricordi creati con una persona che è stata importante per me. 

W: Che poi questo è proprio il senso del mood della canzone: che differenza fa sapere se mi pensi o meno? Non è importante. Però perché buttare via un ricordo di una relazione? 

Questa dimensione dell’indefinito, di quel chissà che dà il nome alla canzone, vi fa sentire impotenti o in qualche modo vi dà speranza, vi incuriosisce? 

W: È un modo di trattare una relazione passata in maniera adulta: prendi atto con molta leggerezza che non è così importante fare ancora parte della vita di una persona con cui sei stato. Ci sta che ogni tanto ci pensi, che ti torni in mente un ricordo, perché fa parte della vita e non è giusto cancellarlo. Ma è un modo molto maturo di dire “alla fine è un ricordo, perché dovrei buttarlo via”? Perché il mio attuale fidanzato dovrebbe essere geloso del fatto che ho avuto una vita sessuale precedente a lui?

E non è una cosa così malinconica quella di cui parla il pezzo. È qualcosa di piuttosto leggero, come a dire “alla fine non fa nessuna differenza, però oggi t’ho pensato”. E magari te lo scrivo, magari no. 

D: Esatto. Il brano può avere una veste malinconica, però poi il contenuto non è così melodrammatico. 

W: Non senti la mancanza di quella persona, ma è bello avere dei ricordi che ogni tanto ti riaffiorano in testa. Magari te lo dico, magari no, magari resto col dubbio. Chissà.

E questa leggerezza la nutrite anche nei confronti del vostro futuro e della vostra carriera? 

D: Oddio, già mi è venuta l’ansia. A proposito del futuro della mia carriera non provo per niente leggerezza. Sento un’ansia pesantissima, anche perché stiamo andando molto velocemente. Ci sono tanti momenti e occasioni in cui confrontarsi con gli altri e un’ossessione per i risultati che dobbiamo un po’ lasciare andare. Sono molto più serena nel pensare al mio futuro sentimentale, anche come un’ipotesi, rispetto alla mia carriera tra qualche anno, perché in ogni caso la vedo come un’ipotesi ansiogena.

W: Sono d’accordo. Non si può essere così leggeri pensando al futuro, soprattutto se si parla del nostro lavoro. Però, rispetto al passato, l’approccio che raccontiamo nel pezzo va bene anche in ambito lavorativo: ho fatto il meglio che potevo fare. Domani farò sicuramente di meglio, però guardarsi alle spalle pensando che quello che hai fatto è stato il massimo che potevi fare è una cosa bella, è un approccio giusto e adulto alle cose. Non è “nessun rimpianto, nessun rimorso” alla Max Pezzali, è più come dire, “oggi ho fatto il massimo, domani farò anche meglio”. 

La Playlist di Cromosomi