Willie Peyote è umano, fin troppo umano (non come dice lui)

da | Ott 24, 2023 | Interviste

Ci sono pochi artisti che riescono a distinguersi veramente nel panorama musicale italiano. Raramente possiamo dire:”Wow, questo sì che ci sa fare davvero”. Siamo solitamente circondati da una situazione non malvagia, ma stantia. Come l’odore di una stanza con le finestre chiuse da troppo tempo, o come un sacchetto di Gocciole chiuse male. Sono buonine […]

Ci sono pochi artisti che riescono a distinguersi veramente nel panorama musicale italiano. Raramente possiamo dire:”Wow, questo sì che ci sa fare davvero”. Siamo solitamente circondati da una situazione non malvagia, ma stantia. Come l’odore di una stanza con le finestre chiuse da troppo tempo, o come un sacchetto di Gocciole chiuse male. Sono buonine comunque, però niente di che. Sicuramente se ne mangiano di migliori. Ecco, più o meno lo stesso discorso lo possiamo traslare alla scena musicale del nostro Paese. Molto pop, molto indie-pop, moltissimo pop-punk. Quasi nessuno spicca davvero, rimanendo nei nostri cuori (e anche nelle nostre menti). Pochi ci fanno pensare sul serio, anche se, come disse qualcuno di molto più autorevole di me (nientepopodimeno che il signor Joe Strummer), è la cosa che ci dovrebbe fare alzare dal letto la mattina.

Ma attenzione, abbiamo detto “pochi“, non nessuno. Uno di questi è sicuramente Willie Peyote.

Un personaggio che da più di dieci anni è nel panorama musicale italiano, una proposta che non invecchia di un solo giorno. Un ibrido mitologico fra un rapper e un cantautore, Willie (al secolo Guglielmo Bruno) si presenta puntuale ogni due o tre anni con un disco che ci fa ripensare alla nostra intera vita e alla società tutta. Insomma, un concentrato di realtà che ci spariamo nelle orecchie a ogni nuova uscita, ma anche nei periodi di quiete artistica.

In vista del suo imminente tour, Cromosomi ha pensato di farci due chiacchiere. Che aspetti a scrollare?

Ciao Willie, come ti senti a ridosso dell’inizio del tuo nuovo tour, Non è (ancora) il mio genere?

Mi sento bene. Ne ho voglia. Ho voglia soprattutto perché sentendo le prove mi sono ricordato di quanto mi piace ascoltare i ragazzi che suonano. Anche solo per quello sono preso bene.

Non è (ancora) il mio genere è un chiaro riferimento al tuo secondo album, Non è il mio genere, il genere umano. Come mai hai riesumato questo filone del primissimo Willie Peyote?

In questo periodo fanno 10 anni dall’uscita della prima versione di quel disco. Poi il primo pezzo dell’ultimo disco si chiude con la frase “Non è ancora il mio genere“, citando sempre quell’album lì. Mi piaceva come idea che in qualche modo quella frase racchiudesse il percorso che c’è stato in questi dieci anni. Non è per forza un tentativo di Pornostalgia applicato a me stesso, ma perché in questi anni sono successe tante cose. Sono cambiato io, è cambiato il mondo intorno a me, è cambiata la musica. Mi piaceva cercare di creare un concerto nel quale in qualche modo affrontare tutto il percorso, rispondendo alla domanda “quanto si può rimanere uguali pur cambiando continuamente?”.

Cosa non vedi l’ora di portare sul palco?

Beh, in realtà ho voglia di suonare e di sentire alcuni arrangiamenti nuovi che abbiamo creato con i musicisti per alcuni pezzi vecchi che non abbiamo mai fatto con la band. Sarà interessante vedere come verranno recepiti. Poi ci sono quei pezzi che mi piace fare perché so che qualcuno sotto li canterà, quindi è una soddisfazione personale. E’ sempre un piacere suonare i pezzi che ho fatto più spesso, ma è sempre bello farlo con qualcuno che ha voglia di sentirli. Non c’è un pezzo che preferisco suonare rispetto ad altri, mi piace star sul palco con dei momenti dove non devo cantare ma posso ascoltare.

Domanda da invasata: farai mai qualcosa live di Manuale del Giovane Nichilista?

Forse non abbiamo mai fatto niente di quell’album, con la band sicuramente no. Non in questo tour. Noi spoiler, ma in realtà nel 2024 sono vent’anni da In teoria, quindi su quella stiamo lavorando. Non per questo tour però, che va da Il mio genere a oggi.

Allora rimarrò su queste frequenze. Quello che ha sempre rappresentato molto l’arte del progetto Willie Peyote sono i tuoi testi spesso politici.

Sicuramente nasce da ciò che ho ascoltato e da ciò che mi ha influenzato come ascoltatore innanzitutto, anche nella mia formazione personale e di essere umano. I Rage Against The Machine non sono un nome da cui posso prescindere nel raccontare cosa mi ha formato. Anche la musica italiana, come i 99 Posse e il rap italiano e straniero anni ’90. Io come ascoltatore ho sempre cercato quello. Ovviamente il lavoro dell’artista quando viene applicato alle logiche del mercato è fare una combinazione fra ciò che piace a me ascoltare e ciò che so piacere a chi mi ascolta. Bisogna trovare la giusta intersezione fra le due cose.

Da dove prendi l’ispirazione per trattare di argomenti sempre così pungenti e attuali?

Non lo so. Secondo me la scrittura in musica nasce dall’esperienza e dal guardarsi intorno, dall’osservazione. Di conseguenza potrei dirti che le cose che mi succedono, che leggo, che sento raccontare sono motivo di ispirazione. Semplicemente quello che mi circonda, ecco. Il compito di chi fa comunicazione o di chi scrive è quello di stare sempre in ascolto verso l’esterno e poi riportare.

Da anni ti accompagna la Sabauda Orchestra Precaria in tour. Come mai un rapper po’ cantautore sceglie di suonare con una band jazz?

Alcuni musicisti sono proprio jazzisti, come Dario (che ora suona con Ernia). Il motivo è che a me piace ascoltare la musica suonata e mi piace ascoltare loro quando suonano. Ho la fortuna di aver creato insieme a loro una band di cui sono orgoglioso non perché mi accompagnano, ma perché mi piace stare ad ascoltarli. Anche lì è una questione di gusto: a me è sempre piaciuta la musica suonata, quindi volevo farla io per primo.

Hai già delle date sold out, tra cui una data a Bologna, città per cui hai un attaccamento particolare.

Bologna è la prima città che mi ha accolto e che mi ha fatto suonare in concerto dopo Torino. E’ la prima città dove ho vissuto l’esperienza di portare fuori la mia musica. Ci sono anche legato per motivi personali, perché l’ho frequentata molto e perché sono stato fidanzato per lungo tempo con una ragazza di Bologna. E’ una città che ho vissuto anche da vicino spesso, ci sono stato tanto. Quest’anno possiamo fare una data sola per motivi organizzativi, ma avevamo tutto il margine per farne una seconda. Bologna risponde bene, mi ha sempre accolto bene e io mi ci sono sempre trovato bene. E’ una seconda casa.

Com’è suonare a Venaria Reale per te che hai in rapporto così viscerale con le tue origini?

E’ bello, perché Torino risponde con grande affetto. Questo è un tour in cui a chi verrà devo molto, dato che dimostrano ancora una volta più l’attaccamento al progetto. Torino e Bologna sono la cartina tornasole dell’attaccamento, senza dubbio. E’ sempre bello suonare a Torino. L’ultima volta che ci ho suonato è stato al chiuso, al Concordia, nel 2020, subito prima che venisse chiusa la città per via del Covid. Facevo quattro serate all’epoca. Per noi tornare a suonare nei club oggi è anche una novità: sono tre anni abbondanti che non ci suoniamo. Ci piaceva proprio l’idea di tornare in quei posti.

Hai una signora carriera ultradecennale. Qual è il traguardo di cui vai più fiero?

Nonostante tutto, di essere riuscito ad arrivare dove sono arrivato ora. Più lentamente rispetto ad altri percorsi, ma ho raggiunto gli obiettivi che mi ero prefissato. Non c’è un traguardo di cui vado fiero, c’è sempre il prossimo, quindi bisogna pensare in avanti. In qualche modo è anche il motivo per cui abbiamo intitolato il tour in questo modo e il tentativo che vogliamo portare avanti in questo tour: l’essere stato comunque coerente con l’idea che avevo della musica prima di iniziare a farla. Anche oggi, dopo tanti anni che la faccio e dopo tante cose successe nel mezzo, tanti dischi, tante situazioni, Sanremo e altre cose, io sento ancora la stessa vicinanza con il ragazzo che iniziava. E’ cresciuto ma è sempre la stessa persona: questo è il traguardo di cui vado più fiero. Non ho mai perso di vista i motivi per cui ho iniziato a farlo. Non è mai stato mio interesse fare la popstar, quindi su questo sono stato coerente.

Decisamente. Qual è invece il traguardo che ti manca?

I traguardi che mi mancano sono talmente tanti che non saprei. Non lo so. Io voglio ritornare ad approcciarmi alla musica con la stessa leggerezza con la quale ho iniziato, che col tempo, diventando un lavoro, si è un po’ persa. Il traguardo è quello di riuscire a farla conoscendo il mestiere ma con la stessa naturalezza e spregiudicatezza che si ha quando non si conosce ciò che si sta facendo.

In definitiva, cosa ti aspetti da questo tour?

Mi aspetto di poter restituire un po’ dell’affetto che ricevo, di sentire il calore delle persone che mi aiutano a ricordare quali sono i motivi per cui vale la pena di suonare, per cui sono una persona davvero fortunata. Mi aspetto di sentirmi di nuovo accolto dalle persone. Quello sì che è un traguardo che diamo sempre per scontato. Vorrei restituire qualcosa: sono gli artisti a essere a servizio del pubblico, non viceversa.

E noi cosa ci dobbiamo aspettare?

Tanta musica suonata, perché lascerò spazio a questi benedetti musicisti che sto sempre lì a raccontare, così sentite anche voi quanto sono bravi. Alcuni pezzi riveduti e corretti dell’inizio della carriera e tutta una serie di nuove citazioni. Una delle gag che ci piace fare quando suoniamo è di mettere citazioni di pezzi altrui nelle nostre canzoni. Ci si deve aspettare anche un viaggio nei nostri ascolti, tra una citazionne e l’altra di cui verrà cosparso il live.

Ma quindi, chi è Willie Peyote?

Non l’ho mai saputo. La cosa strana di essere un personaggio pubblico è che la differenza da te come persona e dalla percezione che hanno gli altri di te magari è così lontana che non sai più quale delle due sia vera. Sono vere entrambe: sono la stessa persona che iniziava a fare questo lavoro, sono un ragazzo ormai non più di primissimo pelo a cui piace la musica e che ogni tanto se ne dimentica. Penso di essere la stessa cosa anche oggi. Quando la musica mi ridà di nuovo la stessa soddisfazione che mi dava da adolescente, è una delle sensazioni più belle del mondo. Il concerto degli Arctic Monkeys di quest’estate, un disco bello che esce quando non me lo aspetto, sentire la band che suona mentre io sto zitto alle prove,… quei momenti lì mi danno ancora quella stessa scossa. Sono la stessa cosa che ero a quindici anni, solo che ne ho ventitré in più.

La Playlist di Cromosomi