Intervista a Trilussa: “Mi consolo, mi confido, mi innamoro”

da | Dic 4, 2025 | Interviste

Trilussa torna con un progetto intimo e necessario: “Mi consolo, mi confido, mi innamoro”. Un EP che scava nelle zone d’ombra, dialoga con le fragilità e abbraccia il presente senza filtri. Un viaggio che racconta il bisogno di fermarsi, guardarsi davvero dentro e ricominciare.

Nel suo primo EP, uscito il 21 novembre per Honiro Label, Trilussa compie un gesto coraggioso: si siede davanti a sé stesso e decide di ascoltare ogni sfumatura del proprio caos. Mi consolo, mi confido, mi innamoro prende forma come un percorso circolare, tre movimenti emotivi che non cercano risposte assolute ma appigli reali, quotidiani. Ma il disco nasce da un’urgenza: rallentare, respirare, trovare un modo per non perdersi mentre tutto intorno sembra correre senza logica. Trilussa affida ai suoi brani la parte più fragile e più vera di Marco, il ragazzo che vive un autunno personale fatto di pensieri veloci, paure sottili e desiderio di semplicità.

La tracklist, “Chissenefrega”, “Viale Gottardo”, “Roma s’addorme”, “Tuo no”, “Quante volte”, costruisce una narrazione che assomiglia a una serata trascorsa in un pub semivuoto, quando fuori piove e dentro si aprono conversazioni che non hai il coraggio di fare alla luce del sole.

Trilussa racconta ciò che accade mentre ci si interroga troppo: le strade che conosci, i luoghi che ti parlano, le scelte rimandate, gli amori che non sai se trattenere o lasciare andare. La sua scrittura è diretta ma mai banale; cerca l’essenziale, quella scintilla che permette di affrontare l’oggi senza rifugiarsi nel passato o proiettarsi in un domani incerto.

Tra dubbi, strade di Roma e confessioni sincere

La forza dell’EP sta proprio nel suo nucleo: un invito a restare nel qui e ora, anche quando nulla sembra funzionare. Trilussa si mette a nudo senza spettacolarizzare il dolore; si affida alle parole per consolarsi, alle persone vicine per confidarsi e alla spontaneità per innamorarsi ancora, anche della vita più complicata. Il progetto diventa così un piccolo manifesto della vulnerabilità contemporanea, un modo per dire che non servono risposte perfette ma gesti semplici, sinceri, quotidiani.


Dopo aver trasformato le sue inquietudini in un EP intenso e autentico, Trilussa si apre con noi per raccontare origini, visioni e desideri nascosti dietro Mi consolo, mi confido, mi innamoro. Un dialogo che svela cosa significa fare musica oggi mettendo davvero in gioco sé stessi.

Mi consolo, mi confido, mi innamoro. Com’è nato?

“All’inizio era un po’ complicato trovare il titolo di questo lavoro, ci ho pensato tanto. Doveva chiamarsi “(Roma) s’addorme”, come uno dei brani, poi però riascoltando le tracce, in una parte di un brano è uscita la frase “mi consolo, mi confido, mi innamoro”. Ci è venuto così, come un lampo di genio, di chiamarlo in questo modo, perché alla fine racchiude un po’ tutto ciò che dicono i pezzi. È stato un caso, ma allo stesso tempo molto naturale.”

Quando scrivi, dialoghi con il Marco di ieri o quello di domani?

“Pesco un sacco dal Marco di ieri e cerco di proiettarmi nel Marco di domani, anche se diventa più complicato. Sono una persona che nei testi mette molto in dubbio il futuro, quindi cerco di prendere spunto dal passato per cambiare ciò che verrà, ma sempre con un filo di dubbio, con un grande punto interrogativo.”

Ti consoli scrivendo?

“Decisamente.”

Ti ricordi la prima volta in cui hai capito che la musica non era solo qualcosa che ascoltavi, ma un posto dove stare?

“Ricordo la sensazione di aver scritto un brano e, per un attimo, aver sentito di essere in pace con me stesso in un periodo che mi turbava. Mi consola buttare fuori parole, pensieri e racconti, fare i conti con me stesso e con le cose che avevo lasciato in sospeso.”

“Chissenefrega” apre il disco. È una liberazione o una resa?

“Per quel brano ci siamo visti in studio con i ragazzi. Io stavo passando un periodo personale complicato, con molti impegni e varie problematiche. Sono una persona che fa fatica a lasciar andare le cose, e quel giorno ricordo di essere arrivato in studio dicendo che il pezzo doveva iniziare proprio con un “chissenefrega”, perché avevo bisogno di mollare un attimo tutto. Era anche un momento storico pieno di incertezze, giornali e telegiornali raccontavano caos ovunque… senza voler fare politica. C’è stato un attimo quasi egoistico nel dire “chissenefrega”, nel senso di provare a vivere la nostra vita e andare avanti, lasciandoci alle spalle il più possibile. È un po’ questo il senso: una liberazione.W

Viale Gottardo torna più volte nel tuo progetto. È quasi un personaggio. Che tipo di presenza è per te quella strada?

“È una strada molto importante, perché andavo a scuola lì vicino e Montesacro è una zona che mi rappresenta tantissimo. Viale Gottardo è piena di locali: la sera si riempie, la mattina c’è il mercato, insomma è una strada dove c’è sempre movimento. Quando cala il sole si accendono le luci e arriva un sacco di gente. È stato per anni — e lo è ancora — un punto di ritrovo. La storia del brano “Viale Gottardo” nasce esattamente da quello che ho vissuto: un giorno, mentre ero lì per un aperitivo, ho visto una ragazza con cui avevo legato molto abbracciarne un altro. È nato tutto da quell’immagine, che poi ho semplicemente raccontato.”

Roma s’addorme osserva la città quando smette di fare rumore. Com’è Trilussa quando la città dorme? Si accende o si spegne?

“Per me Roma è casa, ed è tante cose: risposte, domande, tempo libero. La traccia me la sono immaginata così: io che giro per Roma in macchina, tra i ponti sul Tevere e i vicoli, pensando tantissimo e cercando di darmi più risposte possibili. “Roma s’addorme” è quasi un modo di dire, perché mentre la città dorme, dubbi e domande continuano ad esistere. Io giro in una città che si addormenta, ma la testa è sempre accesa.”

Se dovessi descrivere questo EP con tre aggettivi quali useresti?

“Calmo, nostalgico e caldo.”

Nel disco non c’è la figura di un “grande amore”, eppure l’amore c’è dappertutto. Per te l’innamorarsi è un movimento verso l’altro o un movimento verso sé? Come riesci a scriverne?

“L’amore è un’utopia: cerchi di trovarlo, anche se è complicato. È difficile incontrare qualcuno di “perfetto”, ma io parlo dell’amore soprattutto per ciò che lascia quando finisce, che è la parte che fa più male. Non racconto tanto il rapporto in sé, quanto quello che l’amore ti lascia addosso. Penso che sia proprio l’amore il motore che mi fa scrivere: quando siamo innamorati è tutto bello e ci sono molti meno pensieri; quando invece finisce, la testa accelera e io inizio a pensare molto di più.”

Porterai live queste canzoni?

“Sì, penso il più possibile.”

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