In poco più di dieci anni, Álvaro Soler è diventato uno degli artisti latini più riconoscibili e amati a livello internazionale. Con oltre due milioni di dischi venduti, più di cinque miliardi di stream tra audio e video e oltre 150 certificazioni d’oro e di platino, ha costruito un percorso capace di coniugare leggerezza e profondità, un pop solare che parla tante lingue ma che conserva sempre la sua identità mediterranea.
Il pubblico lo ha conosciuto nel 2015 con El Mismo Sol, il singolo che lo ha consacrato come nuova stella mondiale e che ha aperto una carriera fatta di viaggi, collaborazioni e concerti in ogni parte del globo. Da allora Soler non ha mai smesso di crescere, trasformandosi da giovane promessa a voce riconosciuta e rispettata della scena pop internazionale.
Oggi, a 34 anni, l’artista si prepara ad aprire un nuovo capitolo della sua storia. Il suo prossimo album, in uscita il 10 ottobre per Sony Music, porta un titolo emblematico: El Camino. Un titolo che sembra racchiudere in sé l’idea di viaggio, non solo geografico ma anche umano e interiore. È la tappa simbolica di un percorso che guarda al passato, vive intensamente il presente e si proietta verso il futuro.
Negli ultimi anni la vita di Álvaro è cambiata profondamente anche sul piano personale: il matrimonio e la nascita di sua figlia hanno segnato una svolta che si riflette anche nella sua musica e nella sua visione del mondo. Oggi si descrive come più equilibrato, riflessivo e curioso, pronto a mettersi alla prova e ad andare oltre le aspettative.
Álvaro Soler tra passato, presente e futuro
El Camino inaugura un’avventura artistica che promette di essere al tempo stesso intima e universale, capace di intrecciare esperienze personali, contaminazioni culturali e nuove esplorazioni sonore. Un diario musicale che, più che raccontare un traguardo, segna una ripartenza.
Lunedì abbiamo incontrato Álvaro Soler in Sony Music Italy a Milano, per una conversazione speciale, interamente in italiano. Un incontro intimo e spontaneo, in cui l’artista ha condiviso riflessioni sul futuro e sul cambiamento che sta vivendo, ma anche ricordi legati agli anni di Sofia e al successo mondiale di “El Mismo Sol”. Una chiacchierata che ha unito nostalgia e nuove prospettive, con la naturalezza che da sempre contraddistingue il suo percorso umano e musicale.
El Camino è descritto come un vero e proprio “road movie musicale”. Se dovessi raccontare questo viaggio in tre tappe fondamentali della tua vita, artistiche o personali, quali sceglieresti e perché?
“La prima è il Giappone, vissuto da bambino dai 10 ai 17 anni, per me è stato molto interessante e mi ha aperto tantissimo la visione del mondo. Lì ho potuto conoscere e condividere culture diverse con tante persone, frequentando una scuola tedesca e spagnola, dove si respirava una grande varietà culturale: quella è stata la prima tappa. Ovviamente la mia nascita è una cosa molto importante, essendo metà tedesco e metà spagnolo, ma direi Tokyo come punto di partenza. La seconda tappa è stata il 2015 con ‘El Mismo Sol’ in Italia, perché è stato il primo Paese ad accogliere la mia musica e a darmi la forza di continuare, portandomi poi anche negli altri Paesi: è stato incredibile, l’Italia per me è un vero regalo. La terza tappa, infine, è la nascita di mia figlia. Sono tre momenti bellissimi: mi considero molto fortunato.”
Diventare padre ha cambiato il tuo modo di scrivere e di vivere la musica?
“Sì, penso di sì. Non solo nel fare musica, ma proprio nella vita in generale, nel modo di vedere le cose. Con lei ho più paura di tutto, perché voglio proteggerla, e nella mia testa immagino tutti gli scenari possibili come in un film. Creativamente, invece, credo di essermi rilassato di più: non sento più la pressione dei numeri, ma solo la voglia di fare musica che mi piace.”
C’è stato un momento preciso in cui hai sentito che, scrivendo questo nuovo album, stava nascendo un nuovo Álvaro?
“Sì. Diciamo che ‘El Camino’ è stato un lungo periodo di sperimentazione, durato quasi due anni, in cui stavo ancora cercando il suono e la direzione giusta. Tutto è cambiato con la prima canzone, ‘La Distancia’: lì è arrivato il momento di illuminazione. Ho capito che quella era la canzone e quella la strada da seguire. È stato liberatorio, perché finalmente avevo trovato il senso di tutto. In quel brano ho messo speranza, positività e allegria: non un’allegria da spiaggia, ma l’energia di un viaggio, la voglia di guardare lontano e andare avanti. Questa è la sensazione che ho voluto trasmettere.”
Molti ti conoscono per i tuoi ritornelli solari e immediati, ma in “El Camino” si percepisce una maturità diversa. C’è una canzone che senti come manifesto della tua evoluzione interiore?
“Molte canzoni dell’album lo sono, ma forse ‘Apágame’ lo rappresenta più di tutte. Ha un suono diverso e per questo ho scelto di metterla all’inizio: ‘La Distancia’ aveva già qualcosa di quello stile, ma ‘Apágame’ è stata per me una sorpresa, un mix tra evoluzione e continuità. È difficile andare avanti senza perdere l’essenza dell’artista, e questa canzone ci riesce. Inoltre, parla di una persona molto importante e riflette la realtà della nostra generazione: i Millennial. Siamo cresciuti con il Gameboy e con Internet lento, che emetteva suoni strani e tutt’altro che veloci. Siamo nati con l’inizio dell’era digitale e oggi viviamo in uno schermo, tra filtri e connessioni costanti. Per i più giovani è ancora più difficile, perché non ti confronti solo con la tua classe o i tuoi amici, ma con il mondo intero.”
Guardando al passato: che consiglio daresti all’Alvaro di dieci anni fa, quello di “El Mismo Sol”, dopo tutto quello che hai vissuto?
“Gli direi di non avere paura e di fidarsi di più di sé stesso. Soprattutto, di seguire l’istinto: più volte di quanto pensassi si è rivelato giusto, e imparare ad ascoltarlo prima sarebbe stato importante.”
In Apágame inviti a “spegnere” per ritrovare il silenzio e la noia. Qual è il tuo rituale personale per disconnetterti davvero dal mondo?
“Fare sport all’aperto, andare in mountain-bike con i miei amici: a Barcellona bastano due minuti e sei già nel bosco. Anche guidare è un mio modo per staccare: ho una macchina vecchia che non ha connessioni, schermi o dispositivi digitali. Oggi tutto sembra costruito per tenerci ancora più connessi, ma per me è fondamentale l’opposto: guidare senza guardare il cellulare e concentrarmi solo su una cosa.”
Il disco è nato tra Berlino, Barcellona, Londra, Miami e l’Africa orientale. Quale città ti ha lasciato l’impronta più sorprendente?
“Barcellona. Ho riscoperto la città dal punto di vista musicale: in passato avevo sempre registrato a casa o a Berlino, mentre stavolta ho lavorato nello Studio Medusa, con due produttori con cui ho un legame da anni ma con i quali non avevo mai collaborato. È stato bellissimo essere lì, immerso nel cuore della città e nelle sue ispirazioni. Rappresenta anche un equilibrio personale: la mattina portavo mia figlia all’asilo, poi andavo a lavorare e la sera tornavo a casa. Era il bilancio perfetto.”
Sofia è stata una delle canzoni che ti ha fatto conoscere in tutto il mondo. Se dovessi riscriverla adesso, cambieresti qualcosa o la lasceresti intatta?
“No, penso che ‘Sofía’ debba rimanere così com’è. È ancora oggi la mia canzone più ascoltata e non cambierei nulla dopo nove anni. È incredibile che faccia parte della cultura italiana e spagnola di quegli anni: è stato un periodo fantastico.”
Dopo cinque miliardi di stream e oltre 150 dischi d’oro e platino: qual è il tuo “prossimo sogno”?
“Fare un concerto a Tokyo. Ho ancora amici lì, è un posto speciale per me e mi piacerebbe tantissimo tornare a suonare per il pubblico giapponese.”
Ci sarà un tour? Tornerai in Italia?
“Sarebbe bellissimo. È da tanto tempo che non facciamo date in Italia. Parte del tour sarà nel Nord Europa, ma per il prossimo maggio vediamo se riusciremo ad aggiungere una data anche qui: sarebbe fantastico.”
Se dovessi scegliere una sola parola per descrivere l’Alvaro Soler del 2025, quale sarebbe?
“Direi ‘camino’, perché tutto quello che faccio quest’anno ruota attorno a questo album e a questa storia.”