Achille Lauro con Senza una stupida storia d’amore continua a fare quello che gli riesce meglio: smontare i cliché romantici e farli brillare di una luce nuova. Questa canzone è un piccolo manifesto di libertà sentimentale, che prende le distanze dall’idea zuccherosa e un po’ consumata di “storia d’amore” per abbracciare un’emozione più istintiva, caotica e paradossalmente più autentica.
Ci riconosciamo subito in quell’attacco quasi sociologico:
“Le persone sai si distruggono
Guarda come poi si riducono”.
Quante volte abbiamo visto relazioni consumarsi per inseguire un ideale che non esiste davvero? È quasi un sollievo sentire qualcuno che lo dice ad alta voce. L’amore, quello “da manuale”, diventa un rituale vuoto:
“Credono in una data stupida
E che poi cancellare curi ma”
Anche noi abbiamo vissuto la delusione di quelle ricorrenze obbligate, quelle date che sembrano curare e invece aprono ferite più profonde.
Eppure, dietro questa critica, non c’è solo cinismo. C’è piuttosto una sete di verità. Lauro rifiuta il sentimentalismo prefabbricato, ma non l’intensità. E quando arriva il ritornello, anche noi sentiamo un brivido di complicità:
“Quanto è bella una fine senza regole
Quanto è bello impazzire senza chiedere”.
Quella fine che di solito temiamo diventa liberazione, quasi un inno a quell’attimo in cui si smette di fingere e si torna a respirare. È come se ci ricordasse che, a volte, l’atto più coraggioso è lasciar andare e noi sappiamo bene quanta forza ci vuole per farlo.
Achille Lauro canta l’arte di lasciar andare
Il paradosso è affascinante: Lauro canta l’assenza di una “stupida storia d’amore” ma la riempie di passione, come se l’atto di non amare in senso convenzionale fosse, in fondo, la forma d’amore più radicale verso se stessi. E quando cita il gesto romantico per eccellenza, “Sotto il tuo balcone gridando ti amo”, non possiamo non sorridere: ci piace questa ironia, questo svuotare il mito per ridargli un senso nuovo. È un modo per dirci che possiamo ridere di ciò che un tempo ci ha fatto piangere. E in fondo non è già un piccolo trionfo?
A volte le storie finiscono e basta. Ci vuole tempo per accettarlo: giorni in cui ci sembra di arrancare, notti in cui rigiriamo i ricordi come se potessero cambiare forma. Non è mai facile, e lo sappiamo bene. Ma a un certo punto arriva un momento quasi impercettibile in cui ci accorgiamo che non importa più: non importa se quella fine è stata confusa, senza regole, senza un copione da seguire. Alla fine conta solo come trovare un modo per tornare a respirare.
Forse è proprio questo che ci insegna la canzone: le storie non sono mai davvero “stupide”, anche quando finiscono. Sono solo pezzi di noi che, prima o poi, dobbiamo lasciare andare. E quando finalmente smettiamo di rincorrere una logica, ci rendiamo conto che la libertà, quella senza regole, è il regalo più grande che possiamo farci.
Quando l’amore finisce (e va bene così)
“Che ne è stato del nostro amore
Mi sentivo poi così stupido”.
Qui Lauro ammette la ferita e il dubbio: era davvero amore? O solo una proiezione? Ci rivediamo in quel senso di smarrimento, quando ci si chiede se il sentimento che ci ha travolti fosse autentico o solo un abbaglio. La caduta “al fondo quella notte” è una confessione, e quando arriva il verso “Forse è il diavolo che mi conosce” ci scappa un sorriso amaro: anche noi, in certi momenti, ci siamo sentiti complici del nostro lato oscuro. È quasi rassicurante scoprire che non siamo soli in questo che persino chi canta d’amore sa quanto sia imperfetta e affascinante la nostra umanità.
Ci siamo rincorsi mille volte, quasi senza accorgercene. Un messaggio all’improvviso, una strada fatta di proposito, un appuntamento “casuale” nello stesso bar. E poi gli incontri che non programmi: incrociarsi per caso in un locale, al semaforo, in un viaggio che non avevamo previsto. Quegli attimi ci hanno sempre fatto tremare come se il destino si divertisse a ricordarci che certi legami non si spezzano davvero, anche quando tutto il resto sembra finito.
Lauro non si limita a distruggere il mito romantico: lo reinventa, trasformando la fine in un atto di nascita e la disillusione in un’arte. E noi, ascoltandolo, ci sentiamo un po’ più liberi: perché a volte è proprio nel vuoto che comincia la parte più vera di noi.










