Nel 2015, mentre la trap italiana muoveva i primi passi incerti, Sfera Ebbasta era un’incognita con un giubbotto rosso e la fame addosso. Con XDVR, pubblicato senza fronzoli e con l’urgenza di chi non ha tempo per chiedere permesso, trasformò Cinisello in un pianeta narrativo. Invece di raccontare la provincia, la esportò: la rese lingua, stile, estetica.
Ora, questa pagina si riapre con XDVR anniversar10, non come un album incartato nel cellophane del mito, ma come restart. I suoni vengono ripensati da Charlie Charles con la lucidità di chi conosce l’origine del terremoto e vuole riprodurlo senza filtri Instagram. Non è restauro: è riaccendere il motore lasciando sporco il cofano.
I due inediti, Prega X Noi e Orologi, sembrano lettere dimenticate dentro una felpa. Non solo memorabilia, ma molecole del DNA originale: ambizione grezza, disciplina disordinata, ostentazione come autodifesa. Perché quando nasci con poco, la ricchezza non è la meta, ma l’armatura.
Oggetti, estetica e dominio culturale
Non è un caso se questo ritorno si materializza. Vinili a tiratura speciale, cover alternative, pop-up dedicati: reliquie pop ma anche segnaletica di un percorso che ha costretto il mainstream a rivedere i confini. Prima la periferia era un fuori campo: oggi detta trend, business, look, persino il linguaggio dei brand.
Sfera Ebbasta non è diventato pop. È il pop ad aver imparato il vocabolario della trap.
La sua parabola ha gli inciampi di un essere umano e le pretese di un’industria. Chi lo ama lo segue. Chi lo critica, comunque, non può evitare di guardare. Perché dieci anni dopo, il rap non è più il margine: è un piano editoriale, è economia creativa, è infrastruttura. Lo si voglia o no.
E poi c’è San Siro: il tempio più difficile da profanare. Sold-out, bis annunciato, consacrazione non come popstar amabile, ma come polarizzatore culturale. Nel bene e nel male: dove c’è Sfera, c’è dibattito. E dove c’è dibattito, c’è potere.
“Orologi”: il tempo non è mai solo un accessorio
“Orologi, oro oggi”. Dietro l’ostentazione del lusso c’è un’ossessione che ogni ragazzo della nostra generazione conosce: misurare il tempo solo quando lo perdi. L’orologio non è gioiello: è promemoria, è cervello che non stacca.
Quando Sfera dice “Il tuo orologio segna la tua ora. Io non so che ore sono e me lo dice lei” racconta un paradosso: chi insegue il tempo, non lo vive; chi lo sfida, lo paga. Le immagini sono crude: “ti tagliano il polso” non è solo tattica criminale, è metafora chirurgica del successo. Per arrivare in cima, devi rischiare di perdere pezzi.
C’è poi una madre che prega, un figlio che non risponde, un metallo che stringe i polsi in modo metaforico e letterale. “Orologi” di Sfera Ebbasta è trap vecchia scuola perché non pulisce il fango: lo racconta, lo monetizza, lo trasforma in identità.
“Prega X Noi”: l’inno degli ultimi che non chiedono scusa
Se Orologi è tensione individuale, Prega X Noi è canto collettivo. “Siamo nati schiavi, cresciuti a schiaffi”. Nessuna eroicizzazione: la povertà è una catena, non una narrativa romantica da TikTok.
Quando Sfera ammette “Qualsiasi cosa, sai, è meglio di niente” mette a nudo la moralità dei margini: non è scelta, è assenza di alternative. E quando precisa “Non recito un personaggio che possa piacere all’industria”, si rivolge a un sistema che spesso mercifica la miseria ma non l’accoglie davvero.
È uno dei brani in cui la sua voce si fa generazione: non rappresenta, testimonia. Non chiede perdono: chiede destino. “Da schiavo a re, dal suolo fino alla vetta” non è frase fatta — è blueprint aspirazionale di chi cresce con il senso di inadeguatezza tatuato addosso.
Lo abbiamo pensato mille volte: siamo cresciuti con il mantra “fate i bravi”, mentre il mondo premiava chi sgomitava. Forse è questo che rende la trap più vera della morale: racconta i difetti, non le intenzioni.










