Ci sono artisti che attraversano le stagioni cambiando forma, senza mai perdere la sostanza. Neffa, in questo, è un caso emblematico. Il suo live al Forum di Assago, Universo Neffa, non è stato soltanto il ritorno dopo anni di assenza dalla scena dal vivo: è stata una dichiarazione d’identità, un percorso che ha rimesso in ordine trent’anni di lavoro, evoluzione, scelte controcorrente e riconciliazioni con se stessi.
La serata si apre con “In Linea”, “Suona Ancora “e “I Messaggeri”. Non è una scelta casuale. È la porta d’ingresso alla storia che parte dai Sangue Misto e dalla stagione delle posse, quando l’hip hop italiano non era ancora mercato, ma linguaggio condiviso, necessità espressiva. È come dire: il punto di partenza non si rinnega. Il primo ospite ad apparire è Jake La Furia su “Biancoenero”. La presenza di uno dei simboli del rap milanese sottolinea un concetto chiave della serata: Universo Neffa non è un omaggio a un passato concluso, ma a una storia che continua a generare eredità.
Universo Neffa: un ritorno atteso e condiviso
Arrivano “Santosubito”, “Rubik” e “FUNK-A-UN”, tre brani che confermano la matrice funk e black dell’artista. Qui la band gioca un ruolo decisivo: arrangiamenti non ancorati alla nostalgia, ma reinterpretati con maturità, senza appiattimenti. Su “Perdersi&Ritorno” entra Frah Quintale. Il passaggio è significativo dal punto di vista della continuità generazionale: Frah è uno degli artisti contemporanei che hanno ereditato da Neffa l’idea che la scrittura possa essere intima anche sopra un tappeto ritmico caldo.
Il blocco con Kaos, “Carcere A Vita” e “Dei dell’Olimpo” è forse uno dei momenti più densi. Non è spettacolo: è archeologia viva del rap italiano. Due storie che si riconoscono e si rispettano, ancora oggi. A questo punto, la scaletta svolta verso le sonorità pop e soul: “Prima di andare via”, “Cambierà”, “Il mondo nuovo”, “Molto calmo”, “Dove sei”.
Questi brani segnarono una fase contestata della carriera di Neffa, accusato allora di “allontanarsi” dall’hip hop. Riascoltati oggi, e soprattutto risentiti dal vivo, appaiono come passaggi coerenti di un artista che ha sempre privilegiato l’evoluzione alla ripetizione.
Il nuovo che incontra il vecchio (e non c’è distanza)
Il ritorno al presente arriva con “Canerandagio”, insieme a IZI: un momento che collega due epoche della cultura rap italiana. Qui il dialogo generazionale è esplicito, non simbolico. Segue “Bufera” con Franco126, che porta una malinconia trattenuta, calibrata. “Cuoreapezzi” con Gué e Joshua restituisce energia e compartecipazione: il pubblico canta come se il testo gli appartenesse da sempre.
Poi “Tutte le stelle” con Ele A e Francesca Michielin, una parentesi di eleganza vocale e costruzione armonica. Il passaggio con Coez “Inquinare” e “Aggio perzo o suonn” è uno dei più significativi dal punto di vista storico: Coez riconosce apertamente quanto il percorso di Neffa abbia aperto la possibilità di un cantautorato urbano in Italia. È la prova vivente che l’artista ha anticipato fenomeni che sarebbero arrivati solo anni dopo.
Poi “Uno come me” con J-Ax sancisce una pace culturale che non fa notizia, ma ha valore. “Domani” con Nayt porta in scena il rap generazionale più introspettivo.
“Stare al mondo” con Al Castellana ribadisce le radici soul dell’artista. “Argiento” accoglie Lucariello e Ste, “Miraggio” si apre con Joan Thiele e Gemitaiz. Poi “Lunarossa” con Mahmood, interpretata con precisione.
“Hype (Nuove indagini)” con Fabri Fibra e Myss Keta è “adrenalina pura”. “Foglie Morte” con Fibra è corpo a corpo. Chiude “Aspettando il sole” con Giuliano Palma. Non è finale: è riconoscimento reciproco.
Questo concerto non ha chiuso un cerchio. Lo ha messo in prospettiva. Neffa non è tornato: era già qui. Era solo il momento di guardarlo di nuovo insieme.










