Rkomi agli Arcimboldi: il coraggio di rallentare, la potenza di un decrescendo che sa di verità

da | Ott 20, 2025 | #Cromosomiintour

Rkomi torna a Milano e si spoglia di ogni maschera. Agli Arcimboldi, Mirko diventa narratore di sé: niente corse, solo verità. “Mirko nei teatri” è un viaggio al rallentatore dentro “decrescendo.”, dove la fragilità diventa arte e il silenzio prende la parola.

Il Teatro degli Arcimboldi di Milano, ieri sera, 17 ottobre, ha accolto Rkomi come si accoglie chi torna a casa dopo un lungo viaggio. Luci calde, un silenzio rispettoso che precede l’ingresso dell’artista, e un pubblico che non sembra solo in attesa di un concerto, ma di una confessione collettiva. Inizia così Mirko nei teatri 2025, la tournée che ha sostituito il tour nei palazzetti e che segna una nuova fase della carriera di Rkomi: più riflessiva, più intima, più umana.

Decrescere”, parola chiave di questo suo ultimo percorso, non è soltanto un titolo o una dichiarazione d’intenti: è una direzione di marcia. Il suo “tornare indietro” non ha nulla di nostalgico, ma è la scelta di chi decide di spogliarsi di tutto il superfluo, di riscoprire il nucleo autentico della propria arte. Dopo anni di numeri, classifiche e collaborazioni di successo, Rkomi sceglie di rallentare, di mettersi al centro di un palco che non ha barriere, dove ogni parola pesa, ogni silenzio vale.

Il teatro come specchio interiore

“Ho bisogno di ritrovare una casa”, ha dichiarato l’artista. E un teatro, per sua natura, è proprio questo: una casa dell’anima. Agli Arcimboldi, l’atmosfera si fa subito raccolta, quasi sospesa. La scenografia è minimale ma curata: luci calde e movimenti scenici lenti, come se tutto fosse calibrato per riportare l’attenzione sull’essenziale, la voce, i testi, le storie. A parte una gabbia dalla quale canta a metà concerto e delle scale di ferro. 

Rkomi entra in scena da solo, con la band che si unisce progressivamente, e in mezzo allo spettacolo compaiono anche alcuni attori, chiamati a interpretare brevi frammenti narrativi. È una trovata che funziona: amplifica il racconto, rende il concerto un ibrido tra musica e teatro, tra diario personale e performance collettiva. La voce di Mirko dialoga con quella di altri corpi, altre anime, e il risultato è un racconto corale che dà corpo a un’idea semplice e potente, la vulnerabilità come forma di forza.

Il live come confessione

La scaletta di Mirko nei teatri è costruita con coerenza e intelligenza: parte da brani recenti per poi tornare indietro, in un viaggio che riflette il concetto stesso di “decrescita”.

Apre con “Io in terra / 4Z”, brano che segna subito il tono emotivo del concerto. “Ora che la mia casa è grande se sto solo il vuoto è immenso”, canta Rkomi, e quel verso vibra in sala come un’eco universale: il successo non sempre riempie, a volte amplifica il vuoto.

Segue “Milano bachata”, poi “Apnea”, dove la città diventa simbolo di una tensione costante tra sogno e sopravvivenza. “Milano mi fa respirare appena”, canta. È un brano che parla della fatica di vivere in un mondo che non si ferma mai, e il teatro amplifica questa sensazione di apnea collettiva: un respiro trattenuto, condiviso. Con “Il ritmo delle cose”, uno dei momenti più forti del disco “decrescendo.”, Rkomi porta sul palco la sua riflessione più lucida sulla contemporaneità.

Quante cose distruggiamo costruendo è un violento decrescendo”. In una società che misura il valore sull’accumulo, Rkomi canta la necessità di sottrarre, di lasciar andare. È una canzone che sul palco diventa esperienza fisica: la band la interpreta con dinamiche controllate, lasciando spazio ai silenzi, come se anche il suono imparasse a respirare.

L’artista alterna momenti di intensa energia a passaggi quasi sussurrati. In “Vuoi una mano”, il ritmo si spezza e torna a fluire, mentre “Visti dall’alto” e “Gravità” mostrano il suo lato più contemplativo. Tutto nello show è calibrato ma mai artificiale: c’è una spontaneità che si percepisce nei movimenti, negli sguardi, nelle esitazioni.



Collaborazioni e confessioni: il peso delle parole



Uno dei momenti più emozionanti arriva con “Non c’è amore” e con l’entrata di Lazza, che agli Arcimboldi acquista una nuova dimensione. “Sai, bisogna avere una distanza per amarsi senza allontanarsi”. Rkomi canta quel concetto di “distanza necessaria” che sembra estendersi oltre la relazione amorosa, fino a toccare la relazione con sé stessi e con il pubblico. Nelle parole di Jacopo c’è una consapevolezza nuova: “’Sta fama mi ha reso ricco ma triste” frase che, ascoltata dal vivo, suona come una resa onesta, senza vittimismo. È la frase di un artista che si è accorto che la verità, spesso, non sta nei palazzetti gremiti, ma negli spazi più piccoli, dove lo sguardo dell’altro ti raggiunge davvero.

Poi “Brutti ricordi, con Bresh. “Parlami come fa una canzone d’autore”, un dialogo malinconico, pieno di immagini quotidiane, di nostalgia e di leggerezza. Il pubblico risponde cantando piano, quasi in punta di voce, come se temesse di rompere qualcosa di fragile.


Il viaggio attraverso i sentimenti

Il concerto si muove come un racconto, con capitoli che alternano introspezione e catarsi. “Ridere di te” è un momento di grazia:

Tu sì che sei speciale, ti invidio sempre un po’.
Sai sempre cosa fare e che cosa è giusto o no”.

Il pubblico ascolta, assorto. Una dimensione nuova. È una canzone che parla dell’amore in modo non romantico ma realistico, dell’imperfetta danza tra due persone che si osservano e si fraintendono, eppure restano.

Arriva poi “Insuperabile“, e il teatro esplode. È un brano che sul palco teatrale cambia completamente pelle: diventa una canzone di desiderio e distanza, di energia trattenuta. “Ti stringo i fianchi, amore sei te, l’ultima curva, insuperabile” il verso, eseguito con una luce rossa tagliente e un crescendo sonoro perfettamente costruito, trascina la platea.

Segue “La coda del diavolo“, brano simbolo della collaborazione con Elodie, che agli Arcimboldi assume una valenza nuova: senza la presenza fisica della cantante, Rkomi lo interpreta da solo, con una dolcezza disarmante. “Sai che ti cercherei in tutta Milano”, intona, e il teatro si illumina di smartphone, come un cielo urbano dentro una sala. È un omaggio alla fragilità dell’amore e alla sua testarda sopravvivenza.

Questa tournée, Mirko nei teatri, è più di un cambio di format. Rkomi sceglie di ridurre, di riportare tutto a misura d’uomo. Il pubblico degli Arcimboldi lo capisce, lo sente. Non mancano momenti di entusiasmo come “Nuovo range” o “Sto bene al mare” dove arriva Sayf. Ma la vera forza dello spettacolo sta nella sua capacità di rallentare il ritmo, di invitare all’ascolto. Nell’intermezzo teatrale, gli attori alternano riflessioni e frammenti di testo, creando un dialogo tra realtà e rappresentazione. È un modo per dire che la vita, come la musica, è fatta di pause, di sospensioni, di spazi vuoti che hanno bisogno di essere abitati.

Rkomi lascia il palco con un sorriso timido. Non serve altro. La sua maratona personale è appena cominciata, e la rincorsa di cui parlava all’inizio non è più solo una metafora: è il suo modo di stare al mondo. 

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