Erano gli anni ’70 quando il Bronx, uno dei quartieri più difficili di New York, divenne l’epicentro di un nuovo movimento culturale destinato a cambiare per sempre la musica: il rap. In un contesto di povertà, violenza e abbandono istituzionale, i giovani trasformarono le strade in palcoscenici e le loro esistenze in versi, per denunciare le ingiustizie e rivendicare un’identità spesso negata. Dopo cinquant’anni – in cui il genere ha compiuto giri immensi, perdendo spesso la sua credibilità ancestrale – ritorna tutto alle origini, a quel sentimento di appartenenza alla periferia e alla volontà di raccontarla. Ed è proprio questo il senso profondo di Red Bull 64 Bars Live, giunto ieri sera alla sua quarta edizione, per la prima volta sotto il cielo di Roma.
L’esibizione si apre con Fabri Fibra, prosegue con Lazza, Ketama126, Tony Boy e Side Baby, ma si alternano astri nascenti – Ele A, tra tutte – a capisaldi del rap old school.
Da Danno, apripista indiscusso dell’hip hop italiano, fino al re di Roma Noyz Narcos, che chiude un set più truce che mai onorando la sua città con “Sinnò me moro”, reboot rap della canzone omonima di Gabriella Ferri.
Corviale, dove il rap accade davvero
Dopo tre anni sullo sfondo delle Vele di Scampia, sono Corviale (quartiere periferico a Ovest della Capitale) e il suo Serpentone – il complesso architettonico nato negli anni ’70 come progetto utopico di edilizia popolare e poi mutatosi in tutt’altro – a trainare il ritorno del rap italiano alle sue origini.
Quello di Corviale è stato un caso mediatico per anni, poi lentamente dimenticato dalla stampa e tramutatosi in un simbolo di abbandono e, al tempo stesso, di resistenza urbana. “La storia di questo posto è una storia anche di occupazioni abusive, di degrado: sono situazioni che in periferia capita spesso di trovare. Ma conoscendo questi ragazzi che abitano qua e non se ne vogliono andare, ti accorgi che per strada, in piazza, il rap accade”, spiega Carlo Pastore, direttore artistico dell’evento.
Le regole del gioco: 64 versi, zero ritornelli
Al centro di tutto, il concetto di un evento più che mai irreplicabile: nelle esibizioni, nell’organizzazione e, soprattutto, nelle fantomatiche barre. Da Lazza a Noyz Narcos, passando per Fabri Fibra e Danno, ogni artista ha 64 versi di tempo per centrare il punto.
Nell’era dello streaming, Red Bull 64 Bars Live è uno show che il direttore artistico Carlo Pastore definisce one shot: una sola possibilità per colpire il pubblico, senza possibilità di featuring né ritornelli che, da anni, farciscono il rap italiano rendendolo un po’ più pop e lontano dalla sua carica esplosiva originale.
La visione del direttore artistico e il futuro di Red Bull 64 Bars Live
“Il modo in cui facciamo intrattenimento qui è diverso da tutto il resto: sul palco c’è una vera e propria maratona lirica di tre ore, con una rullata di artisti che si susseguono senza neanche un presentatore. Cerchiamo di rimettere al centro l’immaginario e il senso che aveva il rap all’inizio: pulirlo da tutti quegli orpelli che oggi gli sono stati associati”, spiega Pastore.
Il ritorno del rap alla sua genesi passa inevitabilmente anche per una scaletta tutt’altro che mainstream, fatta di pochi brani riempi pista e spesso di mix di pezzi underground o datati qualche anno. “È il contesto in cui anche alcuni di questi artisti possono tornare alla loro passione principale e originaria”.
Per quanto riguarda il futuro di questo show – format originale italiano, considerabile un unicum nel suo genere – secondo Pastore, tutto dipenderà “da chi farà i prossimi 64 Bars, da cosa diventerà questo genere nel tempo, e da cosa il pubblico deciderà di amare o meno”.
Riguardo gli artisti che sarebbe bello veder entrare in campo “Vorrei persone che il rap l’hanno sempre vissuto davvero, ma che magari oggi lo fanno di meno. Sarebbe interessante vedere un 64 Bars di Ghali: dare spazio ad artisti che hanno un po’ mollato quella cosa lì e che ora tornano a confrontarsi con questo format. Pensare a una pop star come Ghali che oggi torna a fare un pezzo dove deve chiudere 64 barre di fila è interessante”, continua Pastore. “Ovviamente, potrei chiedere a un Guè o a un Marracash di farne uno all’anno e sarei sempre soddisfatto”.
Il rap come rinascita urbana
Ciò che è fondamentale, ribadisce Carlo Pastore, è che “il rap torni a parlare la lingua della verità, della tecnica, dello studio, dell’applicazione, della vita vera. Perché alcune di queste cose si sono un po’ perse. E perdendo queste caratteristiche, ha inevitabilmente perso contatto con la realtà”. Invece, più il rap ritorna nella quotidianità delle persone, più ci sarà bisogno di rap nella società. E quindi anche 64 Bars Live potrà continuare a vivere.
“Qua nasci piangendo e muori ridendo”, dice il rapper Uzi Lvke, riferendosi alla sua Corviale, nell’intro della sua esibizione al 64 Bars romano. Racconta la durezza del vivere in periferia, ma anche la possibilità di trasformare le mancanze in orgoglio, il disagio in arte. Racchiude, in fondo, il senso profondo dell’intera serata: riportare il rap nei luoghi che l’hanno generato e restituirgli quella verità che oggi manca. Ridare voce alla periferia. Ridare vita al rap.










