Rondodasosa vs “Mattia”: il disco personale del rapper di San Siro

da | Ott 3, 2025 | Recensioni album

C’è un prima e un dopo “Mattia” nella carriera di Rondodasosa. Un disco che non si limita a raccogliere brani, ma diventa un manifesto personale: crudo, introspettivo e coraggioso. Tra drill e confessioni intime, Rondo mette a nudo sé stesso, consegnando al rap italiano il suo lavoro più autentico.

Il 26 settembre è uscito Mattia, il nuovo e, per ora, ultimo album in italiano di Rondodasosa. Un lavoro che suona come un testamento e allo stesso tempo come un atto di rinascita, dove il rapper mette da parte la corazza per mostrare sé stesso, senza filtri e senza protezioni. È un disco che divide e spiazza, ma proprio per questo resta impresso: Rondodasosa non cerca di piacere a tutti, preferisce raccontare la sua storia, nel bene e nel male.

Con Mattia siamo davanti a un progetto che chiude un cerchio e apre un’altra strada: quella oltreoceano, verso l’America, dove Rondo ha deciso di ricominciare da zero, scrivendo in inglese e sfidando il mercato internazionale. Un salto nel vuoto che pochi artisti italiani hanno avuto il coraggio di tentare davvero.

Il disco prende il nome di battesimo del rapper, Mattia Barbieri, quasi a voler sottolineare il confine tra la persona e il personaggio. Un confine sempre più sottile, che in questo lavoro si intreccia fino a confondersi. La copertina lo racconta bene: Rondo appare da solo, defilato, a petto nudo, con addosso soltanto collane e catene. Non ci sono scenografie, non ci sono comparse. C’è lui, senza maschere, senza filtri, con gli occhi coperti ma con un messaggio chiarissimo: Rondodasosa, dietro il nome e la leggenda, resta Mattia.

In Mattia Milano è un teatro di battaglie

Una delle tracce più potenti del disco è “Duomo”, in cui Milano non è solo sfondo ma protagonista. Nelle prime righe, quasi recitate come un manifesto, Rondo definisce la città “una lama nascosta in un guanto di velluto”, una metropoli che ama solo chi corre, che distrugge chi si ferma. È una descrizione che colpisce perché racconta Milano nella sua verità: una città di opportunità e di inganni, di sogni e di cadute.

Qui non c’è spazio per romanticismi. Milano è madre e matrigna, un luogo che ti forgia e ti logora, ma che rimane scolpito nel petto come un marchio di appartenenza. Il concetto di “trenches” ritorna spesso nella carriera di Rondo: non solo il nome della sua etichetta, ma soprattutto uno stato mentale. Le trincee rappresentano il punto di partenza e insieme il rifugio: da lì si osserva, ci si prepara alla battaglia e poi si esce per affrontare il mondo.

In Mattia questa metafora diventa più forte che mai. Non si tratta più soltanto di guerre musicali o di rivalità di quartiere, ma di una lotta interiore, di un conflitto personale con un ambiente, quello della scena italiana, che spesso non lo ha compreso fino in fondo.

Tra drill e introspezione: “Mattia”

Mattia è composto da 15 brani. Li possiamo anche dividere in due parti. I primi sembrano più aggressivi, dominati dalla drill e dai beat potenti, con pezzi come “Welcome to Mylan”, “Whigga” (con Guè) e “Ballin”. Qui Rondo indossa la corazza, la voce è dura, i testi sono una dichiarazione di forza.

La seconda parte invece, è più introspettiva, quasi fragile, con tracce come “Red Wine”, “Ottobre” (con Ayo Ally) e “Kefir”, dove emergono i pensieri più intimi, le ferite e i dubbi dell’artista. Questa “divisione” rende il disco un cammino dentro due facce della stessa medaglia: Rondodasosa e Mattia. E se all’inizio sembra prevalere il trapper impenetrabile, alla fine resta la sensazione di aver conosciuto un ragazzo che ha messo tutto sé stesso in un album.

Rondo ha scelto di limitare le collaborazioni a tre nomi, tutti significativi: Guè in “Whigga”, un omaggio esplicito al flow di Project Pat e alle radici del Southern Rap. Poi c’è Ayo Ally, giovane promessa che Rondo ha definito “il futuro volto femminile della scena”. Il featuring in “Ottobre” porta freschezza e malinconia allo stesso tempo anche se sembra di sentire Anna. Il terzo è Heartman che in “Amico” aggiunge profondità.

L’anima fragile e ribelle di Rondodasosa

Uno dei passaggi più importanti del disco è che Mattia rappresenta anche un addio: almeno per ora, sarà l’ultimo progetto di Rondo in italiano. La sua scelta è chiara: trasferirsi negli Stati Uniti e costruire lì una nuova carriera, scrivendo in inglese e puntando a un mercato globale.

È una sfida enorme, ma coerente con la sua visione. Rondodasosa non vuole restare intrappolato in una comfort zone, preferisce rischiare e mettersi alla prova. E forse è proprio questa ambizione, quasi punk nel suo rifiuto delle regole, a renderlo interessante.

Alla fine dell’ascolto resta una sensazione precisa: Mattia è un disco che non cerca di piacere, ma di essere sincero. È un lavoro che racconta un artista nel pieno delle sue contraddizioni: forte e fragile, arrogante e vulnerabile, uomo e personaggio.

E in questo dualismo c’è la forza di Rondodasosa. Che lo si ami o lo si critichi, è impossibile ignorarlo: Mattia segna un punto di svolta, un album che resterà come spartiacque nella sua carriera.

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