Il tempo della musica che resta: benvenuti nel “Manifesto” di Shablo

da | Lug 4, 2025 | Recensioni album

Shablo torna e lo fa da protagonista con una dichiarazione d’intenti: non più dietro le quinte, ma al centro della scena con “Manifesto”, un producer album. Diciassette tracce suonate, vissute, pensate come un’opera totale. Non una raccolta di featuring, ma una visione musicale che sfida l’effimero e punta a restare.

Oggi la musica sembra dover colpire subito o scomparire. Manifesto invece, si prende il lusso raro di chiedere tempo. Tempo per essere ascoltato, capito, sentito. Non rincorre i trend, li supera. Non segue il mercato, lo sfida. È il nuovo album di Shablo, produttore che da oltre vent’anni lascia un’impronta nella scena urban italiana. Ma questa volta si mette davvero al centro: non più (solo) architetto e manager, ma artista a tutto tondo. E Manifesto, come suggerisce il titolo, è una dichiarazione netta: qui si fa musica per davvero.

Siamo stati nello spazio VOCE della Triennale di Milano, per un ascolto in anteprima di Manifesto. Un ambiente raccolto e suggestivo, perfetto per lasciarsi attraversare dai suoni, dalle voci e dall’intenzione profonda del progetto. Tra una traccia e l’altra, Shablo ci ha raccontato com’è nato il disco, cosa lo ha spinto a prendersi questo spazio creativo e perché oggi, più che mai, c’era bisogno di un Manifesto.

Shablo: il coraggio di suonare liberi

C’è qualcosa di radicale in questo progetto. Non per forza rumoroso, ma fermo, autentico. Manifesto è nato a San Gimignano, lontano da Milano, in sessioni intense, quasi monastiche. In studio con Shablo: Luca Faraone e Joshua, la voce che più lo rappresenta oggi. L’approccio? Artigianale. Nessuna corsa al featuring d’effetto. Spesso nemmeno si sapeva chi avrebbe cantato. Prima la musica. Sempre.

Questo è divertirsi, fare arte. Poi certo, vogliamo arrivare alla gente, ma non si parte da lì”, ha spiegato Shablo. È una presa di posizione, quasi una reazione:

Da produttore vedo troppa omologazione. Io torno indietro per trovare un nuovo equilibrio. Per ricordare che la musica va percepita con i sensi.”

Ecco perché Manifesto sembra parlare a chi nella musica cerca ancora qualcosa di vero. Soprattutto se cominci a non sentirti più rappresentato da ciò che passa in radio.

Diciassette tracce, un numero simbolico per Shablo, che attraversano anime diverse della Black music: soul, R&B, jazz, boom bap, afrobeat. A volte senza nemmeno la batteria elettronica. È un disco che suona ricco, stratificato. Non c’è nostalgia, c’è consapevolezza.

“Karma Loop”, con Ele A, Joshua e Tormento, è rap profondo e contemporaneo. “Welcome to the Jungle” vede Joshua, Ernia e Neffa, un inno notturno che unisce tre generazioni. E poi c’è “Che storia sei?”, con Nayt e Joan Thiele: poesia e malinconia, bellezza pura.

I featuring giusti, non quelli facili

Dentro Manifesto non ci sono tutti i nomi più caldi del momento. Ma ci sono quelli giusti. Joshua, Guè, Tormento, Rkomi, Gaia, Nayt, Mimì, Inoki, TY1, Neffa. E poi ci sono le incursioni internazionali: Roy Woods dalla scuderia OVO di Drake e il duo belga Yellowstraps. Ma non è un disco “internazionale” per forza: è semplicemente contemporaneo. Perché parlare al mondo oggi, vuol dire anche suonare senza etichette.

Tutto nasce dalle mani e dalle orecchie di Shablo. Alcuni brani, come “Meglio che mai” con Mimì, sono stati registrati in una sola take. Nel disco non poteva mancare “La mia parola”, il brano presentato da Shablo al Festival di Sanremo 2025 insieme a Guè, Joshua e Tormento. 

Nonostante la ricchezza sonora, Manifesto non è un disco complicato. È un disco che parla al cuore, se glielo lasci fare. “Mille problemi“, con Joshua, Irama e Tormento, fonde afro-latin, trap’n’b e vibrazioni caraibiche, ma resta leggero come un pensiero d’estate. E poi c’è spazio anche per la rabbia lucida: “Immagina” con Inoki è hip hop militante, mentre “The One” con Noyz, TY1, Tormento è sangue freddo e storia.

La musica torna al centro. Anche dal vivo

Shablo lo dice chiaramente: oggi c’è un vuoto. Una fascia di pubblico dai 30 ai 60 anni che non si sente più rappresentata. La musica mainstream è diventata un algoritmo: poco spazio per l’eleganza, la sperimentazione, la profondità. Manifesto cerca di colmare quel vuoto. Non guarda al passato con malinconia, ma con gratitudine. E da lì costruisce un futuro. È un gesto politico: scegliere la qualità, la complessità, la verità. Non per snobismo, ma per rispetto dell’ascoltatore.

Manifesto non resta chiuso in studio. Prende vita anche sul palco, con lo Street Jazz Tour, una serie di live in cui la musica è protagonista. Con Shablo ci saranno Joshua e Mimì, una band ibrida, nuovi arrangiamenti, tributi alla Black music.

Le date? Il debutto è stato ieri a Perugia all’Umbria che Spacca, poi Locorotondo per il VIVA! Festival, Roma alla Casa del Jazz e gran finale al Teatro Arcimboldi di Milano il 12 novembre. Prima ancora, Shablo è salito sul palco del festival “Tramonti a Nord Est” curato da Elisa. Più che concerti, saranno esperienze. Tutto suonato, tutto vero.

Manifesto è un gesto, un richiamo per chi nella musica cerca ancora spessore, bellezza, verità. In un panorama che spesso dimentica, Shablo sceglie di ricordare. Di suonare. Di restare. E lo fa con stile, visione e coraggio.

E non è finita qui: Shablo ci ha anticipato che Manifesto è solo l’inizio di un percorso più ampio, che continuerà con nuovi capitoli, nuovi volti e nuove voci della scena urban. Perché il suo manifesto, in fondo, è aperto e destinato a crescere.

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