Fabri Fibra e Tredici Pietro in “Che Gusto C’è”: un’Italia sotto vuoto, tra sarcasmo e disincanto popolare

da | Mag 29, 2025 | Recensioni singoli

Fabri Fibra e Tredici Pietro firmano un brano pungente e attualissimo: “Che Gusto C’è” è una fotografia ironica e disillusa dell’Italia di oggi, tra sogni al ribasso e illusioni di lusso.

Fabri Fibra è tornato a mordere. Ma stavolta non lo fa da solo. In Che Gusto C’è, una collaborazione con Tredici Pietro, il veterano del rap italiano firma uno dei brani più intelligenti degli ultimi tempi. Il brano, primo estratto dal nuovo album “Mentre Los Angeles Brucia”, anticipa l’uscita del disco prevista per il 20 giugno.

La traccia si presenta come un collage di immagini pop, invettive sociali e cinismo raffinato, il tutto condito da una musicalità accessibile e un ritornello che ti resta in testa mentre ti chiedi davvero: “che gusto c’è?”.

Fibra racconta l’Italia: pizza, rapper e ossessioni

Fin dal primo verso, Fibra ci porta in un’Italia stereotipata ma verissima: “Rap italiano, pizza, Briatore”. Tre simboli della modernità nostrana che si rincorrono in un verso sarcastico, come se il sogno italiano si fosse ridotto a un piatto di carboidrati, una hit estiva e un tavolo a cena da Crazy Pizza. Fibra è stanco, frustrato, affamato e pronto a “fare un colpo”, come se l’unica via d’uscita fosse una scorciatoia. Ma non quella dei reality:

Fai il Grande Fratello, però mica sfondi”

Oggi la televisione non è più il trampolino, ma il fondo della piscina.

Tredici Pietro, l’anti-star che fa domande giuste

Nel ritornello, Tredici Pietro è il perfetto contrappunto: il suo timbro è meno aggressivo, quasi spaesato, e le sue parole suonano come il pensiero di chi osserva tutto questo circo da fuori, ma ci sta dentro fino al collo.

Che gusto c’è

se tutti stanno sempre meglio di te?”

È il pensiero di una generazione abituata a guardare il benessere degli altri scorrere su uno schermo. Tredici Pietro canta la disillusione con una dolcezza tragica, come un ragazzo che vorrebbe ancora credere nei sogni, ma sa che spesso sono spot pubblicitari travestiti da possibilità.

Ritorna poi Fibra, probabilmente il momento più denso e corrosivo del brano.

Da quando è morto Berlusconi

tutti quanti ci sentiamo migliori”

Ecco la frecciatina che va oltre la politica, è un dito puntato sull’ipocrisia collettiva: finché c’era lui, era comodo avere un nemico comune, ora che non c’è più, a chi dare la colpa? L’Italia raccontata da Fibra è quella fatta di “mutui, rate” e sogni confezionati “sottovuoto, affettati”, come i sentimenti “Rovagnati” (rovinati) di una nazione che crede ancora nei matrimoni da copertina, ma si ritrova da sola a sera con il telecomando in mano.

Siamo tutti cantanti, ma non ci sono canzoni

In un’epoca in cui l’identità è costruita più su Instagram che su esperienze reali, dove tutti vogliono essere visti ma pochi hanno qualcosa da dire, questa frase è un pensiero collettivo e generazionale. E non si salva nemmeno il patriottismo da cartolina: “Guarda che mare, che mare, che mare”, ma dietro quella bellezza mozzafiato c’è un vuoto che Fibra e Tredici Pietro non smettono di mettere a fuoco.

Che Gusto C’è è una critica amara ma irresistibile, un brano che si lascia ascoltare con leggerezza ma che torna a bussare alla coscienza. È una “radiografia” di un Paese che non sa più dove vuole andare, ma vuole comunque arrivarci con stile e possibilmente in business class, magari a Saint-Tropez.

Oggi il lusso più raro sembra quello di farsi domande. E anche noi ci chiediamo, Che Gusto C’è, davvero?

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