È finalmente arrivato il giorno: oggi, venerdì 4 aprile 2025 esce NON GUARDARE GIÙ, l’ attesissimo album di Tredici Pietro, disponibile su tutte le piattaforme digitali e in versione fisica per Epic Records/Sony Music Italy.
L’album è coprodotto da Sedd e Fudasca, che hanno firmato gran parte delle produzioni e dato un’impronta coerente ma allo stesso tempo ricca di sfumature. Accanto a loro, un roster di producer di tutto rispetto: da Tommaso Ottomano a Galeffi Bros, passando per Chakra, Mantovani, Milanezie, kofi bae, Drast, Rivaundici, Verano, Kermit e Cali Low.
Musicalmente, il progetto è un mosaico variegato che abbraccia trap, drum&bass, rap old school, acustica, soul e rock italiano, senza mai perdere la bussola della coerenza artistica. Ogni brano è una finestra aperta sulla crescita di Tredici Pietro, non solo a livello musicale ma anche umano: i testi scavano nelle fragilità, nelle paure e nelle incertezze, ma anche nel desiderio di riscatto e nella ricerca di amore, appartenenza e verità.
Registrato in parte durante sessioni di scrittura in Umbria, documentate nei video pubblicati su Instagram, NON GUARDARE GIÙ è il frutto di un lavoro meticoloso, quasi artigianale, dove ogni parola e ogni suono sembrano cercare il giusto incastro per raccontare un’identità sempre più chiara e consapevole. In questo album, Tredici Pietro si mette a nudo, affrontando le sue zone d’ombra e le sue contraddizioni con un linguaggio schietto.
Identità, dubbi e verità: il mondo profondo di Non Guardare Giù
Ieri sera siamo stati all’Arci Bellezza di Milano per il release party di NON GUARDARE GIÙ, il nuovo album di Tredici Pietro. In un’atmosfera intima e carica di aspettativa, il countdown a mezzanotte ha segnato l’inizio ufficiale del nuovo progetto. Tra luci soffuse e applausi, abbiamo ascoltato in anteprima alcuni brani del disco, che si sono rivelati carichi di emozione, sperimentazione e verità personali. Tredici Pietro non fa canzoni, fa confessioni su loop. Il suo linguaggio è schietto, sbilenco, a tratti surreale, ma dentro ogni barra si sente il cuore, anche quando è stanco o si nasconde dietro un filtro di fumo.
NON GUARDARE GIÙ è la titletrack, una specie di mantra tossico che gira attorno all’ossessione della caduta. Il consiglio di “non guardare giù” non è solo un’esortazione a non farsi schiacciare dal peso delle cose, ma un modo per sopravvivere dentro un panorama emotivo dove tutti sembrano sull’orlo. Tredici Pietro canta la fragilità come se fosse un gesto punk, e tra demoni negli occhi dei “bro”, montagna russa e mal di testa, disegna un inferno urbano in cui l’unico modo per andare “su” è fingere che il “giù” non esista. Funziona finché dura la canzone.
Segue morire. Qui l’approccio si fa ancora più crudo. La morte non è solo fisica, è emotiva, quotidiana, simbolica. “Bisogna morire” suona come uno slogan da fine rave: tra Milano grigia, trip, sushi e coca, Pietro racconta il vuoto di una generazione in apnea, che balla sulla minimale mentre cova odio e cerca redenzione nei posti sbagliati. La produzione è stratificata, incalzante, ma ciò che resta è la confessione nuda:
“Io su un trip, lei gocce di Rivo’”.
È un’autobiografia interrotta, scritta sopra una panchina con un accendino scarico.
“Potresti prendere il volo Emirates ma rimani chiusa nelle tue prigioni.”
Emirates è una carezza dolorosa a chi si è perso dentro di sé. La malinconia è ovunque, in una festa che non inizia mai, in una fuga che resta solo immaginata. L’identità smarrita (“non sai chi sei”) diventa il filo conduttore, un tormentone esistenziale. È come se Tredici Pietro parlasse a sé stesso allo specchio, con dolcezza e brutale onestà.
Tredici Pietro tra fragilità e crescita
LikethisLikethat: un rave da bilocale che nasconde il tracollo. Tra party sudati e money dance, la frenesia diventa solo un modo per mascherare il disordine interiore. Ma dietro al beat spinto, Tredici Pietro lascia trapelare una malinconia profonda: “Sto cadendo come domino”, “Siamo diventati polvere”. È la versione clubbing del collasso emotivo. E poi c’è quella riga geniale:
“Come l’acqua solca la roccia”.
Un verso da poeta zen nascosto in una canzone da sabato notte.
Arriva il turno di TEMPESTA ft. Lil Busso e gli PSICOLOGI. Un inno al caos affettivo. Lei balla nuda sotto la pioggia, lui resta ipnotizzato e impotente. La “tempesta” è metafora dell’attrazione irresistibile per qualcosa che ti fa male ma ti fa sentire vivo. È come se i protagonisti fossero immersi in un film di Gaspar Noé, tra pioggia, eccessi, e luci strobo. Il ritornello è catchy ma carico di senso: “fottimi la testa che a me non interessa” suona come una resa, un abbandono consapevole.
Con SEMPREtardi si entra nel capitolo più introspettivo. Pietro sviscera la sua incapacità di star fermo, di capire, di amare davvero. Parla della propria tendenza all’autosabotaggio e lo fa con sincerità. La città, Milano, diventa sfondo e sintomo, mentre l’amore vacilla, si scompone, cambia forma ogni secondo. Sembra che l’unica costante sia il disordine.
verità ruota attorno alla fatica di dire ciò che conta davvero. Il ritornello:
“La verità è che con me tu hai sempre fatto la stronza
E non ho mai avuto la forza di lasciarti stare male da sola.”
C’è dentro tutta la complessità dei rapporti tossici, del senso di colpa, dell’orgoglio che si maschera da affetto. È uno di quei pezzi che fanno male perché suonano incredibilmente veri.
In MILANOcollane, Milano è il palcoscenico della caduta, delle notti che sembrano brillare ma ti lasciano più vuoto. Tredici Pietro la racconta come se fosse una relazione complicata: attraente, tossica, feroce. “Tu vuoi volare ma noi precipitiamo” è la perfetta sintesi di un amore che non funziona più ma non riesce a spegnersi. C’è qualcosa di profondamente romantico, anche nel disincanto.
GALLEGGIARE è un pezzo sospeso, etereo. L’immagine degli “uccelli nel mare” è surreale ma perfetta: si parla di esistenze fuori posto, di gente che non affonda ma non sa nemmeno dove andare. Ci racconta un limbo emotivo, fatto di pasticche, sbagli e tentativi di restare a galla. Ma lo fa senza piangersi addosso, con uno stile che accarezza il dolore senza ingigantirlo.
respirare è quasi un sussurro, un tentativo di trattenere ciò che è già andato via.
“Voglio vedere che nascondi nel cappotto”
È una frase tenera e disperata insieme, che riassume la voglia di capire l’altro, di trovare un appiglio in mezzo al nulla.
Una chiusura perfetta, quasi una tesi finale è Serve Amore ft. IRBIS. Una sorta di punto di partenza e d’arrivo di tutto questo viaggio. Pietro e IRBIS si alternano in un dialogo fragile, sincero, quasi spirituale. È un brano che parla di fallimenti affettivi, di incomprensioni, di sogni che non fanno dormire ma inquietano. Ma sotto tutto questo c’è la consapevolezza che, nonostante tutto, serve amore.
Tredici Pietro non ha paura. Nei suoi testi si ride, si piange, si cade, si fuma, si ama male. Ma si prova, sempre. E in un panorama dove l’apatia è spesso una posa, lui è uno dei pochi che ancora racconta il dolore per quello che è: qualcosa che non va capito, ma attraversato.