In viaggio nella “METROPOLI” di DECI

da | Apr 9, 2025 | Recensioni album

DECI, nel suo primo album METROPOLI, ci parla di tutto ciò che questa generazione prova: spaesamento, buio, solitudine.

Venerdì 4 aprile. Può sembrare una giornata qualunque per molt* di noi. Magari è il compleanno della tua amica dell’asilo, o magari parti per un viaggio, o ancora sei stat* licenziat*. La relativa e assoluta anonimità di un giorno. Ma, per un artista in particolare, il 4 aprile è una giornata di inizio, una celebrazione, un battesimo.

DECI esordisce con il suo primo album METROPOLI, guidandoci in un labirinto di strade, parchetti e vicoli.

L’anonimità è un concetto caro all’artista mantovano, classe 1991. L’anonimità, per lui, è quella della città, della METROPOLI, appunto, in cui tutt* non siamo altro che numeri, facce dai lineamenti smussati. Perché fra le immense vie di una città, non possiamo fare altro che perderci, in lei e in noi.

METROPOLI è un viaggio musicale senza navigatore, in cui DECI ci trascina nostro malgrado. Racconta di una quotidianità cupa, dagli ambienti noir e solitari. Un posto pieno di gente, che ci fa sentire sempre più sol*. La maledizione dell’uomo moderno.

Scritto da DECI con Gianluca Florulli, Nicola Messedaglia e Stefano Pavini, il disco, musicalmente, si ascrive in un pop elettronico decadente, che l’artista ci ha già fatto assaggiare con i suoi singoli “Astrale“, “A cosa servono i grattacieli” e “Lamette“. Un pop da cui vorremmo uscire, ma i cui ritmi ci fanno rimanere lì, subissati dalla velleità di essere qualcun*, di distaccarsi dal mare magnum.

Non solo DECI: METROPOLI è un album di collaborazioni.

Sia per quanto riguarda la scrittura, sia musicalmente, METROPOLI è un’opera di tutt* e di nessun*. A scrivere con DECI, ci sono stati autori come Valeria Palmitessa, Alessio Bernabei, Leonardo Lamacchia, Andrea Amati e Andrea Pellicciari. La produzione sonora è stata affidata principalmente a Laguna, con l’aiuto di Mario Meli, Alessandro Gemelli, Yves the Male, Valeria Palmitessa, Fra Landi, Fabio Vaccaro e Lorenzo Sattin.

Un lavoro che sentiamo nello stomaco, perché parla di una generazione (o forse due): un’esistenza umana che è, ma che vorrebbe essere; che fa, ma che vorrebbe fare altro. Proprio questo canta METROPOLI, l’essere troppo uman* in un mondo che non ci restituisce quasi nulla, se non affanno, ansia, buio, solitudine.

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