C’è ostentazione e ostentazione, così come c’è disco e disco. Artie Five ha creato attorno a La Bella Vita un livello di hype clamoroso, degno di un big della scena. Nel corso dei mesi precedenti si è distinto nei progetti di numerosi colleghi, tra cui Lazza nel brano Casanova e, soprattutto, Guè, che è presente in questo album con un gigantesco doppio featuring. Ora però teneva banco la prova del nove, la consacrazione, il momento di dimostrare che le strofe nei dischi degli altri erano solo l’inizio. Ed ecco che arriva La Bella Vita, un viaggio verso il successo, l’ascesa di un ragazzino che ha ancora tanto da dimostrare. Il momento è arrivato, l’album ora è di tutti, non resta che capire se le aspettative sono state rispettate o meno.
Il tempo di capire un progetto
La Bella Vita non arriva subito, per quanto possa sembrare, all’apparenza, un disco “semplice”. Al primo ascolto, un palato che mastica rap da tanti anni può avere un lieve retrogusto di plastica sopra l’ossobuco, come se lo chef si fosse dimenticato una prelibata pietanza dentro un contenitore per un po’ troppo tempo. Eppure, anche il palato più abituato a questo genere, ha tutte le possibilità di sbagliarsi. Artie Five ha cucinato un disco a fuoco lento, che ha bisogno di più bocconi per arrivare fino in fondo. Sostanzialmente, il primo passaggio su ogni traccia concede più spazio alle produzioni, che non alle parole. Il lavoro di Ddusi sopra i beat è poderoso, da veterano. La contaminazione perenne è palese, così come il fatto che impatta in maniera estremamente positiva su quello che è il prodotto finito. Fondamentale anche il contributo di Miles, che con le nuove leve ha la capacità di saper sempre lasciare il segno.
Il secondo ascolto è il vero momento di Artie Five. Certamente parliamo di un artista che non ha minimamente paura di ostentare, di mostrare ciò che si è guadagnato. Il passaggio fondamentale è quello per cui ad arrivare non è solo l’arroganza, ma anche la fame, quella passata e quella presente. Questo snodo fondamentale è il passo in più che ha la sua musica. Se all’inizio La Bella Vita ha dunque quel sottofondo di commerciale, di “costruito”, approfondire l’album rivela tutt’altro. Di fatto, è riuscito a limare quei difetti dell’emergente, della giovane promessa, cercando di elevare il suo suono a quello del suo produttore, che si sta facendo un nome sempre più grosso.
I feat, pochi ma buoni
Cinque artisti famosissimi, con cinque approcci diversi a La Bella Vita. Tony Boy e Kid Yugi hanno sostenuto uno degli artisti della loro wave, senza nemmeno il pericolo di oscurarlo. Due strofe brevi, che però hanno alzato la densità dei brani, permettendo al padrone di casa di fare la sua fantastica figura. Guè ha confermato il legame bivalente con Artie, regalando un’altra ottima strofa, dopo quella su Milano Testarossa. Infine Capo Plaza, anche lui profondamente legato alla nuova scena, è forse il nome più inatteso in questo disco, anche se il suo personaggio rientra perfettamente nel concept dell’album. Niky Savage, infine, avevamo già potuto sentirlo, visto che Bambola è un brano già edito. Nessuno di questi grandi nomi ha però avuto modo di oscurare l’artista principale, anche se l’emozione aggiunta al disco da ognuno è innegabile.
La Bella Vita è arrivata?
Decisamente sì, come ogni disco di ogni big è soggetto alla critica, ai dubbi, alle incertezze. Artie ha costruito un progetto solido, portando un album valido e coerente con ciò che ha dimostrato di essere. La sua penna non è di quelle estremamente complesse, anzi, si classifica tra quegli artisti più diretti ed impattanti nell’immediato. Eppure, la crescita a livello di flow è ormai sancita definitivamente. La Bella Vita è arrivata, ma il viaggio di Artie Five non è assolutamente finito qui.