Il fenomeno dei rapper italiani e il loro abbandono del rap è sempre stato presente nella scena musicale, e diversi artisti hanno scelto di percorrere nuove strade. Questa dinamica si ripete e coinvolge, forse paradossalmente, proprio chi ha saputo innovare maggiormente le regole del rap-game.
L’abbandono al rap di Neffa
Il caso meno recente, ma forse quello che i fan ricordano con maggiore nostalgia è quello di Neffa. La sua svolta è ricordata per via del grande contributo che l’ormai ex rapper ha dato al genere, da “SxM” e “Aspettando il Sole”. In un’intervista a Vice, riguardo al suo abbandono del rap ha dichiarato:
“La scena hip-hop è sempre stata molto conservatrice. All’inizio mi andava bene, ma poi mi sono reso conto che non ero tagliato per stare sotto una bandiera. Sarei potuto rimanere tranquillamente nel mio regno, ma io sono nato per esplorare, e stare fermo lì solo perché mi conveniva non era un’alternativa allettante.”
Comprendere fino in fondo il cambiamento dal Neffa di “Aspettando il Sole” (1996) a quello di “Arrivi e Partenze” (2001) è quasi impossibile.
Si tratta di una combinazione di stanchezza, noia e forse pure disinteresse che l’artista riassume così:
“In quel periodo iniziavano a uscirmi canzoni e non capivo da dove venissero […] era come fare freestyle, qualcosa che usciva dal nulla. Poi ho capito che quella era la musica che mi diceva: ‘Ok, fino adesso hai cazzeggiato, abbiamo scherzato.’ Tutto quello che ho fatto prima di Arrivi e Partenze è in qualche modo musica di percorso.”
Neffa dichiara apertamente che il rap non era più il suo ambiente, forse troppo spumeggiante e adulatorio fino a spolpare da ogni energia artistica.
La svolta verso la musica pop, comunque affrontata con dignità e attenzione, è stata consacrata da successi come la partecipazione al Festivalbar nel 2003 o quella a Sanremo nel 2016 con “Sogni e Nostalgia”. Riconoscimenti da parte del pubblico e dei media che gli hanno dato ragione riguardo all’abbandono al rap e al cambio di carriera artistica.
L’abbandono al rap di Frankie Hi-Nrg
Spesso chi ha lasciato l’hip-hop dopo averne fatto parte e averne scritto la storia, si scopre grande detrattore del genere, non riuscendo più a comprenderlo. È il caso di Frankie Hi-Nrg, noto ai più per “Quelli che benpensano“. Tuttavia si era già fatto un nome nella scena hip-hop con “Fight Da Faida“, pubblicata nel 1992. Anche lui, dopo l’abbandono della scena rap, ha parlato di quanto fosse opprimente.
“Mi accusavano di essere saltato sul carro del vincitore […] perché in quel momento il rap era la novità e, non avendomi visto in giro dalle loro parti, non mi riconoscevano autenticità e credibilità. Io, invece, ero veramente appassionato di rap e hip hop, ma questa passione me l’ero cresciuta da solo”
(Storia ragionata dell’hip-hop italiano, Damir Ivic)
Quando firmò con la BMG, venne altrettanto criticato dalla scena. L’ex rapper sembra non aver mai fatto pace con l’evoluzione del rap italiano. In seguito criticò il Truce Klan con queste parole:
“Non saranno questi quattro fessi a togliere vigore e nobiltà a una cosa bella come il rap”.
Le “prediche da oratorio” – così definite da Guè – continuarono. Ha attaccato anche la trap, dicendo:
“Della trap apprezzo meno la voce, la cantilena, il tono imbronciato: questa modalità è stucchevole, l’autotune è detestabile, una peste che devasta la musica. Però identifica il prodotto: bene per il marketing.”
Anche in questo caso, dopo album fondamentali come “Verba Manent” e “La morte dei miracoli”, si ha avuto una frattura sempre più inconciliabile tra lui e il genere.
Articolo 31
J-Ax, frontman degli Articolo 31, è stato uno dei rapper italiani più influenti. Il suo abbandono al rap per dedicarsi a sonorità più pop-rock è uno degli esempi più noti di rapper che abbandonano il rap. La prima traccia del duo, “Nato per rappare/6 quello che 6“, fu pubblicata nel 1992. Seguita dall’album “Strade di città”, prodotto da Francesco Godi, noto alcuni dei più famosi spot pubblicitari degli anni ‘70 e ‘80. Questo intreccio ricorda “Rapper’s Delight“, secondo gli storici la prima traccia hip-hop al mondo e che fu criticata per la sua natura “commerciale” e soprattutto fittizia . Gli Articolo 31 furono i primi in Italia a vendere cifre significative e a riempire i palazzetti. Questo diede grande esposizione alla scena hip-hop italiana, nonostante le critiche per il successo mainstream e gli arrangiamenti smaccatamente pop.
I “rapper mediaset”
Nonostante J-Ax abbia ispirato molti rapper attuali (come Guè e Tedua), ha scelto di avvicinarsi a sonorità più pop-rock, inaugurando inconsapevolmente la stagione del cosiddetto “rap Mediaset”. Dopo la diffusione del rap italiano negli anni ‘90 e la chiusura dell’unico giornale di settore, Aelle, la scena hip-hop italiana ha vissuto una crisi di identità, da cui nacquero i Club Dogo, il Truceklan e Fabri Fibra.
Nel frattempo, la scena si è progressivamente acquietata, ed è stata assorbita in parte dai talent show, che hanno lanciato artisti come Briga, Moreno, Rocco Hunt, Mr. Rain e BoroBoro. Tutti nomi che hanno gravitato attorno al rap senza mai praticarlo con una reale attitudine culturale. A questa lista si aggiunge Fedez. Dopo un inizio promettente, ha preferito orientarsi verso sonorità più pop, consolidando la sua carriera con la collaborazione con J-Ax. Tra il 2008 e il 2015, questi artisti sono stati tra i più esposti nella scena musicale italiana. Nel frattempo, l’hip-hop faticava a trovare spazio, cedendo il passo a un suono sempre più ibrido e privo di una vera identità. In questo panorama si consuma la lenta e inesorabile discesa del primo hip-hop italiano, da cui molti artisti storici hanno finito per prendere le distanze.
Il Nas italiano
L’arrivo della trap nel 2016 ha segnato una sorta di riscoperta dell’hip-hop, sebbene in una forma diversa. Anche in questo caso colui che aveva forse il maggior talento – o quantomeno le migliori premesse per una carriera longeva nel rap – ha scelto di essere l’ennesimo rapper che ha scelto l’abbandono del rap.
Rkomi, artista con un rap dalla metrica affinata e influenzata dal miglior “Illmatic” di Nas, si distingueva per uno stile privo di eccessivi cliché macisti e per la capacità di scrivere ritornelli accattivanti senza snaturare il rap. Probabilmente, è proprio lui il più grande rimpianto del rap italiano.
A seguito di “Dove gli occhi non arrivano”, l’artista di Calvairate ha chiarito la sua volontà di abbracciare un approccio più melodico e meno legato all’hip-hop. Il successo del Rkomi cantante, ormai distante dal rap delle origini, è stato sancito dagli album “Taxi Driver” e “NO STRESS“. In quest’ultimo racconta il motivo per cui ha quasi del tutto abbandonato il rap:
Lascio il rap prima che diventi pop
Prima che lo faccia te, prima che sia un bel cliché
Non faccio un singolo per album solo per passare in radio
Tu fai quello che non cambia perché non sai fare altro
Se ci penso, sarebbe molto peggio
Parlare del quartiere coi milioni nell’home banking
Non era vendere, il punto era non sedersi
Per fare lo stesso album, ripetersi quindici anni
(Figlio unico, 2023)
E così, seppur in modo diametralmente opposto, il risultato è stato lo stesso: Rkomi ha abbandonato l’hip-hop, pur avendo avuto il sostegno di figure di spicco della scena come Noyz Narcos, Marracash e The Night Skinny.
L’abbandono al rap…
Le storie di questi artisti, di cui abbiamo ripercorso brevemente il percorso musicale, presentano diversi punti in comune. Il primo è che provengono tutti da due dei più importanti momenti di ascesa dell’hip-hop italiano. Ossia, dalla metà degli anni ’90 e la metà degli anni ’10. Anche se non in alcuni casi il successo non si è tradotto in numeri, questi periodi hanno rappresentato un picco per la qualità artistica e l’attenzione riservata al genere in Italia.
Un altro elemento che emerge frequentemente è che, pur con traiettorie differenti, molti di questi artisti sono giunti alla stessa conclusione: allontanarsi dal rap. Nella “prima ondata” dell’hip-hop italiano, l’ambiente era rigido e intransigente, con regole ferree e poca tolleranza verso qualsiasi deviazione dallo stile canonico. Al contrario, con la “seconda ondata” – quella legata alla trap – il contesto diventa più fluido, tanto che il termine urban viene introdotto per includere un’ampia varietà di sonorità, permettendo agli artisti una maggiore libertà espressiva.
…che si ripete
Queste due attitudini così diverse derivano entrambe da un fattore comune: il rap italiano si è sempre mostrato come un ambiente in cui molti volevano entrare, ma poi si rivelava soffocante una volta dentro. È uno spazio angusto, che richiede continui stravolgimenti per poter essere rinnovato. Lo dimostrano le recenti scelte artistiche di Sfera Ebbasta, Lazza, Geolier, Tedua, Bresh, Ernia e Ghali. Tutti esponenti (più o meno) della generazione 2016 che oggi possono essere definiti sotto il cappello urban, ma solo a tratti ancora pienamente hip-hop, forse perché starci dentro è davvero soffocante.
Alla fine degli anni ’90, il rap italiano sembrava destinato a svanire. Neffa iniziava a cantare, i Sottotono si dividevano, e Frankie Hi-NRG si orientava verso un pop più accessibile. L’abbandono del rap sembrava inevitabile. Oggi vediamo un fenomeno simile: molti rapper, un tempo considerati rivoluzionari, hanno integrato nuovi elementi nel loro stile, come se volessero affermare di essere musicisti prima che rapper.
E così si sforzano di dimostrare di non abusare dell’autotune, nascondono i tatuaggi, edulcorano il linguaggio.
Ma è davvero un’evoluzione del genere? Più che un progresso dell’hip-hop, sembra piuttosto un modo per consolidare lo status quo e guadagnarsi un posto nella “musica che conta” – che sia popolare o semplicemente commerciale. E se la storia si ripete, questa fase sembra sempre più simile a quella della fine degli anni ’90.










