“Grazie ma no grazie”: Willie Peyote tra ironia, irriverenza e verità

da | Feb 15, 2025 | Digital Cover

Sanremo tra aspettative, polemiche e tormentoni: ci siamo fermati a chiacchierare con Willie Peyote, che con “Grazie ma no grazie” porta all’Ariston la sua solita ironia affilata.

L’ironia tagliente di Willie Peyote torna sul palco dell’Ariston: il rapper e cantautore torinese tra i protagonisti della 75ª edizione del Festival di Sanremo con il brano Grazie ma no grazie. Un ritorno atteso dopo il successo del 2021 con “Mai dire mai (La locura)”, che gli valse il Premio della Critica Mia Martini e un disco di platino.

Chi conosce Willie Peyote sa che la sua penna è sempre affilata e scomoda. Grazie ma no grazie non fa eccezione: un brano che gioca con l’ironia per mettere in discussione il mondo che ci circonda, tra opinioni non richieste, meme diventati realtà e cliché ormai logori.

In un mondo che cambia sempre più velocemente, spesso in una direzione che non riusciamo né a riconoscere né a comprendere, rivendichiamo la nostra indipendenza di pensiero e d’azione con ironia, sì, ma anche con l’orgoglio del Cyrano nel celebre monologo: ‘grazie, ma no, grazie’

La canzone è disponibile su tutte le piattaforme digitali da ieri, mentre il videoclip ufficiale che vede una partecipazione speciale: i Jalisse. Il legame tra il duo e il Festival è ormai un meme vivente e Willie Peyote lo ha cavalcato con intelligenza, creando una connessione che è andata oltre la semplice citazione nel testo: 

Quando Alessandra e Fabio hanno saputo del riferimento nel brano, anticipato anche da Carlo Conti durante la presentazione di dicembre, hanno risposto con simpatia e hanno accettato il mio invito a partecipare al videoclip.”

Grazie ma no grazie” tra sarcasmo e realtà

Willie Peyote non cambia pelle: cambia solo bersagli. Grazie ma no grazie è il suo modo di infilarsi nel dibattito pubblico con la consueta ironia pungente, tra satira sociale e disillusione generazionale. Il brano, in gara a Sanremo 2025, è una dichiarazione di intenti mascherata da slogan: un viaggio tra le frasi fatte, le ipocrisie quotidiane e le contraddizioni che dominano la conversazione pubblica.

“Ma che storia triste, avevo aspettative basse 
E sai già come finisce visto da dove si parte”

Willie mette subito le cose in chiaro: non ci sono grandi speranze, perché il copione è già scritto. È una rassegnazione consapevole, ma mai passiva, che si snoda tra battute graffianti e sarcasmo ben calibrato. La citazione ai Jalisse, ripescati dal limbo della memoria collettiva, diventa il simbolo di un’ostinazione che sfocia nell’inutilità:

“C’hai provato anche più volte dei Jalisse ma l’insistenza non è mai così di classe”

L’ironia qui è sottile, ma letale: a volte l’insistenza è solo una forma di autosabotaggio. Un pensiero che si applica a molte dinamiche della società contemporanea, dai politici che si riciclano ai discorsi che tornano ciclicamente senza mai cambiare nulla.

La superficialità è il nuovo salvagente

Nel ritornello, Willie Peyote smaschera una verità amara: il pensiero critico paga poco, meglio restare in superficie.

“Più è profondo e meno paga, quasi sempre meglio stare in superficie: Salvagente”

Viviamo in un’epoca in cui il dibattito pubblico si muove tra slogan e frasi fatte, dove la profondità è vista più come un rischio che come un valore. Ecco perché le risposte sembrano fatte “con lo stampo”, tutte uguali, tutte intercambiabili. Qui Willie si pone due passi avanti e due indietro, come chi cerca di stare al passo con il caos del presente senza mai sentirsi davvero parte di esso.

Il pezzo si fa più corrosivo quando tocca le frasi fatte che infestano il discorso pubblico. Willie le cita, le ripete, le svuota di senso, per poi ribaltarle con il suo “grazie, ma no grazie”:

“Dovresti andare a lavorare e non farti manganellare nelle piazze”

“Questa gente non fa un cazzo, li mantengo tutti io con le mie tasse”

“Dovresti dare meno ascolto ai sentimenti che non sono mai dei buoni investimenti”

Sono frasi che sentiamo ovunque, nei bar, nei talk, nei commenti social. Willie non ha bisogno di smentirle: le lascia lì, nude, affinché si smentiscano da sole.

Confusione, tradizione e vittimismo

“C’è chi non sa più come scrivere, non sa come parlare
Non sa a quali parole deve mettere l’asterisco al plurale”

Qui entra in gioco un’altra grande battaglia contemporanea: il linguaggio inclusivo e il terrore del politicamente corretto. Willie non prende una posizione netta, ma gioca con il paradosso di chi si sente disorientato dalla modernità e si rifugia nella tradizione, senza capire che la tradizione stessa è frutto di continui cambiamenti.

Ancora più feroce è la stoccata al vittimismo di chi si sente attaccato pur attaccando:

“E quanto va di moda il vittimismo di chi attacca ma dice che si difende
C’è chi dice non si può più dire niente, poi invece parla sempre, almeno sii coerente”

Ecco il classico paradosso dell’indignato professionista: quelli che lamentano la censura, ma occupano ogni spazio di discussione. Un loop infinito che Willie smonta con il suo solito mix di ironia e lucidità.

Un manifesto di indipendenza di pensiero

Nell’ultima parte, la disillusione prende il sopravvento:

“C’è chi sparisce finché si calmano le acque (ma che storia triste)
C’è chi annuisce tra le frasi fatte vince chi stupisce sempre a mani basse”

Ancora una volta, tutto torna al punto di partenza: vince chi sa stupire con poco, chi si adatta alla corrente senza mai realmente opporsi. La rassegnazione è totale, ma non è una resa: è un promemoria per chi vuole ancora pensare con la propria testa.

“Grazie ma no grazie” è molto più di una canzone: è un manifesto di indipendenza mentale in un’epoca di pensiero standardizzato. Willie Peyote usa il sarcasmo come uno scudo per difendersi dalla retorica vuota, dalle ipocrisie collettive e dalle opinioni non richieste.

La sua forza sta nel non darti mai una risposta esplicita, ma nel farti vedere le cose da un’angolazione diversa. E, mentre il mondo si riempie di chiacchiere inutili, lui sceglie di rispondere con un elegante, dissacrante e perfettamente coerente:

“Grazie, ma no grazie.”

“Sulla Riva del Fiume” è un disco viscerale

Ma Sanremo non è solo gara: è anche l’occasione per il lancio del nuovo album Sulla Riva del Fiume, uscito ieri. Un progetto che raccoglie le tracce della prima parte pubblicata in digitale lo scorso aprile, arricchite da quattro inediti, tra cui proprio la canzone sanremese.

Il nuovo album Sulla Riva del Fiume è molto più di una semplice raccolta di brani. Chiude idealmente la trilogia sabauda iniziata con “Educazione Sabauda” (2015) e proseguita con “Sindrome di Tôret”(2017), ma con una novità sostanziale: è stato registrato in presa diretta con la sua band, restituendo un’energia cruda e autentica.

“È un disco nato dal piacere di fare musica, di suonare, di scrivere senza troppi calcoli. Volevo un album che mi desse soddisfazione nel processo creativo, un lavoro più di pancia che di testa. Certo, la testa non la posso spegnere, ma qui ha dominato l’istinto”

L’album contiene 12 tracce ed è un progetto collettivo, scritto, suonato e prodotto insieme alla sua band e ad amici musicisti con cui Willie si esibisce live.

“Abbiamo provato i pezzi prima di registrarli, come si fa quando si prepara un tour. Il risultato? Canzoni che hanno preso vita e si sono trasformate in studio, grazie all’energia della band. È stato un processo appagante, che va oltre il disco stesso.”

Le influenze di Willie Peyote spaziano tra mondi diversi, e in Sulla Riva del Fiume si sente il peso delle sue ispirazioni: Paolo Conte, Amy Winehouse, Arctic Monkeys. Un mix che unisce l’eleganza della canzone d’autore italiana, il groove del soul e l’impatto del rock britannico, sempre con quella vena satirica e disincantata che caratterizza la sua scrittura.

Critiche sociali e riflessioni personali in “Sulla Riva del Fiume”

“Cosa te ne fai” è un pugno nello stomaco mascherato da canzone. Il testo è un mix perfetto tra disillusione e sarcasmo, un gioco di immagini che ti porta dentro una relazione che scivola tra le dita. “Svegliarsi come il giorno dopo un’elezione” è una sintesi geniale di quel senso di vuoto che arriva quando capisci di aver perso qualcosa… o forse non l’hai mai avuto davvero.

“Sulla riva del fiume” è uno specchio su una generazione che si guarda attorno con cinismo e consapevolezza. La metafora del fiume che trascina via i cadaveri è potente e inquietante: c’è rassegnazione, ma anche una rabbia silenziosa. Qui non si cercano eroi, solo qualcuno che abbia il coraggio di non girarsi dall’altra parte.

“Giorgia nel Paese che si meraviglia”, un richiamo a Giorgia Meloni, è un viaggio tra nostalgia e bugie raccontato con la lucidità di chi sa che il passato è un’illusione ma continua ad inseguirlo lo stesso. “Questo amore è una bugia” è il mantra perfetto per chi si tuffa nei ricordi anche sapendo che sono distorti. Un brano che gioca con il paradosso tra il bisogno di credere e la certezza di essere stati ingannati.

Poca rabbia, sarcasmo e tanta poesia

In “Buon auspicio” ogni riga è una stilettata contro un mondo che ti chiede di sforzarti, sacrificarti, adattarti… senza mai restituirti nulla. “Quanto costa il buon auspicio?” è la domanda che resta nell’aria, mentre intorno tutto si sgretola tra ipocrisie e false promesse. Una critica sociale feroce, vestita da canzone.

“Piani” ci parla di un amore che scompiglia tutto, manda all’aria ogni certezza e ti lascia con il fiato sospeso. “Tu che mi rovini i piani” è la frase che tutti abbiamo pensato almeno una volta, divisi tra la voglia di fuggire e quella di restare. Il testo è una colonna sonora perfetta per chi ha il cuore in subbuglio, tra caos e meraviglia.

“Narciso” è il ritratto brutale di un mondo che si guarda ossessivamente allo specchio, ma non si riconosce più. “Questo mondo qui è un Narciso che si specchia e non si piace” è una verità cruda che pesa come un macigno. Un brano che non fa sconti a nessuno e che lascia l’amaro in bocca… proprio come la realtà che descrive.

Non faccio musica per piacere a tutti”: intervista a Willie Peyote

Noi di Cromosomi abbiamo fatto una chiacchierata a Sanremo con Willie Peyote, tra ironia tagliente e riflessioni mai banali. Abbiamo parlato di Grazie ma no grazie, del suo ritorno sul palco dell’Ariston e di come la musica possa ancora essere uno strumento per smontare cliché e luoghi comuni. Un incontro che conferma quanto Willie sappia leggere la realtà con lucidità, senza mai rinunciare al sarcasmo.

Il titolo è già un manifesto: “Grazie ma no grazie”, possiamo dire una formula di cortese rifiuto. A chi o a cosa è rivolto questo “no grazie”?

Ci sono molte situazioni nel brano, ma il tema centrale del brano è il conservatorismo dilagante, un aspetto che mi sorprende trovare così radicato anche tra i giovani. Mi ha fatto riflettere il fatto che, pur essendo in un’età in cui dovremmo essere più aperti al cambiamento, tendiamo invece a diventare sempre più conservatori.

Il brano si apre con un senso di disillusione. Pensi che oggi sia più facile partire con aspettative basse per evitare delusioni?

È quello il mio stile di vita da sempre e credo che sia il mio approccio alla vita totale. Bisogna partire con basse aspettative 

Il riferimento ai Jalisse sembra simboleggiare un concetto chiaro: insistere troppo non paga. Ti è mai capitato di trovarti in situazioni in cui hai insistito troppo su qualcosa, per poi renderti conto che non ne valeva la pena?

A dire la verità, non mi è mai capitato di insistere troppo per qualcosa. Non sono una persona particolarmente insistente, tranne quando si tratta di musica. È l’unico ambito in cui ha davvero senso per me esserlo.

Dovresti andare a lavorare e non farti manganellare nelle piazze” è una citazione diretta o un modo per smascherare una mentalità diffusa?

È una frase che si spiega da sola, perché si sente spesso quando avvengono manifestazioni che sfociano in scontri con la polizia. È facile dire “Se non fossero stati in piazza, non le avrebbero prese”, come se la colpa fosse di chi protesta. Questo atteggiamento riduce le manifestazioni giovanili a semplici sfoghi, ignorando il loro valore politico e sociale, e promuove l’idea che l’unica alternativa sia studiare o lavorare senza mettere in discussione nulla. Lo stesso vale per chi critica gli scioperi con la classica frase “Li fanno solo di venerdì per saltare un giorno di lavoro”. Quello che mi preoccupa non è solo il conservatorismo, ma il modo in cui si sminuiscono le manifestazioni e certe lotte, come se non avessero un reale significato. Se un popolo perde il valore della protesta, finisce per zittirsi da solo.

C’è chi non sa più come ridere”. Oggi il confine tra ironia e offesa sembra sempre più sottile. È davvero diventato difficile scherzare senza rischiare di essere fraintesi?

Il problema non è scherzare in sé; ad esempio, durante le interviste, può capitare che le mie parole, una volta trascritte, non riflettano esattamente il senso che intendevo. Tuttavia, credo fermamente che non esistano momenti in cui non si possa scherzare. Comprendere come farlo e adattarsi all’evoluzione della comunicazione è, a mio avviso, segno di intelligenza. Non temo di stare al passo con i tempi che cambiano. Non viviamo in un’epoca o in un paese dove non si possa dire nulla; non lo credo affatto.

C’è qualcosa nel panorama attuale che ti infastidisce particolarmente?

La spinta conservatrice mi preoccupa, ma ancor di più l’approccio superficiale e la rapidità con cui affrontiamo le cose. Oggi siamo costantemente bombardati da una moltitudine di stimoli e tendiamo a leggere notizie e titoli in modo frettoloso, commentandoli senza un’adeguata riflessione, il che ci rende molto superficiali. Personalmente, preferisco prendermi il tempo necessario e procedere con calma.

Cosa ti ha convinto a rimetterti in gioco sul palco dell’Ariston?

Quattro anni fa, a causa di un periodo particolare per tutti, non ho potuto vivere l’esperienza fino in fondo. Inoltre, venerdì è uscito il mio nuovo disco, di cui sono molto orgoglioso. Per dargli maggiore risonanza, ho deciso di partecipare al festival. Credo fermamente che questo disco meriti di essere ascoltato.

Se potessi mandare un messaggio al Willie Peyote del 2021 che saliva per la prima volta sul palco di Sanremo, cosa gli diresti?

Per affrontare Sanremo con maggiore serenità, è fondamentale prendere seriamente il contesto in cui ci si trova. Sanremo è un evento unico, indipendentemente dai partecipanti, e bisogna essere consapevoli del proprio ruolo. Quattro anni fa, mi sono presentato in modo un po’ ingenuo ed ero molto agitato. Ieri sera, invece, durante il mio esordio, ero molto più tranquillo, concentrato e consapevole del palco su cui mi trovavo.

Il 14 febbraio è uscito l’album “Sulla riva del fiume”, che unisce il progetto uscito in digitale ad aprile con quattro nuovi brani. Come nasce questa scelta di pubblicazione in due parti?

Sentivo l’urgenza di pubblicare nuove canzoni che mi piacevano e desideravo condividere. Ho deciso di distribuirle nel tempo, poiché, in un’epoca in cui tutto avviene rapidamente, volevo dare loro una maggiore longevità. È stata una scelta creativa, considerando la quantità di dischi che escono ogni giorno; in questo modo, ho cercato di offrire al pubblico un’esperienza musicale più duratura.

Giorgia nel Paese che si meraviglia”. Puoi darci qualche indizio su cosa racconta?

Parafrasando una celebre espressione attribuita a Giorgio Gaber, potrei dire: “La mia preoccupazione non è tanto Giorgia Meloni in sé, quanto la Giorgia Meloni dentro di me”. Questa frase, originariamente riferita a Silvio Berlusconi, sottolinea come il vero timore risieda nell’interiorizzazione di certi valori o atteggiamenti promossi da figure politiche. Nel mio testo, il focus non è tanto sul governo attuale, quanto sulla spinta nostalgica che alcuni governi di destra riescono a riaccendere in una vasta parte della popolazione italiana.

In “Chissà” hai coinvolto Ditonellapiaga. Com’è nata questa collaborazione?

La collaborazione è nata dal mio apprezzamento per Margherita, di cui sono un grande fan, e dal desiderio di creare qualcosa insieme. Ha accettato di unirsi a me anche per la serata delle cover, e questa esperienza è scaturita dalla nostra voglia di condividere.

Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro?

Questo disco è nato dall’esperienza del suonarlo dal vivo, quindi aspettatevi numerosi concerti. La parte che preferisco è esibirmi insieme ai talentuosi musicisti che ho la fortuna di avere al mio fianco sul palco.”

A Sanremo non si parla solo di musica, ma anche di idee che prendono vita nei luoghi più inaspettati. Abbiamo incontrato Luca Ravenna che ci ha raccontato un aneddoto curioso sull’idea nata insieme a Willie Peyote per il palco di Sanremo.


L’idea è nata quasi per caso, tra una chiacchierata e l’altra, ed è proprio questo che la rende ancora più divertente. Non credo che una cosa del genere sia mai stata fatta prima, e l’idea di creare una gag in cui un personaggio restasse in silenzio per mezzo secondo ci ha fatto ridere un sacco. Così ci siamo detti: perché non provare a fare qualcosa insieme che fosse diverso dal solito, senza cadere nelle solite dinamiche?

Ci siamo sentiti al telefono e abbiamo iniziato a ragionarci su. L’idea era che io intervenissi sottolineando che ci fosse qualcosa di “sbagliato” nel testo della canzone. A quel punto, Willie mi ha detto che in effetti c’era una frase particolare e abbiamo deciso di inserirla nel coro, trasformandola in una piccola gag. Mi piace pensare che sia un’idea nata davvero insieme, senza troppi calcoli, solo con la voglia di divertirci.

Dobbiamo aspettarci di vederti anche nella serata delle cover?

Per la serata delle cover, invece, non ci sarò, perché non voglio rovinare il pezzo a tre persone.

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