Shablo a Sanremo 2025: tra passato, presente e futuro dell’urban italiano

da | Feb 10, 2025 | Interviste

Shablo sbarca a Sanremo 2025 con "La mia parola", unendo tre generazioni dell’urban italiano. Con Guè, Tormento e Joshua, il produttore italo-argentino porta sul palco una street song dal sapore autentico e innovativo.

A volte, il palco dell’Ariston diventa il punto di incontro tra generazioni e culture musicali diverse. Shablo, uno dei nomi più influenti dell’urban italiano, salirà sul palco del Festival di Sanremo 2025 con il brano La mia parola. Al suo fianco, tre artisti simbolo del genere: GuèTormento e Joshua, unendo tre diverse epoche della scena urban italiana in un’unica, potente dichiarazione musicale.

A 15 anni da “Thori e Rocce”, pietra miliare della produzione rap italiana, Shablo torna con un nuovo disco in uscita nel 2025, anticipato proprio da La mia parola. Il brano, che porterà a Sanremo, è un inno alla vita di strada, alla determinazione e alla cultura hip-hop, un ponte tra passato e futuro del genere.

Ma la sorpresa non finisce qui. Nella serata dei duetti, Shablo e il suo team saranno affiancati da Neffa, con cui porteranno un mash-up di due pezzi iconici: “Amor de mi vida” dei Sottotono e “Aspettando il sole” dello stesso Neffa. Un omaggio alle radici del rap e dell’R&B italiano, in una fusione che si preannuncia emozionante.

Shablo con Josha, Guè e Tormento: tre generazioni sul palco

Il progetto di Shablo è ambizioso: unire tre figure chiave della scena urban italiana, rappresentando tre generazioni diverse del genere. Guè, colonna portante del rap italiano, approda a Sanremo forte del suo status di icona. Tormento, che mancava dal Festival da ben 24 anni, rappresenta la vecchia scuola, quella che ha aperto la strada a tutto ciò che è venuto dopo. Joshua, infine, è il volto nuovo, la scommessa di Shablo, che con le sue influenze contemporary R&B è pronto a portare una ventata d’aria fresca.

Una street song nel senso più puro del termine

Il brano si apre con un ritornello che mette subito in chiaro il concept:

“È una street song 

Per dare quello che ho 

Brucerò fino alla fine 

Chiuso tra cemento e smog.”

La città non è solo uno sfondo, ma una gabbia di cemento e smog che costringe, soffoca, ma al tempo stesso forgia chi la vive. La strada non è solo un luogo, ma un codice di vita, una sfida continua per chi cresce in contesti difficili. Questo rappresenta sia la dedizione totale, che dall’altro il rischio costante di consumarsi nel tentativo di emergere.

Ci sono elementi chiave del linguaggio rap: la competizione, l’orgoglio di chi ce l’ha fatta, il senso di solitudine tipico del contesto di strada. Guè, da sempre legato alla narrazione della vita di strada, si muove con la consueta sicurezza, affermando il proprio status, mentre Joshua e Tormento danno sfumature diverse al racconto. Il primo, con un flow più fresco e melodico, porta la visione di una generazione che lotta tra sogni e mancanza di alternative. Tormento, veterano della scena, aggiunge la profondità e la riflessione di chi ha vissuto sulla propria pelle il peso della strada, riuscendo a mantenere viva l’anima del rap old school. Il testo è disseminato di riferimenti culturali che si intrecciano con il vissuto rap e urban. 

La musica diventa una voce di riscatto, proprio come il gospel lo è stato per la comunità afroamericana. C’è un omaggio all’eredità musicale afroamericana e alla hit di Snoop Dogg “Gin & Juice”, simbolo della cultura hip-hop.

“Fai il mio nome tre volte Beetlejuice”

È un riferimento al film cult del 1988, ma anche alla tradizione hip-hop di evocare il proprio nome con forza e autorità.

“Rock’n’roll lo sai party & bullshit”

Richiama sia il rock che il classico “Party & Bullshit” di Notorious B.I.G. È una street song nel vero senso del termine: sincera, viscerale, e con il cuore ben saldo nel cemento da cui proviene.

Shablo a Sanremo con La mia parola

La partecipazione a Sanremo arriva al culmine di un’annata straordinaria per Shablo. Dopo il successo di “Hope”(feat. Izi e Joshua), che ha ricevuto un’ottima accoglienza da pubblico e critica, Shablo è stato protagonista della Notte della Taranta, dove ha ricoperto il ruolo di maestro concertatore. Inoltre, ha firmato l’unico remix ufficiale di “Tu Te Vas”, il brano di Manu Chao, icona della world music.

Abbiamo avuto modo di incontrare Shablo pochi giorni fa al Moysa di Milano, dove ci ha raccontato con entusiasmo dell’imminente esperienza sanremese e dei progetti futuri.

Guardando indietro, come vedi l’impatto dell’urban?

“Dalla mia partecipazione al mio disco si può vedere come la mia mentalità e quella di Gué siano sempre state orientate a fare ciò che volevamo, mantenendo la nostra identità artistica. In realtà, anche se può sembrare un controsenso, siamo un po’ responsabili di ciò che è diventato oggi l’urban in Italia. Per alcuni è un merito, per altri la rovina della musica italiana. Ciò che abbiamo portato noi è un urban che domina le classifiche, in un momento storico in cui, quando abbiamo iniziato, queste classifiche nemmeno esistevano in questa forma. Il mercato non era come quello di oggi, soprattutto dopo il 2016 con la digitalizzazione. Sfera Ebbasta e altri artisti che rappresento all’epoca non facevano i numeri che poi hanno raggiunto, ma sono stati bravi a influenzare le generazioni successive, tanto che oggi si è passati da un estremo all’altro. In quel periodo storico sentivamo di poter portare una visione diversa rispetto a quella che dominava il mercato italiano, fatto di musica leggera, di un certo tipo di hip-hop e rap. La nostra generazione ha cambiato un po’ le regole e siamo arrivati a un punto in cui, forse, la situazione è un po’ sfuggita di mano, con tanti che hanno preso quella strada senza una direzione chiara.”

Hai parlato spesso dell’influenza dell’urban sulle nuove generazioni. Credi che oggi ci sia ancora lo stesso spirito di ricerca e innovazione di quando hai iniziato?

“La nuova generazione si è identificata tantissimo in questa musica e oggi tanti ragazzi vogliono fare gli artisti, e questo mi rende davvero felice. Tuttavia, io appartengo a un’altra generazione, con un’altra storia, e sentivo il bisogno di tornare a fare musica senza pensare ai numeri, ma con lo spirito originale che mi ha fatto iniziare trent’anni fa. Parlando di Sanremo e dei progetti a cui sto lavorando, l’ispirazione è quella di tornare alle origini della musica, senza l’urban di oggi. Parlo di black music, soul, jazz, generi che negli anni ’90 erano molto presenti. Prima tutto nasceva dal campionamento, dalla voglia di andare a scoprire le radici musicali e capire cosa avesse generato il rap e la sua golden era negli anni ’90. Ricordo che da adolescente andavo a cercare musica degli anni ’70, facevo ricerche approfondite. Oggi, purtroppo, l’artista medio approccia la musica senza questa curiosità e senza scavare nel passato.”

Il tuo progetto sanremese riunisce tre generazioni di artisti. Come si bilanciano queste diverse esperienze sul palco?

“Da una parte, è la chiusura di un cerchio, dall’altra è l’inizio di uno nuovo. Abbiamo tre generazioni: Tormento, che è stato l’icona per gli adolescenti di una certa epoca; Gué, che è mio coetaneo e con cui siamo cresciuti artisticamente insieme; e Joshua, che rappresenta la nuova generazione. Essendo figlio di afroamericani, chi meglio di lui può portare questa tradizione e cultura in modo fresco sul palco dell’Ariston? Credo che sia fondamentale ricordare che la musica non dovrebbe essere effimera: oggi una canzone dura un mese, una settimana, e poi è già considerata vecchia, ma non è così. Gué, Marra e tanti altri della nostra generazione sono ancora rilevanti e possono essere una guida e un’ispirazione per i più giovani. Ho sempre lottato per far prevalere il nuovo, ma senza dimenticare il valore della tradizione.”

Il tuo progetto sembra voler rendere omaggio al passato ma con un occhio alla contemporaneità. Come avete lavorato su questo equilibrio?

“Volevamo creare qualcosa che avesse un’anima vintage ma che fosse anche contemporanea. Non volevamo fare un semplice tributo, ma dimostrare come il passato possa rivivere oggi attraverso una rivisitazione, mantenendo il fascino di un tempo. Oggi la musica contemporanea suona spesso ‘di plastica’, e noi vogliamo dimostrare che c’è una storia dietro, una storia che va avanti da decenni. L’hip-hop, quando è nato, si rifaceva già alla musica nera di cent’anni prima. Credo che chi ascolta l’urban oggi possa riconoscere questi riferimenti e capire che nulla nasce dal nulla.”

Com’è nata la tua partecipazione a Sanremo e cosa dobbiamo aspettarci dalla tua esibizione?

“Carlo Conti ci ha voluti perché voleva portare delle figure diverse sul palco. Io, essendo un produttore, sarò al pari di un cantante e sicuramente succederanno cose interessanti. Sarà una performance molto coerente con il brano e con il mondo che rappresento, dallo scratch al beatmaking. Riporteremo un po’ il rap alle sue origini, dopotutto è nato da un DJ col giradischi. Avrò una console creata appositamente che sarà posizionata al centro del palco, e non dietro, come spesso accade. Ci saranno altre sorprese che non posso spoilerare, ma sarà una performance corale. Le prove sono andate molto bene.”

L’hip-hop è passato dall’essere una controcultura a dominare il mainstream. Com’è cambiata la percezione dell’urban nel tempo?

“Il mondo è cambiato, la società è cambiata, l’hip-hop e la musica stessa sono cambiati. Una volta noi rappresentavamo la controcultura ed eravamo esclusi dai grandi palchi e dai salotti della discografia italiana, che non permetteva a questa musica di emergere. Internet ha cambiato tutto, ha reso i numeri democratici e ha permesso che l’urban diventasse tendenza. Questo ha aperto nuove opportunità che prima non esistevano. Oggi l’urban è diventato il nuovo pop, e Sanremo è sempre stata la casa della musica popolare italiana, quindi è naturale che ora ci siamo anche noi. Sanremo, oggi, rimane l’unica vera occasione che può fare la differenza nella carriera di un artista. È un megafono incredibile. Tuttavia, non è più come un tempo, quando dopo il festivalbar si vendevano 10.000 copie in un giorno. Oggi puoi arrivare primo in radio, ma non vendere un singolo CD. Sanremo invece può cambiare una carriera, ma può anche distruggerla. Se giochi bene le tue carte, può essere una spinta incredibile, altrimenti può essere un disastro totale.”

Come affronterete la settimana sanremese?

“Faremo festa tutta la settimana, ma cercheremo di contenere i nostri artisti per evitare eccessi. Il 14 sera avremo il nostro party ufficiale, poi ci sarà la finale e, indipendentemente da come andrà, festeggeremo comunque. Durante la settimana vedremo cosa succederà, ma sarà sicuramente un’esperienza unica.”

Shablo e Guè lanciano Oyster Music

Nel frattempo, anche Guè è pronto a una nuova avventura. Shablo e Jacopo Pesce hanno annunciato la nascita di Oyster Music, label che avrà un accordo esclusivo con Universal. L’obiettivo? Rimettere al centro l’autenticità, la libertà di espressione e la cultura hip-hop, che secondo Guè negli ultimi anni sono state messe in secondo piano.

Nel suo annuncio video, Guè ha dichiarato che tutti i suoi futuri progetti, mixtape e collaborazioni usciranno per Oyster Music, ma non sarà solo. L’etichetta pubblicherà anche lavori di nuovi talenti e artisti già affermati, con la missione di creare una “fabbrica di idee”.

E quale miglior modo di inaugurare questa nuova avventura se non con il primo disco ufficialmente in uscita per l’etichetta? Sarà proprio il nuovo album di Shablo, un progetto che promette di esplorare influences black, soul, funk e hip-hop, con un parterre di ospiti di primo livello.

Il 2025 sarà l’anno dell’hip-hop italiano. Con Shablo a Sanremo e il lancio di Oyster Music, il 2025 si preannuncia come un anno cruciale per l’urban italiano. Il festival sarà un banco di prova importante: sarà l’occasione per vedere se il genere, ormai da anni protagonista delle classifiche, riuscirà a conquistare anche il palco più nazionalpopolare d’Italia.

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