Nel nuovo appuntamento di FRESH TALENT esploriamo l’universo sonoro di Coca Puma, talento emergente che sta portando una ventata d’aria fresca nella scena musicale italiana. Nata a Roma e animata da una profonda sensibilità artistica, Coca Puma riesce a fondere nu jazz e sperimentazione analogica, dando vita a un sound che è intimo e autentico.
Coca Puma è una di quelle artiste che cattura sin dal primo ascolto. Le sue melodie combinano una raffinatezza jazz con sonorità oniriche, intrecciandole a un’introspezione profonda e una libertà creativa disarmante. Il tutto invita a immergersi in uno spazio sonoro libero e vibrante. Nell’intervista, ci svela il suo percorso, il suo album “Panorama Olivia” e cosa significa, per lei, fare musica vera e sincera.
Coca Puma: dal primo approccio con la musica all’ultimo lavoro
Ciao Costanza! Innanzitutto grazie di essere qui con noi oggi. Come stai?
Bene, grazie! Oggi in realtà è stata una giornata un po’ frenetica perché domani suoniamo a Roma e ho avuto un po’ di cose da sbrigare, altre che non ho avuto il tempo di finire, ma a parte questo tutto bene.
È uscito ormai ad aprile il tuo primo album, “Panorama Olivia” e durante quest’estate hai avuto modo di presentarlo in vari eventi e festival in giro per l’italia. Com’è stata questa esperienza?
È stato molto faticoso, ma molto bello. A dire la verità all’inizio avevo un po’ paura, ho detto subito alla mia manager e al booking “io sono un animale da studio, non ho la fame da palco, quindi mi raccomando quest’estate poche date ma giuste!”. E poi invece, boom, 30 date. Quindi, ecco, ero un po’ spaventata, ma col senno di poi sono molto contenta ed è stata un’esperienza bellissima che sicuramente mi porterò dietro per tutta la vita.

Continui comunque a preferire stare in studio piuttosto che fare concerti?
Beh diciamo che adesso riesco a gestire meglio il palco, sicuramente. Però dipende, tanto lo fa la compagnia con cui sei e io per questo tour ho avuto la fortuna di essere con delle persone speciali, molti musicisti fenomenali, quindi direi che è andata molto bene.
Nel tuo album sono evidenti le diverse influenze a livello musicale, dal jazz al dream pop e all’elettronica. Per questo vorrei chiederti come ti sei avvicinata al mondo della musica? È sempre stata una tua passione o l’hai scoperta più tardi?
La musica è sempre stata una mia passione sin da bambina. Sicuramente mio padre mi ha aperto il primo portone verso questo mondo: durante i viaggi in macchina aveva sempre musica a palla, la radio accesa, aveva collezioni di cd. Anche mia madre mi faceva ascoltare tanta musica, quindi è sempre stata presente nella mia vita.
Avevo poi questa pianola giocattolo che mi piaceva tantissimo suonare, al che mio padre per la comunione decise di regalarmi un pianoforte e da lì è partito tutto. Anche a livello di generi mi piace tanto spaziare, muovermi tra cose diverse e credo che sia merito anche di questo, dell’ambiente in cui sono cresciuta.
Per i brani di “Panorama Olivia” hai scelto di seguire una linea stilistica e tematica ben precisa o hai lavorato più d’istinto, cercando poi un filo che li tenesse insieme?
Direi più di getto e d’istinto, però avevo voglia di raggiungere una dimensione sonora abbastanza chiara nella mia testa. Avendo questa cosa in mente e volendo raggiungere un certo tipo di sonorità è stato poi abbastanza naturale che quello che scrivevo alla fine fosse vicino a quella dimensione lì.
Il tuo album si muove tra due spazi che sono quasi contrapposti, da un lato Roma – città caotica e frenetica – e dall’altro la natura e i luoghi di campagna della tua infanzia. Ci parleresti del tuo rapporto con queste due dimensioni?
Sicuramente l’una bilancia l’altra. Ci sono momenti in cui sono in città ma ho bisogno di evadere, allora vado a casa dei miei nonni in campagna, che è diventata una sorta di seconda casa per me, dove spesso vado a scrivere e stare in tranquillità. Quando sento che la città mi opprime vado lì, ma ovviamente dopo un po’ anche lì mi annoio e voglio tornare a Roma. Quindi sì, sono due dimensioni che si controbilanciano.

Quali sono gli artisti a cui ti sei ispirata e a cui anche oggi ti ispiri di più nel fare musica?
Diciamo che non ho avuto dei punti di riferimento fissi, ma ci sono tante cose da cui ho preso spunto, cose che mi sono piaciute di diversi artisti che ho cercato di rielaborare. In un’ottica più generale per il modo di approcciare il proprio lavoro all’interno della carriera musicale ti direi Tyler, the Creator. Inoltre lui ha un brand di moda, che è qualcosa che piacerebbe fare anche a me in futuro.
Anche a livello di sonorità non capita mai che io prenda una canzone come reference e pensi “adesso faccio una cosa simile a questa”. Quindi non prendo tanto spunto da un artista nel complesso, ma mi focalizzo più su un dettaglio.
Di recente hai anche prodotto la colonna sonora per il film “Quasi a casa”. Ti è piaciuto lavorare in ambito cinematografico?
Moltissimo! È stato davvero stimolante. Sicuramente all’inizio è stato spaventoso: è una cosa abbastanza grossa e io sono anche molto giovane, di solito lavorare nel cinema succede a persone che sono un po’ più grandi, forse, mi sento di dire questo.
Avevo un po’ paura, anche perché stavo finendo l’album e c’è stato un momento in cui queste due cose si sono sovrapposte e il lavoro è diventato enorme. Poi io ho iniziato a produrre proprio con il disco, quindi in un primo momento non mi sentivo pronta e all’altezza. Ma alla fine, come in tutto, bisogna lanciarsi e qualcosa viene fuori. Spero di aver fatto un buon lavoro, però per ora tutte le persone mi sembrano contente e lo sono anche io. Sinceramente non so come abbia fatto, ma l’ho fatto!

Il tuo cappello ormai è un po’ il tuo tratto distintivo, come mai? È stata una scelta o è nato in maniera spontanea?
Sai, non saprei dirti se è stata una scelta o una cosa naturale. Nel momento in cui dovevamo pubblicare il disco c’è stata sicuramente una scelta. Parlando con l’etichetta e con l’ufficio stampa ci siamo messi a tavolino e abbiamo detto “vabbè, che dobbiamo fare con questo cappello?”.
Però è nato un po’ perchè volevo proteggermi. Prima avevo una band, poi ci siamo sciolti, per cui ripartire da sola con un progetto non è stato facile, mi sentivo molto più vulnerabile, più fragile. Quindi in qualche modo il cappello mi protegge, mi proietta in un non-luogo, sono da un’altra parte. Mi concentro sulla tastiera e sulle cose che mi stanno vicine, mi aiuta in questo senso. Poi è diventato una sorta di tratto distintivo e quindi ho deciso di tenerlo e devo dire che ha i suoi vantaggi.
Finiamo con una domanda un po’ più leggera. Se dovessi scegliere tre aggettivi per descriverti, quali sarebbero?
Musicalmente direi: sincera, camaleontica e un po’ goffa, forse.