Napoli piange (di gioia) per la reunion dei Co’Sang

da | Set 18, 2024 | #Cromosomiintour

Dopo dodici anni di silenzio, i Co'Sang sono saliti di nuovo sul palco e l’hanno fatto magistralmente seppur con la consapevolezza che tutto è cambiato.

Dopo dodici anni di silenzio, il duo composto da Ntò e Luchè, è salito nuovamente su di un palco e l’ha fatto magistralmente seppur nell’aria aleggiasse un velo di nostalgia e consapevolezza che tutto è cambiato.

Ieri a Napoli pioveva, ma Piazza Plebiscito era in fiamme.
Ventiduemila persone non si sono arrese alle condizioni metereologiche avverse ed hanno scatenato il panico alla vista dei Co’Sang.

Un ritorno che ha scisso il mondo in due fazioni.
Da un lato chi ritiene che le reunion sia stata una mera operazione di marketing, dall’altro chi semplicemente aspettava questo momento da tutta la vita.
Un concerto che è stato una dichiarazione di intenti. Un abbraccio al pubblico che non ha mai dimenticato le rime dei Co’Sang che raccontavano di strada, “malammore” e adolescenze bruciate.
Chiaro è che il concerto della reunion va considerato in quanto tale.
Bisogna scindere ciò che erano i Co’Sang in passato con ciò che sono i Co’Sang oggi.

Tutto è cambiato dall’epoca in cui era iniziata, quando il loro rap era crudo e lo si faceva negli scantinati degli amici. Ma il concerto è stato un meltin’ pot di sensazioni.

C’era chi cantava le canzoni a memoria dopo anni con un po’ di malinconia, ragazzi cresciuti con la loro musica che non avevano mai avuto l’opportunità di assistere ad un loro live e chi, inevitabilmente, un po’ storceva il naso.
I Co’Sang hanno fatto la storia dell’hip-hop a Napoli: hanno raccontato della gente di strada, difeso ideali e scardinato capostipiti.
Ma le generazioni si sono susseguite ed i tempi sono cambiati. Così come Ntò e Luchè, che vantano ad oggi meritevoli carriere soliste, e questa evoluzione si è inevitabilmente riflessa sulla reunion del gruppo storico. Il concerto è stato come riguardare con consapevolezza uno di quei film che ami e che guardi da bambino, cosciente però del fatto che determinate cose non ti sembreranno più magiche ed edulcorate come un tempo.

Nonostante ciò, l’emozione era palpabile. Le urla, le lacrime, la forza travolgente di una popolazione giovane (e non solo) connessa al duo per una questione di DNA partenopeo. La volontà di riscatto, la riconoscenza per ciò che i Co’Sang hanno raccontato, imponendosi nella scena musicale italiana, abbattendo barriere e urlando la forza di Napoli al mondo. Di una Napoli diversa, dal ventre molle, una Napoli che cannibalizza ma perdona.

Sul palco, molteplici amici (e colossi della musica) a rimarcare la forza del duo napoletano: partendo dai Club Dogo, recentemente riunitisi anche loro, con cui hanno cantato Cchiù tiempo e You Know NA-MI.
Pescando nel bacino del panorama napoletano, hanno calcato il palco i Fuossera, con cui si sono esibiti sulle note di Poesia Cruda, ma anche Geeno (storico produttore) che ha scratchato sulle note di Quanno Me Ne So Juto.

“Chi se la ricorda questa?”, chiede Luchè sul finale al partire di una sola nota.
Ma non c’è bisogno di chiedere. La ricordano tutti.
L’anthem di più generazioni, la necessità di evadere, la rabbia repressa adolescenziale.
E con gli occhi lucidi il pubblico inizia a cantare acapella Int’o Rione in quello che è sembrato un vero e proprio atto liberatorio, l’attimo che vale una vita.
E nonostante sia stato un concerto che avrebbe lasciato poco a livello musicale se non fosse stato per la nostalgia ed il legame affettivo, tutti eravamo connessi.

Vita bona a chiudere il set.
Ha smesso di piovere per il gran finale, fuochi d’artificio, il pubblico con la pelle d’oca.
E non per gli abiti bagnati, quanto per l’emozione di rivedere Napoli brillare sotto la guida di chi l’ha rappresentata negli anni senza paura.

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