L’ingresso di Tony Effe nel “cast” di Emily in Paris 4 ha suscitato una notevole reazione sui social, soprattutto tra i fan italiani e gli amanti della trap. Tuttavia, la scelta di inserire il trapper romano nella serie Netflix appare, a tratti, discutibile. Se da una parte può essere vista come una mossa per conquistare il pubblico più giovane e ampliare l’influenza dello show sui social, dall’altra si può interpretare come un tentativo forzato di cavalcare l’onda della popolarità senza un reale valore aggiunto alla narrazione.
Tony Effe, noto per i suoi brani controversi e per la sua immagine provocatoria, è una figura che difficilmente si adatta allo stile glamour e patinato di Emily in Paris, una serie che fa dell’estetica leggera e dei clichè modaioli il suo punto forte. Il suo inserimento nei panni del vicino di casa di Emily – seppur in un semplice montaggio promozionale – solleva interrogativi sul senso narrativo di questa scelta. La presenza di Raul Bova e Eugenio Franceschini come volti italiani di successo sembrava già sufficiente per conferire un tocco di italianità alla storia, soprattutto ora che Emily si trasferisce a Roma.
Che ruolo concreto può giocare Tony Effe in un contesto tanto lontano dalla sua realtà?
Dal punto di vista critico, ci si chiede se questa operazione non sia l’ennesimo esempio di fan-service spinto, finalizzato più a generare clamore mediatico e traffico social che a migliorare la qualità della trama. Certo, Emily in Paris non ha mai preteso di essere una serie realistica o profondamente intellettuale, ma c’è una linea sottile tra l’inserimento di nuovi personaggi per espandere il mondo della protagonista e il sacrificio della coerenza narrativa in nome del marketing.











