Nel calderone dell’urban italiano, c’è ancora chi fa il rap alla vecchia maniera… o forse no. Nel corso della nostra intervista, Jack The Smoker ci ha parlato del rapporto con se stesso e con la sua musica, oltre che del suo nuovo disco: Sedicinoni. Nel 2024, quando i dischi escono come macina-numeri, spesso usa e getta, il progetto del membro Machete vuole essere di natura molto differente. Parliamo di un disco fatto per restare, uno di quelli che non vuole le certificazioni ma la memoria del pubblico e soprattutto della fanbase affezionata. Un vero e proprio cortometraggio di strada, composto appieno con lo stile di Jack The Smoker ed i beats di Big Joe. Vediamo qualche estratto dell’intervista, che ha come centro il film, Sedicinoni.
Sedicinoni: cosa significa?
“Chiaramente riprende il formato cinematografico e il taglio del disco era talmente vivido nelle descrizioni, talmente filmico nel modo in cui descrivo le cose, nel modo in cui sviscera la trama. Insomma, il titolo Sedicinoni per me è venuto naturale ascoltando il disco. In realtà non è stato un ragionamento che ho fatto precedentemente alla scrittura dell’album, ma è una roba che è derivata da un ascolto. Sai, non sempre ti viene il titolo prima, anzi a me non viene mai il titolo prima, non credo mi sia mai successo nella mia carriera di avere fatto un disco col titolo già pronto prima”.
Ci viene detto chiaro e tondo: questo disco è un film, una serie di scene di realtà, di società e di quartiere. Praticamente la telecamera dell’artista gira a tutto tondo, inquadra i volti dei bambini e dei loro genitori, palazzi cadenti e tasche fin troppo piene. Non ci sono poche parole per descrivere un progetto così complesso, a livello sia stilistico, sia concettuale.
“In generale io faccio pochi programmi, non sono uno di quelli con la lavagnetta motivazionale. Lascio un po’ che gli eventi della mia vita guidino il percorso della scrittura, l’umore del momento, l’ispirazione, il taglio del suono che cerco. Sapevo soltanto, prima di fare questo disco, che avrei voluto fare un album molto rap, perché penso di essere bravo a fare quella roba lì, piuttosto che a infilarmi nel calderone. Poi secondo me è una scelta in controtendenza anche rispetto al mercato attuale e mi piaceva l’idea di fare una roba in cui so fare bene il mio e che mi viene più naturale”.
A partire dal titolo, Sedicinoni ha un taglio differente rispetto a ciò che siamo abituati ad ascoltare di solito. Probabilmente su questo incide il modo che ha Jack the Smoker di lavorare, la maniera in cui questo disco è stato prodotto. Prima la musica, poi tutto il resto, si può considerare una formula vincente… e non parliamo di numeri.
Lezioni di stile
“La scelta poi di lavorare con Big Joe è venuta fuori naturale, perché lui sa interpretare parecchio questo tipo di sound, quindi tutta una serie di cose venute fuori molto, molto spontaneamente”.
Il produttore del disco, ormai, è essenziale quanto l’artista. Se le barre di Jack sono il coltello, le produzioni di Big Joe sono la tela. Sedicinoni è come un’opera d’arte di Fontana, una serie di squarci in una realtà altalenante, vivace, in continuo dinamismo. Se la realtà sembra quasi rifarsi a quella centralità che il futurismo di Marinetti dava al movimento, la scelta che ricade su questo disco è quella di produrre delle istantanee, un film di piccole scene, di immagini ferme che si succedono.
“Passione per il rap fatto bene, insomma quello quello che ci accompagna da quando abbiamo iniziato questo percorso. Noi siamo degli amanti del rap, non tanto amanti della roba vecchia, mi piace essere attuale. Vedo che questo disco è stato interpretato da alcuni come old school, ma secondo me non non è questa la chiave. Poi sia io che lui che abbiamo dimostrato di avere la capacità di avere diversi registri, diverse possibilità stilistiche. La scelta magari di avere un filone rap meno extrabeat è proprio una roba mia, in questo momento proprio mi scoccia quel tipo di roba lì, “il trenino”. Mi piace il rap dritto che però sia comunque stilisticamente vario, cioè ci sono tanti flow, tante tante intonazioni, non è lo stesso pezzo all’infinito”.
Ispirazione e featuring
“In realtà non ascolto molto rap italiano, lo so che lo dicono tutti, ma non mi faccio ispirare dal rap italiano, anche se ultimamente magari lo sto ascoltando per avere un po’ la bussola dello status quo del panorama attuale. Però non mi è mai capitato nella mia carriera di farmi ispirare dalla roba italiana. Magari c’è qualche rimando a Bassi Maestro, perché ovviamente era il mio mito italiano. Io ho sempre guardato molto la roba americana, però anche lì, se vedi, non è che c’è un americano che mi assomigli, perché io ci metto anche del mio, a livello di come sono fatto”.
Ogni opera è figlio di una catena, la cui partenza è la sacra musa, l’ispirazione. Allo stesso modo, nella musica moderna spesso ci si ispira tra artisti, si scambiano opinioni e idee. La particolarità di Sedicinoni è quella di non avere una controparte, un rivale, qualcosa che assomigli. Parliamo dunque di un prodotto unico e di qualità, che ha rimandi al rap americano ma molto labili e minimali, non c’è uno schema preciso. Identità è la parola che più si associa a questo artista.
“Io sono molto un apolide, nel senso che ho cambiato due o tre abitazioni, quindi ho vissuto in posti diversi, ho frequentato le scuole, anche superiori, università. Non ho mai abbracciato il mondo della periferia come stile di vita, ma l’ho vissuta sempre. Forse questa eterogeneità di situazioni in cui mi sono trovato ha portato comunque a essere stilisticamente molto particolare. E magari questa roba può essere un problema perché la gente non ti riesce a inscatolare ma credo che questo disco in realtà sia facile da posizionare, come un qualcosa che riporta un genere di hip hop in auge, ma in maniera fresca”.
Il viaggio, il cambiamento, la vita che trascina l’esperienza: questi sono punti focali di Sedicinoni. Tutto quello che si trova nel disco ha le pieghe e le piaghe dell’esperienza, del fatto tangibile. Proprio l’unicità può essere un difetto per un mercato dove, ciò che è troppo diverso, sembra meno valido. Eppure, ne siamo certi, non è questo il caso.
“C’è tanto la descrizione della provincia perché vivo molto di più la provincia in questo periodo, perché devo vivere quelle dinamiche quotidiane avendo banalmente dei figli che vanno all’asilo, quindi vivo di più le relazioni anche con le persone del quartiere. C’è più identità della provincia, qua c’è meno ricerca della Milano. In generale nei featuring cerco di non andare nei soliti nomi inflazionati. Certo, voglio gente brava e quindi quelli bravi in Italia non sono duecento. Ecco quindi Salmo, Massimo Pericolo, Gemitaiz, c’è gente che ho sempre riconosciuto stilisticamente forte. C’è poco calcolo in quello che faccio io, penso che sia un po ‘un prendere o lasciare la mia roba e con i pro e i contro che porta questa formula porta”.
Mentre impazza la polemica della mercificazione del featuring, che ormai vede partecipare sempre gli stessi artisti, anche qui Jack The Smoker si differenzia. Il suo modo di vedere le collaborazioni è molto diverso da ciò che vediamo ultimamente. Ogni artista viene chiamato perchè può incidere sulla canzone e renderla unica e speciale, secondo le sue caratteristiche. Questo è un altro punto di forza per Sedicinoni.
“Shari in realtà è venuta fuori perché c’è una forte componente materna in questo disco, insomma. La ringrazio perché non era facile identificarsi in un ruolo del genere, anche a livello di storytelling. Si impersonifica mia madre in quella parte lì e quindi era un po ‘un cerchio che si chiudeva, un abbraccio finale. Io scelgo i featuring in base a quello che mi chiama il pezzo. Non è che penso di mettere Massimo Pericolo per i numeri, cioè non è così. Ho fatto quel pezzo, ho pensato ca**o, qua si parla di di bambini che crescono in fretta, di poche scelte per le persone che vivono dei destini che sembrano già scritti. Insomma, poco libero arbitrio per quello che ti porta la vita. Massimo Pericolo racconta benissimo questa roba, però io glielo faccio fare su un sound un po’ diverso rispetto al suo solito, ma non troppo, perché comunque anche il suo primo album aveva anche delle componenti un po’ rap classiche eccetera eccetera. Quindi mi sembrava naturale che stesse lì. Yes, yes, un pezzo mega delirio, mi chiamava Salmo che fa tanto quelle strofe matte. Insomma c’è poco calcolo nella scelta delle cose che faccio”.
Parlando di featuring, si è citato anche il discorso relativo alla Machete Crew, che ultimamente si vede ben poco.
“Allora guarda, per quanto riguarda il discorso Machete, è lampante che il discorso Machete Crew sia messo in pausa, tra virgolette, da tutti i componenti, perché ognuno si è concentrato sulla sua carriera solista. Non dico niente di segreto, stiamo tutti lavorando alle nostre cose soliste, però chiaramente abbiamo 10 anni di percorso comune alle spalle e mi piace lavorare con persone che hanno una certa attinenza col mio percorso. Nel disco precedente c’era Lazzino, ma anche Nitro c’era anni fa. Chiaramente la Machete adesso è diventata anche un’altra cosa a livello di impatto, è una realtà che si occupa di gestione di rapporti con le etichette eccetera eccetera. Quindi comunque io mi interfaccio con tutti quelli che un tempo chiamavamo Machete. C’è un’evoluzione del percorso anche della stessa e quindi la componente Machete non manca in questo disco ovviamente, però non scelgo i featuring perché sono Machete, ecco, scelgo in relazione a quello che che mi chiama il pezzo. In questo senso i featuring si sono adattati loro alle cose che proponevo io. Uno perché appunto, non ci sta che tu dai il pezzo bianco all’artista che devi ospitare, perché comunque non è una cosa che si fa. Infatti è usanza dare già il pezzo impostato in modo tale che l’artista sia in grado di entrare nel mondo della tua roba. E poi appunto, se devono essere coerenti tu devi fare dei featuring che non siano una roba annacquata per fare il pezzo. Ecco, a me non piace che sia la roba buttata lì, soprattutto in questo disco che ha molta ciccia, e quindi non ho non ho fatto i classici pezzi riempitivi per portare a casa i numeri.”
Che film è Sedicinoni?
Uno spaccato di realtà, anzi, una serie di scene che spezzano la quotidianità e la rendono ancor più interessante. Una sceneggiatura ben scritta e ben orchestrata, che riprende appieno tutta la solidità dell’esperienza di un artista che ha alle spalle esperienza e qualità.
“Allora, è veramente un film molto eterogeneo, nel senso che c’ha componente un po’ più balorda, mi verrebbe da dire quella iniziale un po’ più aggressiva che serve. Poi man mano la la trama si allarga, ci sono vari episodi, alcuni più strettamente rap come the show, e quelli che sono un po’ il corpo del disco. C’è veramente tanto, tanto di della mia biografia e della descrizione di quello che c’è nell’ambiente in cui vivo. Ecco quindi sono molto contento di questo disco e anche se lo so che non è fatto per sfondare, quello che mi fa piacere è che tutte le recensioni, tutti i commenti che mi arrivano siano legati a un discorso di bisogno di un disco così. Mi piace avere questo tipo di riscontro perché comunque non mi voglio infilare nel mercato dell’usa e getta, con i pro e i contro. Questa è una scelta e in direzione ostinata, ecco, ostinatamente nella stessa direzione. Per me è importante, perché il modo in cui faccio i dischi, una volta ogni 3-4 anni, è finalizzata a fare qualcosa che abbia un respiro più ampio”.
Un disco ogni quattro anni: svantaggio o occasione?
Nel mercato iperproduttivo, che spesso tralascia la qualità, Jack The Smoker inserisce un disco come Sedicinoni, a quattro anni di distanza dal precedente. Non è tanto importante il numero delle tracce, quanto il lavoro e la precisione che c’è dietro ognuna di esse. L’artista di vecchia generazione, che si distingue per qualità e quantità, è proprio Guè, il cui nome è uscito in questa chiacchierata.
“Guè è incredibile, riesce a mantenere una qualità altissima con un disco all’anno, ha sempre qualcosa da dire, è un gran professionista nonché una persona baciata comunque da un talento unico. Per me è l’artista più importante della storia del rap italiano, se andiamo a vedere poi negli anni nel ventennale della sua carriera. Fra le figure del rap, quindi tanto di cappello, io vedo anche Gemitaiz con un iper produttivo. Io come artista appunto di una certa generazione non ho quell’urgenza di dover fare un disco all’anno per restare in piedi, perché comunque ho stabilizzato un po’ la mia carriera. All’inizio, oggi, c’è quella oscillazione fra il top e il momento in cui sembra che sia finito tutto, come capita a molti ragazzi. Molti sono scomparsi, altri sono riusciti a fare il salto, però diciamo che io ho ho sedimentato una fanbase abbastanza fedele a quello che faccio. Comunque in generale se mi dovessi infilare nel mercato adesso sarebbe sicuramente diverso quello che farei, perché comunque devi sedimentare una fanbase, devi guadagnarti degli ascoltatori, devi distinguerti soprattutto che è una cosa che in pochi fanno al giorno d’oggi, perché va una roba, la fanno tutti uguale, escono settemila dischi tutti uguali, la roba rompe il ca**o e parte un’altra wave. Ecco quindi in generale cercherei sicuramente di portare una formula diversa, cercherei di far valere un po’ la cifra stilistica che mi contraddistingue, i giochi di parole, insomma, quello che nel mio cervello c’era sempre. Cercherei di uscire un po’ dal seminato ecco”.
Proprio questa attenzione permette all’artista di prendersi libertà di stile, di variare pur restando sempre vicino alla propria musica. I dischi negli ultimi due decenni hanno accompagnato una carriera interessante, che ha sempre creato prodotti interessanti, che non hanno macinato i numeri che meritavano.
Jack uccide è stato l’ultimo album che ho fatto nel del contesto del grande mercatone, l’ultimo lavoro che ho fatto col pensiero rivolto al mercato. Poi ovviamente lo senti, non c’è mezzo singolo catch, però è quello che ho fatto in un momento di grosso hype post machete mixtape con la carica addosso del sound attuale, perché in realtà mi piaceva sta roba. Lo dico senza problemi, sono stato il primo a fare il rap sulla trap. Nel senso se tu vedi prima c’erano solo le persone che facevano la trap sulla trap, sono stato uno dei primi a farci sopra il rap, infatti quel disco ha fatto un po di confusione, ha creato un po di confusione, però poi molti sono arrivati a fare quel tipo di formula lì. Onestamente ho sempre meno da rimproverarmi, in particolare da Ho Fatto Tardi in poi, era ancora un periodo di transizione fra due tipi di sound. È comunque un approccio mezzo e mezzo, sempre ovviamente più sbilanciato nel rap.
Come fa un disco a rimanere immortale? Rendendolo unico.
Secondo me questo disco tra due mesi, fra un anno, fra due anni sarà indistruttibile, indiscutibile. Ecco, cioè io sono sicuro di questa roba, perché conosco talmente bene le dinamiche di questa roba, oltre al fatto che quello che dico nel disco non è legato, sono argomenti abbastanza universali.
Un disco non muore quando si distingue da tutto ciò che c’è di alternativo nella scena. Da questo punto di vista, Sedicinoni è differente e proprio per questo il suo creatore crede che possa effettivamente diventare un cult. Un lavoro così, talmente preciso, che c’è stata una sola traccia scartata, perchè troppo cruda.
In realtà avevo un pezzo, io ho scartato un pezzo solo per questo disco. Avevo tante idee, poi magari sai un pezzo lo inizi, alcune idee vengono poi convogliate dentro un’altro pezzo. Effettivamente poi avevo un miliardo di idee, 8 barre, ritornelli, eccetera eccetera. Il pezzo che ho scartato era su beat trap, sempre di Jo e non ci piaceva. Era uno storytelling troppo, troppo crudo, troppo violento, non ci stava con quello che era il disco, anche se poi era coerente col racconto, ma non ci stava. L’atmosfera era troppo pesante.”
Dove portare un disco che guarda all’America, in uno stile che sembra old ma che cerca l’innovazione, che ha uno stile ben delineato? A New York, la terra delle infinite occasioni, la culla di Sedicinoni.
Vorrei suonare a New York per forza. A me spiace che in Italia purtroppo un certo tipo di rap non abbia attecchito appieno, quindi questa formula qua la portiamo noi che siamo bravi. Se fossi nato a New York sarebbe casa sua questa roba, starei incasellato bene, mi ci vedrei bene a New York.
Sedicinoni, che cosa sei?
Un corto cinematografico, un disco rap, una serie di scene e spaccati di vita reale: Sedicinoni ha una natura molteplice. In questo contesto musicale, Jack The Smoker ha scelto di inserirsi tenendo un livello altissimo, portando quella qualità che può avere solo un prodotto destinato a sopravvivere al tempo. Finché il rap con le punchline e le barre sarà ascoltato, proprio questo disco sarà uno dei migliori esempi possibili.
Intanto, Jack the Smoker ci ha ricordato, quattro anni dopo, qual è la cosa che sa fare meglio: il rap.