Michele Bravi: esplorando le metafore dell’esistenza umana

da | Apr 13, 2024 | Digital Cover

Dopo un lungo viaggio per l’Europa, tra Parigi, Londra, Amsterdam e Milano, è nato “tu cosa vedi quando chiudi gli occhi“, il nuovo album di Michele Bravi. Uscito ieri 12 aprile per Universal Music Italia e EMI Records Italy, il lavoro contiene 13 brani di cui Michele è autore e interprete, fatta eccezione per il […]

Dopo un lungo viaggio per l’Europa, tra Parigi, Londra, Amsterdam e Milano, è nato “tu cosa vedi quando chiudi gli occhi“, il nuovo album di Michele Bravi. Uscito ieri 12 aprile per Universal Music Italia e EMI Records Italy, il lavoro contiene 13 brani di cui Michele è autore e interprete, fatta eccezione per il brano “ti avessi conosciuto prima” che gli è stato regalato da Giuliano Sangiorgi.

Il nuovo album di Michele Bravi, “tu cosa vedi quando chiudi gli occhi“, si ispira liberamente agli scritti del neurologo Oliver Sacks, celebre per le sue indagini sulle complesse alterazioni del sé umano. Sacks, attraverso opere come “The Man who mistook his wife for a hat” e “Musicophilia”, ha esplorato le profondità dell’esperienza umana, dall’afasia all’agnosia, ponendo domande fondamentali sul significato dell’identità individuale in relazione alla percezione del mondo.

Attraverso le parole di Sacks, Bravi ha trovato una connessione tra la scienza e la poesia, riflettendo sull’importanza del racconto interiore nell’affermare la propria identità. Un esempio eloquente è il caso del Signor P, descritto da Sacks come un musicista affetto da gravi disturbi cognitivi, il cui unico legame con la realtà sembrava essere la musica, suggerendo che l’arte possa sostituire la percezione visiva nel definire la nostra esperienza del mondo.

Il dialogo tra scienza e arte continua con riferimenti alla palinopsia di Sacks e alla riflessione di Charles Bonnet sul “teatro della mente”. Michele Bravi, ispirandosi a queste idee, ha scritto un album che celebra la natura melodica e scenica della vita interiore, esplorando il legame tra memoria, immaginazione e identità personale.

Foto di Mauro Balletti

Alla scoperta di “tu cosa vedi quando chiudi gli occhi

La copertina dell’album è stata creata dall’artista Mauro Balletti, noto per il suo eclettico lavoro che spazia tra pittura e fotografia. Balletti ha già colpito il grande pubblico con le sue iconiche copertine per gli album di Mina. Inoltre, l’estetica dell’album viene arricchita dall’universo creativo di Antonio Marras, che ha curato le scenografie e ha affidato a Michele la realizzazione dei suoi capi sartoriali, aggiungendo ulteriori elementi di bellezza e profondità all’immaginario artistico dell’album.

In “tu cosa vedi quando chiudi gli occhi“, ogni canzone diventa un viaggio attraverso le metafore che definiscono la nostra esistenza, un’esplorazione sognante del mondo interiore in cui l’immaginazione diventa il ponte tra anima e corpo, tra noi e la realtà stessa.

Gli occhi con cui vediamo il reale hanno cornea, retina e cristallino.
Gli occhi con cui comprendiamo il reale, gli stessi occhi attraverso i quali restituiamo a noi stessi l’esperienza dei paesaggi,
hanno un solo nome: immaginazione.
Questi occhi li trovo infinitamente più interessanti.
Per conoscere qualcuno è brutalmente semplicistico
chiedere che ci racconti la sua storia.
E’ di gran lunga più misterioso, appassionante e intimo
chiedergli cosa ha visto quando l’ha vissuta.

L’album è diviso in tre capitoli musicali: lo sguardo, l’immagine e l’iride. Lo sguardo è cosa vorremmo vedere con gli altri e comprende i brani “viaggio nel tempo”, “mi sono innamorato di te”, “leggi dell’universo” e “per me sei importante”. L’immagine è cosa vediamo degli altri e ne fanno parte i brani “odio”, “mal d’amore”, “umorismo italiano” e “malumore francese” feat. Carla Bruni, unico featuring dell’album. L’iride rappresenta cosa cerchiamo di non far vedere agli altri e sono i brani “infanzia negli occhi”, “se ci guardassero da fuori“, “ti avessi conosciuto prima”, “sporchissima poesia” e “atlante degli amanti”,

Michele invita gli ascoltatori a considerare gli occhi della mente come strumenti più intriganti di quelli fisici, suggerendo che la vera conoscenza di una persona risieda nelle visioni che ha vissuto e nell’immaginazione che le ha plasmate.

Noi di Cromosomi abbiamo avuto l’occasione di chiacchierare con Michele Bravi subito dopo l’anteprima stampa dell’8 aprile a Casa Tobago a Milano, per l’uscita del suo nuovo album “tu cosa vedi quando chiudi gli occhi” . Ecco cosa ci ha raccontato!

Ciao Michele, ci racconti di più sul tuo nuovo album “tu cosa vedi quando chiudi gli occhi”? Qual è stato il processo creativo dietro questo concept album ispirato agli scritti di Oliver Sacks?

Per me è stata una novità il fatto di trovare ispirazione partendo da un saggio di neuroscienza, cioè la cosa più lontana da me. Intanto io non amo i saggi e poi io non capisco niente del territorio scientifico. In realtà Oliver Sacks ha un approccio estremamente romantico nella narrazione: lui racconta i suoi pazienti, i casi clinici che ha avuto, lui studia i disturbi della percezione normale del reale. Ha un approccio estremamente romantico nel farlo, poi chiaramente si sfocia in riflessioni molto più grandi, filosofiche e umane. Quella cosa mi ha sbloccato tantissimo. “Che cosa vuol dire percepire il reale in maniera diversa?”. E poi la domanda successiva è stata: “che cosa vuol dire percepire il reale?”. Quella per me è stato un grande punto di partenza da cui poi è partito il disco e da cui è partito tutto il motore della narrazione del disco. Qual è la natura melodica scenica della nostra vita interiore? Ognuno di noi quando parla con qualcuno in realtà sta sentendo una canzone in sottofondo, sta immaginando un film, sta vedendo quella cosa fuori da se stesso, ma esiste. È importante capire poi che cosa vuol dire sapere quando l’altra persona chiude gli occhi cosa sta vedendo e quindi quello è stato il punto di partenza: dalla neuroscienza in qualche modo andare a parlare di immaginazione”.

Foto di Mauro Balletti

Ci hai spiegato che l’album è diviso in tre capitoli: lo sguardo, l’immagine e l’iride. Puoi approfondire il significato di ognuno di questi capitoli e come si intrecciano nel racconto complessivo dell’album?

I tre capitoli sono: lo sguardo, l’immagine e l’iride. La prima parte è la parte più introduttiva, di estrazione molto timida e rarefatta. La seconda parte inizia a diventare ossessiva, ipnotica e l’ultima parte invece è la neutralità che fa da padrona. Qui ci sono intro molto più lunghe, l’orchestra inizia a suonare in maniera molto più articolata e complessa. Dal punto di vista tematico e lirico, invece, la prima parte è chiaramente tutta un’indagine sullo sguardo. In qualche modo è quello che noi vediamo con gli altri, che cosa cogliamo da quello che ci sta intorno. C’è lo spazio per la realtà, c’è lo spazio per immaginare se ci fosse altro davanti a noi. La seconda parte è quella più carnale, epidermica, si chiama l’immagine non a caso. È quello che noi vediamo degli altri e l’impronta che gli altri ci danno di loro. L’ultima parte invece è quello che noi nascondiamo o vorremmo nascondere agli altri, la parte su cui si riflette su quanto negli occhi di chiunque si affolli tutta l’infanzia e si affolli tutto quello che non vogliamo mostrare. È lì anche la parte più intima ed emotiva di conseguenza”.

Hai sottolineato l’importanza dell’immaginazione nella tua creatività. Puoi spiegarci come utilizzi l’immaginazione come strumento per creare musica e come cerchi di catturare le emozioni?

Per me è tanto importante seguire il potere evocativo della parola. Quando da ragazzini ci fanno studiare le figure retoriche, lo prendiamo come uno studio noioso, didascalico. Allora la metafora è così, la similitudine è così, la sinestesia così. In realtà capisci che sono formule magiche. Capire esattamente gli incastri della parola che cosa vanno a evocare per me è importante. Dal più semplice, se per esempio ti dico “elefante” tu nella tua testa lo stai vedendo, si è materializzato. Quello è un potere. Il fatto di trovare delle combinazioni di parole che evocano sempre situazioni più complesse, più articolate, situazioni inverosimili anche, quella cosa lì per me è fondamentale. La mia immaginazione passa sempre sulla tecnica della parola”.

Hai descritto l’album come un viaggio tra le metafore che spiegano la terra sulla quale camminiamo. Qual è il messaggio principale che speri di comunicare con questo album e come cerchi di trasmetterlo attraverso le canzoni?

Il messaggio è la sintesi che faccio del disco, è questa: la domanda da fare a qualcuno per conoscerlo bene non è tanto “qual è la tua storia?”, ma è: “tu che cosa hai visto quando hai vissuto la tua storia?”. È lasciare uno spiraglio aperto, un mettere l’attenzione su qual è il modo che le persone hanno di intendere su loro stesse tutte le cose reali che hanno vissuto”.

Qual è il brano dell’album che senti più rappresenti te stesso come artista e le tue visioni creative?

Sai che questa è una domanda a cui non so rispondere? Quando le scrivi hanno tutte un significato particolare. Poi in questo caso le canzoni sono una narrazione continua e quindi è come se dovessi sciogliere un capitolo di un libro piuttosto che un altro, non saprei dirti.”

Guardando al futuro, con le anteprime teatrali a maggio, cosa possiamo aspettarci nella performance dal vivo?

Stiamo lavorando perché l’impatto emotivo che il disco ha nell’ascolto sul formato reale e fisico venga riproposto dal vivo. Live c’è una regola di frequenza molto diversa e quindi stiamo lavorando affinché, poi, l’emotività del disco venga riproposta in una forma chiaramente diversa, ma che si concretizzi anche nell’incontro tra esecutore e ascoltatore.”

La Playlist di Cromosomi