È un momento di eccitazione e attesa per i fan di lunga data dei Dear Jack e non solo, che già da un anno hanno iniziato un nuovo capitolo del loro progetto insieme, sotto il nome Follya. Si tratta del gruppo musicale composto da Alessio Bernabei (voce), Francesco Pierozzi (chitarra), Alessandro Presti (basso) e Riccardo Ruiu (batteria).
Il 3 novembre hanno pubblicato il loro album di debutto dal titolo Follya per Universal Music Italy, già anticipato dai singoli morto per te, tutt’okkei, tuta spaziale, mister e toxic. Il loro primo album rappresenta non solo un nuovo inizio, ma anche l’opportunità di condividere la loro nuova visione artistica.
Sicuramente ricorderete quando i Dear Jack hanno annunciato la loro divisione dopo anni di successo musicale. Alessio Bernabei, leader della band, aveva preso la decisione di intraprendere una carriera da solista, mentre gli altri membri del gruppo hanno seguito strade musicali diverse. Questa svolta significativa nella storia della band, ha anche permesso ai membri di esplorare nuove opportunità artistiche, per poi ricongiungersi anni dopo.
La lunga attesa è finalmente giunta al termine poiché il nuovo disco non pone limiti di linguaggio o sound. È un punto d’incontro tra essenza pop e mondi onirici e distopici. Nei loro brani si trovano influenze powerpop, synthwave e alternative rock, con ispirazioni provenienti da Michael Jackson, Imagine Dragons e David Bowie.
Il disco è costituito da 13 tracce scritte, composte e prodotte dai Follya e dai ROOM9. Si apre con morto per te, che aveva segnato il ritorno della band sul panorama musicale, e racconta di un amore tossico che sembra quasi una dipendenza affettiva alla quale è difficile rinunciare. Infondo si sa, l’unica salvezza sarebbe porre fine a questa storia. Il protagonista della canzone sembra rimuginare su come la persona amata abbia cambiato e rovinato tutto, e come lui si sia sentito perso e inutile. La menzione di una loro foto al luna park sembra evocare ricordi felici e dolorosi allo stesso tempo. Significativa è l’immagine del pupazzo che dice “si” agli altri e “no” a sé stesso, suggerendo una contrapposizione tra sentimento autentico e conformismo.
Si sente che i testi sono autentici e ti trasportano facendoti immaginare esattamente quello che la canzone vuole trasmettere attraverso il racconto. Il sound spazia dal punk di rip agli anni ’80 di iota. La musica è una forma potente di espressione e solo attraverso l’ascolto attento si riesce a percepire il cambiamento della band. Il tema della relazione di coppia è ricorrente e viene ripreso nelle canzoni ami/odi, toxic, palloncino, rip e houdini. Di un amore diverso si parla in tuta spaziale che racconta la voglia di proteggere e supportare l’altra persona. Il disco si conclude con iota che evoca una sorta di senso di ribellione nel voler fare ciò che si desidera. Il progetto sarà presentato live in 2 importanti concerti: l’8 novembre al LARGO Venue di Roma e il 9 novembre all’Apollo di Milano.
In occasione dell’uscita del loro album, noi di Cromosomi abbiamo scambiato quattro piacevoli chiacchiere con i Follya. Ecco cosa ci hanno raccontato!
Perché avete scelto il nome Follya?
Alessio: Il nome Follya è nato in francese perché all’inizio doveva essere “Folie”, per noi amanti del teatro francese e del drama, prendendo spunto dal disco dei Fall Out Boy. Folie però non era diretto e tutti ci chiedevano la pronuncia. L’abbiamo così tradotto in italiano e abbiamo messo la y al posto della i. Ci sembrava figo!
Riccardo: A livello di contenuto, Follya potrebbe essere il riassunto dei nostri 10 anni. Siamo andati da un lato all’altro del “mondo dello show business” perché abbiamo toccato con mano tutte le possibili location e situazioni. Se vogliamo vederla anche dal lato di un contenuto e momento storico-narrativo, è davvero il riassunto dei nostri ultimi 10 anni.
Cos’è cambiato rispetto a quando vi siete uniti per la prima volta?
Alessio: Siamo cambiati noi in primis perché a 20 anni non sei la persona che sei a 30 o 35. Non c’è bisogno d’essere artisti per cambiare. L’essere umano dai 20 ai 30 anni compie la metamorfosi più grande della propria vita e diventa quello che sarà nel futuro. Adesso siamo diventati gli uomini che a 20 anni non potevamo essere. Siamo cresciuti, siamo cambiati, abbiamo preso un sacco di schiaffi e la musica è cambiata con il modo di scrivere. A 30 anni hai un bagaglio in più e i gusti musicali cambiano. Ascoltavo delle cose che ancora ascolto o magari siamo andati in altre direzioni e nell’album si sente questo cambiamento e fa vedere quello che vorremmo essere nel prossimo futuro da qui in poi.
Ci volete raccontare un po’ come vi siete ritrovati? Com’è nato questo percorso che vi ha portati a riunirvi?
Alessio: Completamente a caso. Eravamo arrivati ad un punto morto del nostro lavoro e io avevo fatto uscire delle cose da solo ma non avevo né management né discografica, ero veramente senza nessuno e mi chiedevo: “ora cosa succederà?”. Non lo abbiamo fatto a posta, un allineamento di pianeti ci ha portati a farci cercare a vicenda.
Alessandro: Riccardo ha mandato un messaggio e ha creato un gruppo dal nulla con l’idea di una reunion dei Dear Jack.
Riccardo: Io e Alessio ci siamo sentiti più volte durante gli anni, qualche volta per litigare e qualche volta per chiedere come stavamo. Questo sentirsi ha modificato il tipo di approccio tra noi, il come rapportarsi. Il che si collega anche alla domanda precedente, che cosa cambia rispetto al passato. Tra noi è come se non ci fossimo mai conosciuti così bene come adesso, ed essendo diventati adulti, si parla di cose di cui prima non si parlava o semplicemente eravamo così impegnati nel periodo Dear Jack, che quando avevamo 2 minuti per stare da soli, non ci interessava sapere l’altro come stesse o si andava semplicemente a dormire. Questa cosa, con il progetto Follya, non esiste in quanto siamo 4 uomini che vogliono avere a che fare con loro stessi e con la musica. Questa passione e il tipo di rapporto è tutto incluso nel pacchetto. Un giorno, quindi, ho fatto questo gruppo e ho detto:” ragazzi qua bisogna tornare a suonare e c’è bisogno di condividere il palco insieme”. Inizialmente l’idea di Dear Jack reunion era carina, poi non ha preso piede perché sapeva di qualcosa di riscaldato. Nel frattempo Alessio aveva cambiato modo di scrivere, noi stavamo sperimentando qualcosa di diverso nel suonare e ci siamo ritrovati con un progetto differente che risulta credibile.
In che modo avete evoluto il vostro stile musicale? Che mi dicevate essere cambiato.
Alessio: Incontrandomi con Alessandro che è il mio compaesano del nord, ci siamo rivisti in studio e ci siamo ritrovati molto simili rispetto a quello che sapevamo di noi 10 anni fa. È stato bello scoprire un amico con cui essere simile anche dal punto di vista musicale. Riccardo è come se stesse con noi perché telematicamente chiedevamo pareri e lui ci mandava giri di batteria che montavamo sul progetto. Sono nate delle cose incredibili che ci piacevano. Le cose sono diventate serie quando vedevamo che chiudevamo dei brani forti e facendoli ascoltare a conoscenti e amici, tutti erano sorpresi del fatto che fosse qualcosa di nuovo e di mai fatto. Allora abbiamo detto “rimettiamo in giro questa giostra” e vediamo cosa succede.
Come punti di riferimento per i brani avete scelto le ambientazioni del cinema anni ‘80 e anni ’90. Che rapporto avete con il cinema?
Alessio: Abbiamo scelto quei due decenni poiché ci hanno formato da quando eravamo bambini, se pensi che anche il nome Dear Jack viene da Jack Skeletron il protagonista del film d’animazione Nightmare Before Christmas di Tim Burton. Quindi abbiamo messo un sacco di influenze di colonne sonore. Anche a me piace molto il genere di musica da film, quindi Danny Elfman, John Williams e abbiamo voluto mescolarlo con i contenuti musicali. All’inizio pensavo fosse un po’ cringe, però in realtà dicendo cose sincere non è un mix brutto. Abbiamo voluto lanciare questa cosa un po’ cinematografica anche rapportata ai live e rende tutto molto “più film”. Noi abbiamo fatto quello che ci piaceva anche dal punto di vista di font, foto e altre scelte.
Siete “ripartiti” con il brano Morto per te. Qual è stata l’ispirazione dietro il testo e il suo significato personale per voi?
Alessandro: Racconto un aneddoto. È stato il primo pezzo che abbiamo provinato in studio io e Alessio. Eravamo liberi da schemi e regole e abbiamo fatto quello che ci veniva in quel momento. Noi siamo abituati a scrivere la base, un’idea di top line e poi buttiamo un testo sopra che può essere anche solo una bozza, un fake, con parole che ti vengono ma in metrica giusta. Allora ho detto: “Dai Ale vai, butta giù un testo volante giusto per avere un provino”. Non so che ragionamento ha fatto ma ha buttato giù direttamente il testo che tu senti nella canzone.
Alessio: È nato a caso, mi è venuto di getto e in realtà era coerente con quello che volevamo dire quindi una sorta di momento in cui ero posseduto da qualche demone. Ma perché cambiare una cosa che rileggendo ha un senso e ha un senso per noi adesso? Ho una sorta di lapsus, poi: quando scrivo un testo e lo rileggo non so perché l’ho scritto. È come se dimenticassi la fase creativa di quando l’ho creato. Frutto di una sensazione forse, sicuramente ci ha ispirati il senso di morire per rinascere. La morte porta a una rinascita come tutti i cicli. È stata metaforizzata con il tema dell’amore tossico anche questa nostra rinascita perché è stato scritto in un momento in cui stavamo rinascendo. Eravamo morti e ci siamo ritrovati, è stato un amore tossico anche tra di noi. Per scrivere i pezzi tristi, invece, devo stare da solo. Tipo Palloncino parla di una storia che ho vissuto e ho tirato fuori ragionando quelle cose. Però le cose che senti di più vengono sempre velocemente, un testo che senti viene fuori in pochi minuti.
Visto che parliamo di solitudine, in Anche basta parlate di isolamento. A volte vi sentite soli?
Alessio: La maggior parte del tempo ci sentiamo soli e poi Milano chi fa sentire in compagnia? Io dico sempre che l’età adulta prevede la solitudine e non esiste un adulto che non si sia mai sentito solo. Ho provato a mettere questa situazione in testo perché so anche la storia dei miei compagni, quello che viviamo attualmente noi e quindi ho parlato per tutti. Ho raccontato la solitudine, c’è un riferimento a delle pillole che prendi prima di dormire. Chi è che non prende delle gocce tranquillanti? Dalla Valeriana fino allo Xanax. Parlando di solitudine, torna il discorso di un rapporto tossico con una persona che non è detto che non ti faccia sentire solo anche quando è presente. Non tutte le persone ti fanno sentire in compagnia. Puoi stare con tante persone in ore particolari della giornata, ma puoi sentirti molto più solo di quando stai effettivamente solo. È nato quel pezzo che è uno dei miei pezzi preferiti del disco.
Mi ha colpita la frase: “Il grave errore è che do tanto alle persone/ Anche se poi in fondo no non le conosco bene mai più”
Alessio: Mio handicap dalla nascita, dare tanto alle persone. Io mi innamoro delle persone non capendo magari che quella persona è estremamente nociva. Non solo dal punto di vista di sesso femminile, anche le amicizie. Loro lo sanno bene. Ho avuto momenti della vita in cui ho avuto rapporti con persone, mi sono lasciato trasportare e mi hanno devastato. Non è detto che il loro intento sia dare amore, è anche sfruttare, sfruttarti, mandarti al manicomio. La frase parla anche di quello. Io mi innamoro delle persone quando non le conosco bene e questo mi ha portato a prendere tanti schiaffi.
Possiamo dire che Tutt’okkei è un invito ad affrontare le sfide e le difficoltà della vita. Voi come le affrontate?
Riccardo: Ormai ci stanno così tanti pensieri nella vita di oggi che vivere alla giornata diventa complicato, ma è un buon antidoto per allentare la pressione. Se uno dovesse soffermarsi sui pagamenti che c’ha da fare, gli appuntamenti da rispettare, ecc. veramente non ne uscirebbe vivo. Alleggerirsi un attimo può essere sicuramente un buon antidoto. Il nostro modo per affrontare tutto è stato rimettere su la band e cercare di fare il meglio possibile ogni giorno per far crescere il progetto e far sì che diventi il punto focale.
Alessandro: Sicuramente avere un obiettivo ti dà l’energia per affrontare qualsiasi cosa.
Alessio: Poi “tutto okkei” è un’affermazione falsa. Tutti diciamo “tutto bene” ma è una presa per il culo. È una frase per eccellenza falsa, che si usa nel 21esimo secolo quando in realtà c’è molto di più.
Quali obiettivi avete per la vostra carriera musicale?
Alessio: I primi obiettivi sono l’album e avere una raccolta sincera di quello che siamo. L’ obiettivo più grande è essere fermati dalle persone non tanto per una foto, ma per sentirsi dire che quello che c’è nelle canzoni è qualcosa che provano anche loro. Ci sono delle persone che con le lacrime ti dicono quella canzone parla di me. Quella è la soddisfazione più grande. Poi, far crescere la nostra musica a più persone possibili per essere condivisa al meglio.
L’8 e il 9 novembre ci saranno i primi live ufficiali della band. Come vi state preparando? E potete darci un piccolo spoiler di quello che porterete sul palco?
Riccardo: Abbiamo iniziato le prove con 4-5 giorni di full immersion. La particolarità di questi live è che saranno il nostro battesimo come Follya. Non possiamo cancellare quello che siamo stati, infatti va onorato anche il passato e faremo un intervento per ricordare quello che eravamo. Poi celebreremo il nuovo disco sperimentando live il miscuglio di elettronica e aggiungendoci le chitarre dal vivo, i piatti della batteria. Non suoniamo insieme sullo stesso palco da 8 anni.
Quali sono i vostri progetti futuri?
Alessio: Il futuro è l’album e dopo i due live vorremmo fare un tour in giro per l’Italia e non fermarci, continuando ad essere presenti anche a livello discografico. E poi ci si evolve, quindi chissà che cosa uscirà prossimamente.