Questo articolo inizierà e finirà con la stessa affermazione: in ogni caso, il Corona Sunsets Festival è una figata pazzesca. Per vedere un po’ più da vicino le meraviglie e le imperfezioni di questo evento vi raccontiamo la nostra giornata tra i campi toscani. Già, perché il primo doveroso punto da toccare è proprio la scelta della location, qualcosa di unico nel suo genere.
Il Teatro del Silenzio: una location d’eccezione per il Corona Sunsets Festival
Il Teatro del Silenzio è un diamante incastonato in mezzo ai colori infiniti della toscana più autentica. Il teatro è stato realizzato su volontà di Andrea Bocelli, figlio di Lajatico (PI), che ha voluto donare al suo paese un posto meraviglioso, dove potersi godere uno spettacolo circondati da una cornice di natura che riempie gli occhi.
La scelta della location non è casuale: i padri dell’idea (Corona e AB InBev) sottolineano il forte legame tra il Corona Sunsets Festival e un sano momento di disconnessione, una giornata lontana dai continui, frenetici impulsi quotidiani e dedicata alla contemplazione del divertimento e del relax.
Un momento del genere si può godere ancora meglio con una birretta in mano, per rilassare un po’ i nervi e abbracciare il momento più magnetico, quello che gli organizzatori definiscono l’eroe della giornata: il tramonto, vero protagonista della serie di eventi Corona.
Non è il tramonto, però, l’unico eroe della giornata
I primi eroici artisti ad esibirsi sotto il sole pomeridiano del 22 luglio sono Kety Fusco e Bobo Rondelli. Due figli della toscana, nati sulle facce opposte della stessa medaglia, divisi da un campanilismo ferocemente goliardico: Kety a Pisa, Bobo a Livorno.
Kety Fusco apre il concerto alle 16:00, con temperature davvero proibitive anche solo per fare un tuffo in mare, figuriamoci per esibirsi su un palco sotto al sole.
L’allestimento è davvero bellissimo, l’enorme mandala che sovrasta il palco è un’opera d’arte, ma lasciare che gli artisti si esibiscano senza un briciolo di ombra non può certo far bene alle performance.
Kety Fusco ci regala la colonna sonora perfetta per iniziare la lunghissima giornata di musica: il suo stile è unico quanto il suo strumento, l’arpa elettrica, e l’atmosfera assume subito un sapore epico.
Bobo Rondelli ci mette pochissimo a ricordarci dove siamo: il suo stile tagliente e ironico sputa in faccia al politically correct e ci riconnette all’irriverenza tipica dei toscani. Tra un’arringa contro la guerra e un paio di battute su Berlusconi conquista sorrisi, si diverte e fa divertire, alternando pezzi di pura goliardia ad altri molto più profondi di quanto possano apparire. Con la sua aura da menestrello, se la ride col pubblico e saluta da toscano verace con un complimenti a voi, io tanto caldo così ‘un l’avrei mai preso.
Ed eccoci agli altri eroi: il pubblico
C’è da dirlo, la location è un posto clamoroso, ma raggiungerlo è davvero un’impresa. Senza un mezzo proprio è letteralmente impossibile arrivare e nemmeno senza il coraggio di guidare su strade di campagna, talvolta sterrate, talvolta proibitive, quasi sempre non ben conciliabili con gli stomaci deboli.
In certi momenti la coda all’unico ingresso sembrava finire in un’altra provincia, come anche all’interno per poter bere o mangiare qualcosa. Molto bella anche la possibilità di farsi truccare a tema o di farsi intrecciare i capelli agli stand dedicati dentro l’area del festival, ma anche qui l’esperienza rischiava di trasformarsi in un girone infernale: più di due ore di coda per le trecce non sembrano un compromesso accettabile.
Non permettere di far entrare le bottiglie d’acqua (no, nemmeno togliendo il tappo), per costringere poi i presenti a code lunghissime per poter acquistare una lattina da 33 centilitri venduta a due euro è onestamente molto fastidioso e non troppo corretto. Soprattutto a luglio, in un festival che inizia alle 16:00.
Nonostante le difficoltà intrinseche portate in dote dal Teatro del Silenzio, sicuramente qualcosina a livello organizzativo si può migliorare per un evento che merita comunque un miliardo di complimenti.
Il pubblico ha risposto molto bene mandando sold-out i circa 8000 biglietti in vendita, merito anche di un prezzo davvero contenuto (23 euro), considerando la line-up molto nutrita e di grande spessore.
Alle 17:40 è il turno di Francesca Michielin che, seppur provata dal caldo come fa notare più volte, riesce come sempre a mettere sul palco un’esibizione contemporaneamente energica e dolce, feroce ma fragile, in pieno stile cane sciolto per un’artista sempre più difficile da incasellare in schemi preconfezionati.
Meno di un’ora più tardi è Venerus a prendersi il palco, lasciando molto spazio ai brani del suo ultimo album, Il segreto, uscito poco più di un mese fa. La delicatezza delle sue parole unita ad una presenza scenica strepitosa fa colpo su tutti: dai fan più accaniti a chi ascolta per la prima volta le carezze di Venerus.
Il tramonto celebrato al Corona Sunsets Festival
Il sole se ne va mentre sul palco suonano i Planet Funk, una di quelle band che in un modo o nell’altro fa parte dell’inconscio collettivo di tutti. Con un’anima nata a un centinaio di chilometri di distanza dal Teatro del Silenzio (a Sarzana, al confine tra Toscana e Liguria) ma da sempre avvolta da un’aura internazionale, i Planet Funk hanno un’identità difficile da disegnare: nascono con la musica dance ma distruggono in fretta le barriere degli stili musicali, la voce che li rappresenta cambia più spesso di quanto ci si aspetti e riescono a lasciare il segno in più generazioni di quelle su cui sareste pronti a scommettere. Insomma, arrivano e spaccano.
Dopo una breve incursione di Ylenia di Radio 105 e uno spettacolo celebrativo dedicato al tramonto, si riparte con le esibizioni.
Arrivano gli Zen Circus e chi sta scrivendo questo pezzo è obbligato a chiedere anticipatamente scusa: sono oscenamente di parte, trattandosi di una delle band che amo di più.
Mantenendo comunque la bussola dell’imparzialità, è difficile non ammirare una band così coinvolgente, capace di far pogare e piangere contemporaneamente. Tra tutti forse sono proprio loro che si sentono più a casa: le loro maglie si vedono numerose nel pubblico e, pur rinunciando a cantare la famosissima Pisa merda (loro città di origine), non rinunciano a farsi due risate col pubblico a riguardo. Non sono soltanto i pezzi storici a toccare il cuore dei presenti: Non ha una potenza emotiva impressionante e anche Canta che ti passa viene accolta con entusiasmo. Aggiungete pure un duello combattuto a colpi di squalo gonfiabile, sopra due canotti che galleggiano in testa al pubblico (come i Rammstein ma con molto meno budget, cit.) e la festa è completa.
La serata arriva al suo culmine quando sul palco si presenta una delle band più epiche degli ultimi 25 anni, che ha rivoluzionato il rock italiano a colpi di elettronica: i Subsonica. Arrivano con un’estetica da esseri mitologici per la loro unica data italiana del 2023: vestiti totalmente di bianco come angeli scesi in terra, con una tastiera che ondeggia avanti e indietro su una molla.
Partono a fuoco con Discolabirinto e non calano un minuto di intensità, catalizzando tutta l’energia del pubblico con i loro pezzi più famosi. Samuel non fa mancare anche momenti più intimi e profondi, qualche frase dedicata alla città di origine della band (Torino) e un emozionante contatto diretto con i più fortunati delle prime file. Che altro dire? Perfetti, semplicemente magnifici e senza età. Il finale con Tutti i miei sbagli è pura magia.
Sembra tutto finito, invece non è così
Ma come fai a mantenere caldo il pubblico dopo un’esibizione così strepitosa? Semplice, inviti un ragazzino con la faccia pulita, con un’estetica divisa equamente tra un tennista di Wimbledon e uno studente di Oxford e lo piazzi davanti a una console. Se quel ragazzo è un dj di fama mondiale, si chiama Lost Frequencies e riesce a far ballare sia chi in discoteca ci va una volta ogni tre anni che i clubber più duri e puri, il successo è assicurato. Impossibile stare fermi davanti al dj belga che fa ballare senza sosta i presenti per l’ultima ora di festival, proponendo remix coraggiosi ma ben riusciti dei suoi pezzi più famosi. Sulle note di Are you with me si conclude il festival, un festival ambizioso, coraggioso e sicuramente riuscito.
Si può fare qualcosa di meglio sull’organizzazione? Certo.
Dovremmo comunque ringraziare Corona per averci fatto vivere questo evento? Senza il minimo dubbio, sì: in ogni caso, il Corona Sunsets Festival è una figata pazzesca.