Nei sogni nessuno è monogamo è il decimo album della nuova rivelazione della 72esima edizione del Festival di Sanremo: Dargen D’Amico, così poliedrico e diverso nel suono e metrica, continua a mantenere un livello sempre altissimo, checché se ne dica sulle sue nuove sonorità pop.
Eppure perché completo non si è mai negato nulla, nemmeno la presunzione maglia numero 10.
Quella di fantasia applicata alla pedata maglia, di imprevedibilità, di pause e lampi, di luci accese accenna a rischiarare il buio intorno, di ritmo e pennellate d’autore. Con gli occhi lucidi di chi il calcio non lo capisce, potrei raccontarvi le gesta di uomini dotati di tecnica sopraffina e fantasia, gli eroi dei miei genitori e dei miei nonni. Ma la verità è che ci vuole fegato essere un fantasista.
Il fatto che, nella numerazione di base del calcio, il 10 designi il centrocampista avanzato, quello dotato di maggior talento, in grado di imbeccare con classe i compagni, è cosa nota a tutti. Ma Dargen D’Amico è il nostro centrocampista moderno, e lo capiremo col tempo, colui che a forza di rimbalzi, cambi e infortuni, riesce oggi a cantare quello che vuole, senza incanalarsi in preconcetti troppo strutturati.
Rapper, cantautore e produttore, Dargen D’Amico è un artista di tutto rispetto, con un curriculum vasto e in grado di passare fin da subito le preselettive. È stato definito in più occasioni tra i rappresentanti più eclettici e poetici della scena cantautorale italiana contemporanea, tanto da definirlo “cantautorapper” abituando il suo pubblico a tante (diversissime) versioni di sé.
Se Nei sogni nessuno è monogamo è pop, lo deciderà la gente. Per ora prendiamoci questo goal al novantesimo ed esultiamo sotto la curva.
In Nei sogni nessuno è monogamo c’è chiaramente la solita creativa penna di fuoco Dargen, quella fuori dagli schemi e che si muove tra giochi di parole e figure retoriche, in grado di mettere a vere e proprie immagini. In ogni testo sembra esserci briciole di attualità, che si confondo nel grande impasto della ragazza, a volte finta a volte vera, ma è sempre se stesso, il ragazzo.
L’album numero 10 si apre con Patatine, ed è forse già la scelta dei titoli un azzardo che oggi, nel panorama indie italiano, si può in molti. Un brano manifesto della malinconia, di quando ci si azzarda a ricordare cose che starebbero meglio lì dove non le ricordiamo più. Fumare una paglia potrebbe essere il modo giusto per distaccarsi dai pensieri e raggiungere la consapevolezza di dover mettere l’altro in salvo prima che tutto si bruci. Anche le patatine sono finite, e forse è meglio così.
Degli amori tossici, come una dipendenza, non riesci a farne a meno. Ne hai bisogno per alzarti la mattina, per lavorare, per esistere. Una relazione tra persone che non si sostiene a vicenda, dove c’è conflitto e uno cerca di minare l’altro, dove c’è competizione, dove c’è mancanza di rispetto e di legame, è una sconfitta in partenza. Sei cannibale ma non sei cattiva racconta di un rapporto costantemente prosciugante, emotivamente e fisicamente dannoso:
Fammi stare ancora un attimo
Non lo meritiamo un attico?
Dopo che finisci me trovi un’altra balia
Con la faccia stanca come questa Italia
Perché sei cannibale, ma non sei cattiva
E mi brucio su di te, ma che meraviglia
In Gaza c’è tutta la crisi dell’uomo moderno, i conflitti mondiali e le contraddizioni della società contemporanea. Stiamo tornando cattivi ed egoisti, nessuna esperienza, nessun vaccino è bastato. Nessuna sofferenza comune sembra essere stata sufficiente. Lo vediamo e lo ascoltiamo. Pensavamo di esser cambiati e di aver trovato un nuovo equilibrio, una sistemazione più adeguata alla propria coscienza. Apaticamente, invece, la cattiveria torna a riguadagnare terreno. rendere il dolore altrui intrattenimento piuttosto che preferire con noi stessi. Gaza smaschera la realtà in cui la gente oggi si ammazza, pur di non annoiarsi:
Dio mi dice democraticamente:
“Non tutti i fiori sotto questo cielo sono zafferano”
Eppure sono stati presi tutti allo stesso vivaio
Io sono solo una variabile, corredo umano
E magari questo è solo un treno di brutti pensieri
Ma oggi io mi vedo che viaggio ammassato
Assieme a questo popolo inguaribile nostalgico
Perché vuole ricomprarsi il passato…
Dove si balla e Katì hanno tutte le caratteristiche di tormentoni estivi anticipati. La prima è quella portata in gara al Festival di Sanremo, una “tamarrata” per alcuni, e una canzone che parla “della necessità di movimento dell’essere umano, in tutti i sensi“, per altri.
Con leggerezza e ironia, Dargen tocca diversi temi a lui cari, dalle migrazioni ai rapporti umani. Soprattutto si chiede: che senso ha la vita senza la gioia della musica e della danza?
Katì invece, nonostante la sua apparente superficialità, sembra comunque intrisa di poetica, anche con 40 gradi sotto un ombrellone e il cocktail più economico dell’intero lido.
Capita a tutti di risentire vecchi compagni scordati da tempo e ripiombati in qualche precisa occasione, Ma noi nasce nel periodo della kermesse sanremese, quando il 4 di dicembre il telegiornale ha annunciato che Dargen ha partecipato al Festival. Dopo i tanti messaggi ricevuti dai suoi ex compagni di scuola, Ma noi nasce proprio per raccontare di quelle persone che magari non scriverebbero mai se non per pura goliardica malinconia. La trama è frutto dell’immaginazione e oltre a essere un esercizio di fantasia, è anche un esercizio di stile. Dargen si diverte molto a giocare con le parole: aveva già fatto un brano intitolato Ama noi, ha tolto una vocale ed è rimasto Ma noi.
Annoiarsi alle feste e alle cene, alla Calcutta, “essere allergico ai clichè”. Ricontrare vecchie anime e agitare tutto bene prima dell’uso, che effetto fa? Certe cose non capitan neanche dopo tempo, restano nell’immobilità di quella bellezza innocente, che dopo tempo non è più così bella.
Ustica è una delle più grandi verità nascoste dell’Italia. Per Dargen, “l’indice di un modus operandi di questo Paese che non è mai cambiato”. Un malessere che incute terrore, e comunque rimane per sempre quando decidi di aprire la tua coscienza. Partire e lasciare le cose irrisolte alle spalle, chiudere la valigia solo di cose importanti, è questo il senso. Ma a volte non si è pronti, si ha solo la forza di rifugiarsi nella musica perché non si riesce a definire cose, a mettere dei punti. E poi i nodi vengono al pettine e le cose diventano chiare, e capisci chi vale.
Sangue amaro è il mantra della vita. Inquietarsi, irritarsi, in particolare provare invidia o rancore, quasi sempre senza poter osare sfogo ai propri sentimenti, non è la cosa più salutare per un minimo di salute mentale. È giusto così circondarsi di persone che riescano a placare la sete, alimentando un certo tipo di benessere. Anche questo brano risulta essere molto molto pop, ottimo per la spensieratezza di quelle brezze leggere di salsedine.
Saltiamo La Bambola che ha in sé già tutto quello che è possibile dire, sia per quanto riguarda la scelta di un brano così significativo sia per l’interpretazione che – attenzione! – può incappare nella più spietata trappola di “uomini etero, cis, bianchi, italiani che parlano di donne, non possono parlare di donne”.
E La benzina sapeva di tappo, sound aggressivo e molto più punk rispetto al resto dell’album e forse questo è l’unico abito che non calza proprio a pennello, ma bravo Dargen, chapeau!
Nei sogni nessuno è monogamo è la traccia che presta il nome all’intero album ed è un po’ una sfida o forse un invito: smettere di ricordare i sogni la mattina, smetterne di parlarne appena svegli, di ricamarci su e fantasticare.
Quanto è utile cercare di dargli una definizione? I sogni sono solo sogni, e sognare “tutti che si baciano quando finisce il Covid”, forse questo è l’unico in cui vale ancora la pena credere.










