C’è un’estate che non ha il mare. Che non ha cocktail, feste o tramonti rosa. C’è un’estate che si consuma su una panchina, sotto il sole a picco, mentre tutto intorno sembra andare avanti ma tu resti fermo, con addosso solo i tuoi sbagli, i tuoi amici e quella rabbia che non sai mai bene dove mettere. È da qui che parte Fammi un sorriso, il nuovo brano di 22simba. Non una hit da classifica, ma un pugno allo stomaco travestito da racconto di strada, un pezzo che fa male proprio perché dice la verità, quella verità che non fa trend, ma ti si attacca addosso come l’asfalto a mezzogiorno.
Il beat è asciutto, diretto, costruito per non distrarre. 22simba entra subito, senza giri di parole:
“Sì, ci siamo, un, due, tre
Questa merda è per la gente,
solo tu la vivi un test”.
Nessun filtro, nessuna recita: la musica è un test di realtà, un modo per misurare quanto sei vivo davvero. L’autenticità è tutto. Crescere “in guerra”, come dice lui, ti cambia il metabolismo emotivo: se non c’è conflitto, ti senti strano. Come se la quiete fosse una minaccia.
C’è tanta malinconia dietro le righe, ma anche la voglia di riderci sopra, o almeno provarci.
“Quanti talenti nel vino se nessuno dirà: ’Credo in te’”
È una frase per le generazioni lasciate marcire in silenzio. Il talento, se non lo vede nessuno, resta potenziale sprecato. Ma 22simba non si piange addosso: ironizza, si prende in giro, si mette in discussione. Racconta di quando rischiava di finire dentro solo per potersi comprare un giubbotto e lì capisci che questa non è solo una canzone, è un’autobiografia compressa in tre minuti.
Fammi un sorriso: il ritratto autentico di una generazione sospesa
Poi il mood cambia, si apre uno spiraglio:
“Sto facendo un impero, se ti serve un impiego”.
Una frase che suona come vanto, ma dentro ha una lucidità sorprendente. L’“impero” è simbolico, certo. Ma 22simba non lo dice tanto per fare: ha costruito qualcosa dal nulla, con i denti, e oggi se lo tiene stretto. Non dimentica da dove viene:
“Nei miei occhi resterà lo stesso
Tutto quello che ho passato e quello che ero”.
Il passato, per lui, non è un peso: è carburante.
“Tutto agosto su una panca, fammi un sorriso”.
È un’istantanea che si ripete, un frame di noia e compagnia, di fallimenti condivisi e leggerezza forzata. Il linguaggio può sembrare volgare, ma in realtà è una finestra aperta sulla brutalità di certi ambienti. È lo specchio di un linguaggio crudo, maschilista, che 22simba non giustifica, ma fotografa. Senza abbellimenti. Fa parte del contesto, della realtà che racconta: dura, ruvida, a tratti tossica. Ma vera. E in quella verità c’è anche un certo grado di denuncia, quasi involontaria.
Spunta la madre, quella con “le palle”, che merita un doppio cognome. È uno dei momenti più potenti del pezzo, perché rompe la corazza maschile che domina il resto. In mezzo a sigarette, sbatti e giri loschi, l’amore per chi ti ha cresciuto con forza e dignità brilla senza retorica.
22simba parla anche di creare nuove strade, di non aver trovato tracce da seguire. E infatti si muove così: senza copioni, senza copiare. Il suo stile è fatto di immagini dirette, di suoni sporchi, di pensieri che non sempre finiscono in bellezza, ma che arrivano sempre a bersaglio. Non si prende troppo sul serio, ma sa di avere qualcosa da dire. E lo dice senza preoccuparsi di piacere a tutti.
“Bene o male, qua si dice: ‘È tutto marketing’”.
L’idea che tutto possa essere etichettato come “marketing”, suona come una presa in giro al sistema. Come a dire: magari lo è, ma qui dentro c’è anche il sangue.
Fammi un sorriso non è una richiesta tenera. È più un urlo stanco, una provocazione, un modo per non lasciarsi sprofondare. 22simba lo ripete sperando che qualcosa cambi. Ma lo sa: il cambiamento, se arriva, non è per miracolo. È per incastro, per fatica, per tenacia.
E allora quel sorriso, storto, tirato fuori a forza mentre tutto brucia, vale più di mille parole. Perché a volte basta anche solo quello per ricordarti che sei ancora qui.