Sono ormai decenni che le cover degli album hanno superato il ruolo di semplice protezione dei dischi e sono diventate esse stesse un mezzo per raccontare storie. Una copertina d’impatto, capace di comunicare immediatamente ciò che andremo ad ascoltare, è fondamentale poiché rappresenta l’identità visiva di un progetto complesso come la realizzazione di un album. Negli ultimi anni, però, l’industria musicale ha visto esplodere una tendenza tanto redditizia quanto controversa: la proliferazione di cover alternative.
Dall’America all’Italia, il boom delle “variants”
Taylor Swift, pioniera di questa pratica, ha svelato mesi prima dell’uscita del suo prossimo album “The Life of a Showgirl” ben sette copertine alternative, dopo aver promosso “The Tortured Poets Department” in 4 versioni differenti. Anche altri artisti seguono questo trend: Sabrina Carpenter, dopo le accuse ricevute per la prima controversa cover di “Men’s Best Friend“, ha poi pubblicato diverse “variants”, come anche Doja Cat e Travis Scott. La tendenza si sta pian piano diffondendo anche in Italia con esempi come Elodie (“Mi Ami, Mi Odi” in quattro varianti), Annalisa (“Ma io sono fuoco” al momento disponibile in tre varianti) e Mecna (“Discordia, armonia e altri stati d’animo”, anch’esso al momento in tre varianti).
Quando il marketing prende il sopravvento
Rinunciare a scegliere un’unica copertina per un album sta diventando un problema su cui interrogarsi. La cover è parte integrante dello storytelling dell’artista e dovrebbe rappresentare uno statement del proprio lavoro. È un compito difficile perché richiede idee chiare e una visione precisa, ma sono proprio questa sfida e questa unicità che ne rappresentano il valore. Oggi, invece, si tratta sempre più di un semplice sfoggio di concept e scatti senza un filo conduttore. Cosa ci vogliono davvero comunicare con tutte queste versioni?
Diciamocelo, questo fenomeno è diventato principalmente uno strumento di marketing. Le major, spinte da logiche esclusivamente economiche, pubblicano numerose varianti dello stesso album con l’obiettivo di spingere i fan a comprarle tutte. Il risultato è che lo stesso prodotto viene acquistato più volte, gonfiando artificialmente le vendite e, di conseguenza, le posizioni in classifica. Più che un’offerta per i fan, sembra una tattica studiata per “manipolare” il mercato musicale.
Anche qualche artista ha da ridire
Ciò ha sollevato critiche anche da parte degli addetti ai lavori, Billie Eilish in un’intervista con BillBoard ha affermato:
Vedere alcuni dei più grandi artisti del mondo realizzare 40 diversi vinili, ognuno con una caratteristica unica, solo per spingerti a comprare ancora di più, é uno spreco enorme e mi irrita che siamo ancora a un punto in cui ci si preoccupa così tanto dei numeri e di fare soldi
La moltiplicazione delle cover rischia di diluire l’impatto visivo degli album. “Abbey Road” dei Beatles o “The dark side of the moon” dei Pink Floyd hanno segnato un’epoca proprio perché erano immagini uniche e riconoscibili. Oggi, con 10 varianti per un solo disco, possiamo ancora parlare di cover iconiche?
Il prezzo della FOMO nel mercato musicale
Secondo Jonas Andersson, professore associato di Media & Communications Studies all’Università di Södertörn, tutto ciò scaturisce dalla “svalutazione” della musica nell’era dello streaming. Piattaforme come Spotify e Apple Music, nate per contrastare la pirateria, hanno introdotto nuovi problemi tra cui i compensi irrisori per gli artisti.
In questo contesto, le star puntano a ricreare un senso di esclusività adottando strategie di scarsità artificiale per ridare un valore ormai perso al proprio lavoro. Rilasciare versioni limitate o esclusive di un prodotto accresce la desiderabilità e la percezione di unicità, generando domanda e controllando l’offerta. Così, varianti e copertine alternative presentate come “disponibili solo per 48 ore” o in “edizione limitatissima” spingono i fan ad acquistare più copie, aumentando vendite e posizionamento nelle classifiche. Un’indagine dell’Università di Glasgow, infatti, ha rivelato che il 57% dei 18-24enni intervistati possiede più copie dello stesso album per una questione identitaria, non per ascoltarle effettivamente.
Se la musica vuole mantenere il suo valore culturale e simbolico, gli artisti affermati potrebbero impiegare la loro influenza per promuovere un cambiamento reale nel settore.
Invece di concentrarsi esclusivamente sulla vendita dell’ennesima variante, i grandi artisti hanno l’opportunità di farsi sentire e sostenere nuovi modelli di fruizione equi per sé stessi e i fan, valorizzare la creatività e far emergere contenuti che abbiano un impatto duraturo. Solo così l’arte potrà continuare a essere qualcosa di più di un semplice prodotto da collezione.










