Jonas Brothers: storia di un fenomeno generazionale (che forse solo generazionale non era): cronaca del “One Band, Five Albums Tour” a Milano

da | Set 26, 2024 | #Cromosomiintour

Nell’unica tappa italiana, la band ha ripercorso vent’anni di carriera, tra canzoni d’esordio, cover, hit provenienti da “Camp Rock” e singoli dei percorsi da solisti di Nick e di Joe. Col senno di chi, questo mestiere, l’ha appreso appena bambino, ed è riuscito nell’impresa di renderlo l’occupazione unica di una vita intera.

L’atmosfera del Forum di Assago, il 24 settembre 2024, durante la tappa milanese dei Jonas Brothers, somiglia un po’ a quella di una festa revival anni Duemila. Tra cartelloni con citazioni di “Camp Rock”, t-shirt di Disney Channel taglia bambino adattate a vestiti da adulti, plettri colorati e borchie un po’ ovunque, non sembrano essere passati vent’anni anni da quei pomeriggi passati davanti a MTV, incollati per ore ad aspettare con trepidazione che trasmettessero un brano della boyband del cuore.

Più di diecimila persone, ieri sera, a rivivere un fenomeno generazionale che forse, a questo punto, solo generazionale non era.

La genesi di una boyband

Nick, Joe e Kevin salgono sul palco come se non avessero mai fatto nient’altro nella vita. E in effetti è a tutti gli effetti così. Parte tutto nel 2004, con un talent scout incontrato per caso da un barbiere. Come in una storia Disney, quasi fosse una profezia. Giovanissimi e inesperti, appena adolescenti, si affermano subito come una delle boyband più promettenti del decennio. Disney Channel li scrittura prima come protagonisti del film-fenomeno “Camp Rock”, e dopo crea addirittura una trasmissione ad hoc su di loro, la serie “Jonas” (poi proseguita con lo spin-off “Jonas L.A.”), un’operazione meta-seriale in cui i tre fratelli raccontano con ironia luci e ombre della fama.

Il successo da teen idol porta complicazioni a livello personale, ma soprattutto nella gestione della notorietà, e i tre, nel 2013, si separano per sei anni, alla ricerca della propria strada individuale. Ne derivano progetti solisti interessanti e di più o meno rilievo, tra cui la serie “Married to Jonas” che vede Kevin protagonista con la moglie Danielle, la fondazione dei DNCE da parte di Joe e il secondo album in solitaria di Nick. Lo iato termina sei anni dopo, con la pubblicazione del singolo “Sucker”, che per la prima volta porterà la band alla prima posizione delle top charts d’America.

Da allora, i Jonas Brothers hanno ritrovato un loro equilibrio e una spinta creativa del tutto simile a quella degli esordi, caratterizzata però, com’è giusto che sia, da una maturità nuova differente. Forse acquisita anche grazie a quella separazione.

Jonas Brothers: dall’adolescenza alla maturità nel segno della musica

Nell’unica tappa italiana – prevista inizialmente per maggio e poi spostata in autunno per problemi di calendarizzazione –, della tournée “Five Albums, One Night”, la band ha ripercorso vent’anni di carriera, tra canzoni d’esordio, cover, hit provenienti da “Camp Rock” e singoli dei percorsi da solisti di Nick e di Joe.

Si parte con “Celebrate” seguita da “What a Man Gotta Do”, giusto per scaldare la scena. Poi, per oltre due ore, quasi tutte le canzoni di tutti e cinque gli album. Una dopo l’altra si alternano tutte le hit del passato: dal teen rock di “S.O.S”, “Hold On” e “That’s Just the Way We Roll” fino alle più struggenti “When You Look Me in The Eyes”, “Fly With Me” e “Gotta Find You”. E poi le più recenti “Only Human”, “Rollercoaster” e “Leave Before You Love Me”.

I tre si esibiscono con lo stesso entusiasmo nelle canzoni più recenti – dedicate alle rispettive figlie o ad esperienze di vita e di coppia più adulte e consapevoli -, come in quelle di vent’anni fa, storie di amori giovanili incompiuti o vissuti a metà, scritte da appena adolescenti. Il “Five Albums, One Night” è una prova di grande coerenza dei Jonas rispetto alla loro intera discografia, trattata come se fosse un enorme manuale a capitoli, scritto in momenti e luoghi diversi, in cui ognuno testimonia un periodo della propria esistenza, che seppur diametralmente distante dal presente, va necessariamente rispettato. Col senno di chi, questo mestiere, l’ha appreso appena bambino, ed è riuscito nell’impresa di renderlo l’occupazione unica di una vita intera.

“One Night, Five Albums”: il tributo dei Jonas Brothers a se stessi

Rimanere impassibili davanti allo spettacolo è praticamente impossibile, specialmente se si è agognato questo momento da quasi vent’anni (come nel caso di chi scrive). Instancabili per oltre due ore, Nick, Joe e Kevin hanno suonato più di quaranta successi, senza scenografie d’avanguardia di chissà che tipo e col solo ausilio delle proprie voci e degli strumenti – primo tra tutti il pianoforte impeccabilmente suonato da Nick sul palco secondario.

Mantenere il successo negli anni è difficile: è il fardello di tutti i dei teen idles Disney, diventati celebri da giovanissimi, senza i mezzi né tantomeno il tempo per metabolizzare un’infanzia troppo diversa da quella dei propri coetanei. Eppure, magari con difficoltà e con i propri tempi, i Jonas Brothers sono l’esempio di chi con impegno e dedizione ha trovato una quadra all’equazione della fama, dando prova di un successo ventennale incomprensibile a molti, ma in realtà semplicissimo da spiegare, complice il pubblico di tutte le età presente alla tappa milanese del 24 settembre. Se i Jonas Brothers sono stati un fenomeno generazionale, cruciale per l’approccio alla musica pop\soft rock dei bambini degli anni Novanta e dei primi Duemila, sono stati anche in grado di riprendere quegli stessi ragazzini, ormai adulti e dar loro nuovi impulsi e nuove sonorità.

Facendosi prendere sul serio e formando una loro identità definita, pur rimanendo sempre un po’ i fratelli Grey di “Camp Rock” (protagonisti di qualche sketch invecchiato male reso nuovamente virale da Tik Tok). Innovatori e sensibili al cambiamento, ma di certo non indenni alle influenze predominanti di quegli anni Duemila che – gli va riconosciuto – i Jonas Brothers hanno contribuito a rendere immortali. E il Forum di Assago, ieri sera, ne era la prova.

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