Cos’hanno in comune i cantautori di ieri e quelli di oggi? Me lo sono chiesto più volte, ma trovare una risposta chiara e semplice mi sembra sempre impossibile.
Ndr: Con la lingua italiana si fa sempre fatica ad essere neutri, ma in questo articolo il termine cantautore vuole riferirsi sia ai cantautori che alle cantautrici.
Nel mio piccolo pensiero da ascoltatore, credo che gli aspetti rimasti identici nei cantautori del passato e del presente siano essenzialmente tre:
La sensibilità, perché i temi che trattano sono sempre semplici e mai banali. Il loro destino e il loro potere è quello di capire i tratti incomprensibili degli esseri umani, decifrarli e tradurli per farci conoscere di più noi stessi.
L’emergenza espressiva, perché quello che arriva dai cantautori sembra qualcosa che non poteva assolutamente rimanere rinchiuso. È presente in loro la necessità di buttare fuori i pensieri per non esserne divorati, logorati, uccisi.
La capacità di usare le parole, perché trovare il vocabolario giusto per lasciare il segno non è mai un’impresa facile. Dietro le parole giuste si può immaginare un mondo: la chiave per aprire queste porte si trova spesso nelle tasche dei cantautori.
C’è qualcuno che sa sicuramente molto meglio di me cos’hanno in comune i cantautori di ieri e quelli di oggi. Ho deciso così di chiedere un parere direttamente a loro:
Domanda complessa.
È drasticamente cambiato il modo di vivere la vita, i rapporti con l’altro.
Questo non poteva che incidere sul modo di far musica e sul processo creativo di un cantautore.
Probabilmente per il “cantautore di ieri” il processo creativo trovava la sua genesi con “carta e penna” e uno strumento su cui comporre una melodia.
Nascevano le canzoni, si facevano concerti che dal mio punto di vista erano una vera e propria forma di condivisione.
Anche i vinili o i cd erano oggetti più significativi, racchiudevano una serie di esperienze sensoriali, non esclusivamente legate all’ascolto. Il tempo della creatività veniva rispettato.
Oggi è cambiato l’approccio, il focus creativo si è spostato sulle sperimentazioni, sulla ricerca del suono. Il computer ha dato il via ad un nuovo modo di fare musica, di comporre e scrivere; ha aperto ulteriori possibilità.
Anche la fruizione della musica è cambiata. Il digitale ha indebolito, dal mio punto di vista, l’impatto emotivo del rapporto canzone-ascoltatore.
Non voglio generalizzare ma la sensazione è che oggi, anche se tendenzialmente l’obiettivo rimane sempre lo stesso (scrivere canzoni, condividerle con un pubblico ampio o meno ampio, portare il proprio progetto dal vivo), il modo di auto-promuoversi e veicolare la propria musica si è drasticamente modificato.
Tutto avviene attraverso una serie di strumenti (social, playlist musicali…) che finiscono per condizionare il processo creativo e il rapporto tra cantautore e ascoltatore. Un rapporto molto più superficiale, molto estetico, che richiede immediatezza. E in un mondo che corre sempre di più, ho la percezione che una canzone muoia nel momento in cui viene buttata fuori.
Il cantautore di oggi è un po’ vittima di questo sistema, dove il tempo creativo non viene più rispettato, perché la società della velocità richiede nuovi contenuti in tempi brevi, dal mio punto di vista a discapito della qualità.
Ma in questo quadro generale esistono fortunatamente tante sfumature.
I cantautori sono come i fotografi, immortalano quello che dalla loro prospettiva merita di finire in una canzone. Che sia a colori o bianco e nero , quindi contemporaneo o di belle epoque, credo che ognuno parte da una soggettiva percezione di un elemento che tocca quelle corde sacre che spingono con sincerità a narrarne.
Cambiano i linguaggi, le ambientazioni, il mercato, i contesti sociali, le strumentazioni anche, ma il fuoco che accende il racconto credo sia invariato. Hanno in comune l’aver capito che nelle canzoni si trova casa, appartenenza e libertà. Meraviglia e disordine.
Qualche giorno fa ho visto al cinema “Io, noi e Gaber”, docufilm (che tra l’altro consiglio vivamente) su Giorgio Gaber ma anche, inevitabilmente, su molte delle persone e delle idee che gli sono gravitate intorno.
Sono uscita dalla sala con molte sensazioni diverse ma un unico pensiero preciso: quello che voleva dire allora la parola cantautore ha straordinariamente poco a che fare col suo significato odierno, soprattutto perché il contesto politico, sociale e culturale si è trasformato profondamente, almeno in Italia. È rimasto pochissimo di quel modo di intendere le ideologie, gli intellettuali, la comunicazione, il mercato (e il mercato musicale in particolare), l’intrattenimento e la cultura.
Senza essere necessariamente nostalgica, in noi cantautori di oggi non ritrovo quasi nulla di quell’urgenza politica, che sembra essersi trasformata in un’urgenza espressiva molto più personale ed esistenziale – per quanto forse un po’ individualista e spesso nichilista.
Alcuni punti in comune, tuttavia, resistono, secondo me, e stanno forse proprio in questa parola urgenza: se definiamo cantautore chi canta e suona le proprie canzoni, è possibile secondo me anche sottintendere al nostro lavoro l’idea che le parole non siano un accessorio della musica, che la voce non sia un accessorio della canzone e che la canzone stessa non sia solo un accessorio utile a colmare un vuoto di mercato – ma che, piuttosto, tutto l’insieme sia frutto di un processo creativo che sentiamo necessario, così necessario da portarlo noi sul palco in prima persona.
Almeno, con un po’ di ottimismo, questo è quello che spero.
Se si guardano i cantautori storici degli anni 60 e 70, hanno secondo me poco a che fare con quelli di oggi. Sia per i temi trattati, sia per il fatto di non andare a favore di nessuna corrente, inteso come il fatto di andare a raccontare ciò che nessun’altro raccontava.
Il punto di vista dei cantautori di ieri era molto più personale, si esponevano molto di più. Oggi si fa di meno, preferendo parlare di cose che forse una volta avevano meno importanza.
Anche se i contesti sociali sono mutati e continuano a cambiare sempre più velocemente, ciò che credo è che i cantautori, da sempre, non facciano altro che raccontare e denunciare la società di cui fanno parte con tutte le sue affascinanti storture e la sua intrinseca e controversa bellezza. Attraverso il loro bagaglio esperienziale e umano cercano di porsi un po’ come filtro, come lente attraverso cui poter osservare e rileggere la realtà circostante.
I cantautori di oggi, come quelli di ieri non fanno nient’altro che questo: osservano la realtà, la filtrano con una sensibilità diversa, trovano le parole giuste, le immagini più rappresentative, la poetica più chiara e traducono con un linguaggio nuovi ciò che gli altri vorrebbero dire ma che non riesco a dire o capire. Cercando di trovare quell’armonia necessaria tra testo e musica che riesca a far provare esattamente quella sensazione specifica all’ascoltatore, dotandolo di punti di vista diversi da quelli consueti o semplicemente dandogli una chiave di lettura per aprire un cassetto in più della propria consapevolezza.
Beh, l’hanno spiegato molto meglio loro di quanto avrei potuto fare io. D’altronde loro sono cantautori, io no.