Lala, come un bambino divertito. Lala, come chi gioca senza aver capito. Chiaroscuro è uscito il 30 giugno, va preso un po’ come fosse il manifesto indie di Lala. Possiamo considerarlo come un artista che dimostra di sapersi muovere e districare all’interno di sonorità incidenti e differenti. La strategia è chiara: l’EP è una piccola dimostrazione di talento di un artista eclettico, che più che dimostrare qualcosa, vuole mostrare se stesso.
Strobo è il primo pezzo, una melodia melanconica ma divertente, un modo di appoggiarsi alla vita senza che questa risulti eccessivamente pesante al di sopra. Il ritornello è ballabile, incalza e diverte, lascia un po’ di amaro mischiato ad un sapore dolce. Praticamente è come un bicchierino di Baileys. Lala si perde e parla a monosillabi, che è la canzone del buio di Chiaroscuro. Ritmo lento e fragile, come il modo di cantare dell’artista che quasi rompe, spezza la voce. Anche qui, la melodia cede tutto il sentimento di nostalgia, unendosi con un testo che sembra amalgamarsi senza problemi.
Il dipinto a mano, preciso e sbavato, fuoriesce all’interno di inchiostro, pezzo posto nel bel mezzo dell’album. Una canzone contraddistinta fondamentalmente dalle figure che compaiono nello scorrere delle parole di Lala, che più di molti altri artisti ha questa capacità catartica di dipingere senza penna e pennello. Un pezzo di anima, il luogo della paura, Acrofobia. L’altezza che si raggiunge fisicamente e non, nell’incessante lotta con noi stessi e con gli altri che contraddistingue la vita di ognuno. Lala continua a salire, supera la vertigine.
L’outro, Se/outro, è la cerniera di Chiaroscuro. L’ultima pennellata, l’ultimo acuto. Lala, prima di lasciarci abbandonare il suo dipinto che sa di bianco e nero, ci lascia uno spunto su di sè, una stanza in vista prima della partenza. 5 tracce, una traversata in un mare chiaroscuro. Una certa emozione, sta a chi ascolta stabilire se tirarne fuori lacrime o gioia. Il nuovo EP di Lala, Chiaroscuro, è fuori su Spotify dalla notte di venerdì.