I dieci album italiani più influenti di tutti i tempi

da | Mar 21, 2023 | News

Nella classifica degli album più influenti e importanti di questi anni è strano constatare l’emergere di una nuova generazione di band e cantautori proveniente dalla scena indie. Siamo certi che i nuovi anni porteranno un mix diverso e continueranno il dibattito tra bel canto e trapper rinnovando e aggiornando il genere, così come è indubbio che […]

Nella classifica degli album più influenti e importanti di questi anni è strano constatare l’emergere di una nuova generazione di band e cantautori proveniente dalla scena indie. Siamo certi che i nuovi anni porteranno un mix diverso e continueranno il dibattito tra bel canto e trapper rinnovando e aggiornando il genere, così come è indubbio che la musica suonata con batteria, basso e chitarra non morirà mai.

Compilare una lista della musica più influente e bella di sempre è stato un bene, ma anche un male. Le cose si sono evolute, e ti accorgi che certi pezzi lasciano lo stesso entusiasmo di dieci anni fa. È stato brutto, invece, aver dimenticato cose splendide, e rendersi conto che nella contemporaneità di oggi, un mondo liquido, fast, costellato di meteore fugaci, si fa fatica a decidere chi e cosa è, e sarà, davvero influente.

Dopotutto, come ogni classifica, anche questa è pensata per essere discussa. È un obiettivo da raggiungere senza particolari sforzi. La musica, in fondo, non è matematica. Ecco perché ha il potere di suscitare dibattiti nei bar di tutto il mondo.

Ricordiamo che questa non è una classifica ma una lista, in ordine cronologico, di cose bellissime. Per cui, apprezzate lo sforza ma nutrite pure qualche ragionevole dubbio.

1. Aria – Alan Sorrenti (1972)

La prima gloriosa vita de “il figlio delle stelle”. La musica prog aveva già influenzato gran parte della produzione musicale mondiale da diversi anni, grazie ai primi lavori dei Crimson e dei Genesis, ma nel 1972 Alan Sorrenti irrompe sulla scena discografica italiana con il suo album di debutto Aria.

Nonostante le accuse di essere datato, Aria rimane uno dei dischi più intensi mai pubblicati in Italia. L’atmosfera fiabesca e incantata che pervade l’album evita che possa essere percepito oggi come un’opera superata, e lo colloca invece al di fuori del tempo e del mondo. 

L’intero album oscilla ininterrottamente tra melodie celestiali, armonie esoteriche e arrangiamenti dionisiaci, raffigurando canzoni aperte in completa libertà. Il culmine del canto metafisico di Sorrenti, è una distesa estatica di vocali e sillabe, lui e la sua band si immergono in una foresta di suoni ancestrali, ritmi frenetici e melodie ultraterrene, scatenando vivaci cambi di registro, impossibili da descrivere nei dettagli.

Ma ciò che rende unico questo album, con il suo forte sound esoterico e psichedelico, è la notevole realizzazione della voce di Alan e il suo utilizzo in ogni brano dell’LP. La voce è il vero strumento qui.

Tuttavia, l’incessante desiderio di sperimentazione e le sonorità sempre più complesse che caratterizzavano le sue prime produzioni musicali divennero, a lungo andare, incomprensibili al grande pubblico, ed egli prese presto la decisione di abbandonare questo modo di fare musica.

2. Storia di un impiegato – Fabrizio De Andrè (1973)

Storia di un impiegato fu accolto in generale in modo piuttosto negativo, e anche le riviste specializzate non furono risparmiate da aspre critiche. Del resto, lo stesso Fabrizio De André dichiarò in un’intervista del 1974 che

«Storia di un impiegato è stato scritto da me, Ventivoglio e Piovani durante un anno e mezzo molto travagliato, e quando è uscito volevamo bruciare il disco. Era la prima volta che facevamo una dichiarazione politica e sappiamo di aver usato un linguaggio troppo oscuro e difficile. L’idea del disco era un’affascinante lettura poetica del Sessantotto. Ma si è rivelato un disco politico. E ho fatto quello che non avrei mai dovuto fare: spiegare alle persone come avrebbero dovuto comportarsi».

L’album è stato riscoperto e rivalutato a partire dagli anni Novanta e, nonostante i suoi difetti e limiti, è universalmente riconosciuto come una pietra miliare della discografia di De André e della canzone d’autore italiana. Cattura e immortala un preciso periodo storico, ma rimane di grande attualità per i temi trattati e per la chiarezza e il rigore morale con cui li affronta.

Ed è Storia di un impiegato, fondamentalmente, il resoconto di un individualista sconfitto. Azione solitaria, vendetta solitaria, tutto visto in funzione della liberazione da tutto, perché tutto è potere: capi, amici, poliziotti, genitori. Questa cieca vendetta contro il potere non è altro che l’esclamazione finale di un uomo solo e fragile che, a sua insaputa, è stato legato per anni alla volontà dei suoi superiori.

3. Crac! – Area (1975)

Disco politico, grande esecuzione e altrettanto grande canto: lo spessore musicale e culturale di questo disco è stato subito evidente. Musicalmente, abbiamo un’eccellenza assoluta. Musica progressiva? Si potrebbe pensare, ma non è tutto. C’è un soffio di cosmopolitismo in questi solchi che raramente si trova in altre esperienze musicali europee, e Crac! è un capolavoro unico e irripetibile a tutto tondo.

Nel 1975 Demetrio Stratos e i suoi amici pubblicarono un disco, per l’etichetta Krampus di Gianni Sassi, che riproponeva i punti di forza del gruppo le diverse attitudini e sensibilità dei suoi componenti – e combinava una musica che non sminuiva i temi politici e sociali con la libertà di fondere esperienze diverse.

Crac! rafforzò il legame tra visione e suono, combinando sonorità rock e free jazz in un modo unico. Ma sono state le canzoni taglienti a rendere la band così popolare che l’album viene ora celebrato insieme ad altri capolavori del progressive italiano dalla nuova iniziativa di Sony Music Italian Progressive Rewind.

Immediatezza, chiarezza, iconoclastia, un approccio quasi giocoso alle cose serie, il tutto combinato con ritmi e suoni vertiginosi. La voce esplosiva e potente di Stratos, il basso potente di Tavolazzi: insomma, un vero e proprio capolavoro. È un quintetto che non ha eguali: anche l’Italia ha avuto una sua supernova!

4. La voce del padrone – Franco Battiato (1981)

Le sette canzoni di quel disco sono entrate nella storia nazionale di un intero paese e nella vita di ciascuno di noi e per la prima volta nella storia della discografia italiana, l’album ha superato il milione di copie vendute.

Questo perché, prima dell’uscita de La voce del padrone, un album di sette canzoni, la musica pop italiana aveva girato intorno a uno stretto recinto legato ai generi, alle melodie e a una certa poeticità. Battiato è stato il primo a riuscire a trasformare una musica estremamente sofisticata in una musica pop comprensibile a tutti, mascherando il punk rock e la new wave, due generi che avrebbero caratterizzato la storia della musica mondiale, soprattutto straniera, negli anni Settanta e Ottanta, e probabilmente la migliore di sempre.

Con questo disco Battiato arricchì anche la collezione di strumenti utilizzati. Vibrafono, organo Hammond, archi, sintetizzatori e sequencer, creando un suono più orchestrale, imponente, quasi definitivo. È un disco perfetto, non c’è una sola nota stonata. Come un pittore che termina la sua opera e la guarda con soddisfazione, l’opera viene chiusa con una poesia di immortale semplicità e bellezza «è bello perdersi in questo incantesimo». Non è un caso, Battiato è stato il mago della musica.

5. Hai paura del buio? – Afterhours (1997)

Indipendenti, 20 anni dopo, Hai paura del buio? degli Afterhours vince come miglior disco indipendente degli ultimi 20 anni, dietro Catartica dei Marlene Kuntz e Sussidiario illustrato della giovinezza dei Baustelle. Capolavoro del 1997 che ha cambiato la carriera della band di Manuel Agnelli e che, ancora oggi, è considerato una delle vette assolute del rock alternativo italiano. 

Il 1997 è stato un anno magico per la musica indipendente italiana. La polverosa tradizione melodica e, allo stesso tempo, la scomoda sensazione di seguire il rock anglosassone stavano per essere abbandonate. In questo grande fermento, gli Afterhours, dopo dieci anni di formazione, cercavano di uscire dalla caotica scena alternativa milanese.

Le scelte stilistiche di Manuel Agnelli per i testi erano particolarmente insolite. Il cut-up era la tecnica letteraria amata dalla Beat Generation, in particolare dallo scrittore William Burrought, in cui una frase veniva fisicamente tagliata e i frammenti venivano mescolati insieme per formare una nuovo significato, a volte ambiguo a volte no sense. Tecnica da cui attingeva lo stesso Manuel Agnelli, regalando ai suoi brani, evocazioni pieni di percezioni e allusioni.

Hai paura del buio? ad essere onesti, è stato un delirio. Suoni ammassati con intensità provocatorie e provocazioni poetiche si intrecciano magnificamente e si espandono in territori musicali inesplorati. Era un disco che parlava un nuovo linguaggio intuitivo, che parlava ai e dei giovani, prendendo temi disparati come l’amore, la noia, la vendetta, l’ironia e il sesso e trasformandoli in suoni che nessuno aveva mai sentito prima, in uno slang contemporaneo pieno di rabbia e sentimento poetico.

Siamo sinceri, esiste un lavoro contemporaneo che abbia la stessa ferocia e adrenalina di questo album?

6. ..Squérez? – Lunapop (1999)

Secondo i dati della Federazione dell’Industria Musicale Italiana, il disco è stato uno dei dieci album più venduti in Italia e l’album di debutto più acquistato da una band italiana.

Nel 1998, quando il 90% delle canzoni era stato registrato, i Lunapop fecero la loro prima proposta a una casa discografica che conoscevano, tuttavia, la cosa non ha funzionato. La Sony pensava che nessuna delle canzoni che avevano registrato fosse un vero singolo. Altre case discografiche li rifiutarono facilmente, nessuno voleva pubblicare i loro dischi. All’epoca, il genere pop della band, cantato in italiano ma senza archi e con tracce di britpop, era largamente assente dal mainstream musicale.

Alla fine il disco fu prodotto dall’etichetta indipendente romana Universo, che li contattò dopo la loro esibizione al Festival di San Marino, e il 27 maggio 1999, pochi giorni prima che Cremonini sostenesse gli esami di maturità, fu pubblicato il primo singolo del disco, 50 Special.

I LunaPop erano un prodotto mainstream senza sensi di colpa, in grado di entusiasmare i ragazzi senza entrare nell’orbita degli ascoltatori post-scolastici o dei lettori CD. ..Squérez? era un album genuinamente giovane e sincero, scritto da adolescenti per adolescenti: la prima volta che le voci di un’intera generazione, che aveva assorbito i grandi cambiamenti positivi di quell’epoca, venivano espresse attraverso la musica. 

7. Michrochip emozionale – Subsonica (1999)

Ciò che rende ancora così impressionante, a 20 anni di distanza, un album come Microchip emozionale è la sua perfetta fusione di elettronica, rock, funk e pop d’autore, che abbatte i confini di genere, riunendo alcuni dei capolavori più amati dei Subsonica, da Liberi tutti a Discolabirinto e la nitida ricostruzione di un’epoca lontana e molto diversa da quella in cui viviamo oggi.

Sono passati vent’anni dall’album che ha cambiato le sorti dei Subsonica e ha portato la musica elettronica italiana al suo apice: nel 1999, i Subsonica sembravano provenire da un altro pianeta. Suonavano quello che gli piaceva, senza fare storie.

L’album era un misto di condanna sociale e sentimentalismo oscuro. La penna di Max Casacci sceglie meticolosamente ogni parola, creando una cadenza di perfezione e un lirismo ricco di contenuti. Così intensi, così completi, così retrospettivi e futuristici, si potrebbe dire, però, che ne hanno pagato il prezzo.

Infatti, ogni passo successivo, da Amorematico all’ultimo Mentale strumentale, è stato complicato e minato da questo totem. Anche quando i successi abbondavano il “Sì, ok, bello, ma Microchip emozionale era qualcosa di diverso” era inevitabile.


In altre parole, stiamo parlando di un album uscito nel 1999, a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio, quando la prima ondata dell’alternative italiano – Bluvertigo, Afterhours, Marlene Kuntz, Verdena – era al suo apice e il gruppo era in stato di grazia. 

È così. Microchip emozionale è stato il consolidamento degli anni ’90 italiani e il passaggio che il nostro Paese ha attraversato verso il 2000. A fronte della sterminata discografia piena di successi dei Subsonica, questo disco è maturato a dovere, e anche i suoi padri.

8. Mr. Simpatia – Fabri Fibra (2004)

Il 2004 è l’anno del prima e del dopo il rap. A galla nello spartiacque del gioco del rap, l’arte della rima scandalistica per eccellenza che ha portato questo genere musicale a esplodere in tutte le sue possibilità, Fibra si allontana dalla tecnica e si dirige verso la critica sociale, gli sfoghi di rapper “completamente impazzito”, gli scorci sorprendentemente attuali di gruppi e individui che si muovono per fare rumore.

Per comprendere il valore sociale di un album come Mr. Simpatia è necessario fare delle premesse. L’album di Fibra è stato pubblicato il 1°settembre 2004. Era un periodo in cui il rap cominciava a suscitare un’esplosione di interesse, seppur ancora di nicchia, tuttavia, non guadagnava ascoltatori allo stesso ritmo delle nuove uscite rap.

Con questo lavoro, Fibra aveva un solo obiettivo: essere un rapper con una croce da portare. Far parlare di sé come di un rapper senza etica, senza inibizioni e senza senso sociale. Alla fine ci è riuscito e lo è diventato, ride dal suo divano di casa perché sa che la sua musica ha finalmente fatto centro, costruendo un personaggio che pochi oserebbero sfidare.


Il successo di Mr, Simpatia è stato dato dal grado di empatia che ha stabilito con il disagio del pubblico, trovando voci compagne che nell’abisso raschiano il fondo dello stesso barile.

Fibra ha portato il rap italiano a un livello quasi inimmaginabile nei primi anni 2000. È stato l’unico a dare voce ai pensieri oscuri che rappresentavano la verità e la realtà di una società e di uno stile di vita sbagliati. Diretto, crudo, satirico e a volte volgare, Fabri Fibra fa rivivere nei suoi testi storie di vita e di turbamento.

9. Mainstream – Calcutta (2015)

Calcutta è essenzialmente un’immagine personale che ha senso in un universo collettivo.
Negli ultimi anni la musica italiana ha visto emergere una serie di opere di altissima qualità. Lavori che prima si distinguevano per la cura, la ricerca e la pulizia a volte maniacale del suono. E poi basta un ragazzo come Calcutta che canta male, e ha scritto canzoni anche peggiori, e tutti si convincono che ha talento. Proprio tutti.

La verità è che attrae perché la sua è una narrazione quotidiana che utilizza marche di prodotti riconoscibili, nomi di farmaci, notizie ed eventi sportivi per innescare un’identificazione che non riguarda più solo l’umore del momento, ma i ricordi e le relazioni tutte.

È un colpo pop a tutti gli effetti. È la capacità di scrivere una canzone di tre minuti con una linea melodica che si può ascoltare a metà e cantare insieme, necessaria per emozionarsi di fronte alla follia di certi ritornelli o al bisogno di gridare cose nosense come se fosse la più grande rivendicazione di libertà mai espressa dall’uomo.

I cut-up musicali che mescolano le cose, il new pop che trascina nella semplicità non sono una novità, ma riescono a toccare certe corde che rendono più trascurabile l’uso della voce, creando un ambiente favorevole alla formazione di un’immagine personale.

Portavoce di una generazione e anticipatore di un nuovo mainstream.

10. NOI, LORO, GLI ALTRI – Marracash (2021)

Il re del rap – dati alla mano – è solo il secondo artista hip-hop dopo il collega Caparezza (che vinse per Museica nel 2014), a vincere la targa Tenco come Miglior Album per NOI, LORO, GLI ALTRI. A grandi linee, c’è la santificazione di un genere (per certi versi una resa dei conti definitiva) e la sua dignità di scrittura (la qualità dei testi rap non è mai stata pienamente riconosciuta e difesa). 

Ma, per dirla in modo più fine, la celebrazione del percorso di un artista che ha sfornato due capolavori e due album maturi in rapida successione (Persona era già degno di tale onore) e, per una certa soddisfazione, la realizzazione di una vittoria che il vincitore rivendica a gran voce e con decisione.

Tuttavia, Marracash ha confermato ancora una volta di essere un extraterrestre. Non solo perché è uno di quegli artisti destinati per nascita a diventare re, e non solo perché si definisce tale ma per il fatto che, da “prescelto”, ha spesso perso la corona da re ,senza mai nascondere le sue umane fragilità.

Ma l’ha anche sempre riconquistata senza cedere ai mali dello scoraggiamento, del facile comfort virtuale e della musica ad alto volume come antidoto all’ascolto intimo. Marracash ha anche smesso di dormire, ha scelto il silenzio sonoro e pauroso, si è coraggiosamente ascoltato e si è calato nella camera inconscia della paura, si è messo in gioco, ha attaccato e colpito per primo. E dopo aver sofferto così a lungo, questo disco è innanzitutto un disco personale, più che per noi, per loro e per gli altri.

Probabilmente era quasi impossibile creare qualcosa di più di Persona. Invece Fabio ci è riuscito, ha superato se stesso, dichiarato guerra all’unico nemico temibile possibile (se stesso) e ha stra-vinto.

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