IRA di Iosonouncane: preludio della nuova musica

da | Mag 14, 2021 | In Evidenza

Carlo Emilio Gadda in “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” scriveva: L’attimo fuggiva, oh, che altro può fare un attimo? Vero, verissimo. Ma oggi, 14 maggio 2021, l’IRA di Iosonouncane prende vita e in un attimo la musica italiana smette di fuggire da se stessa, che è la sua più grande nemica. Scappa dalla situazione […]

Carlo Emilio Gadda in “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” scriveva: L’attimo fuggiva, oh, che altro può fare un attimo?

Vero, verissimo. Ma oggi, 14 maggio 2021, l’IRA di Iosonouncane prende vita e in un attimo la musica italiana smette di fuggire da se stessa, che è la sua più grande nemica. Scappa dalla situazione di stallo in cui si trova, nel vano tentativo di allontanarsi dai suoni rifatti e portati allo stremo. Grazie al nuovo album di Jacopo Incani, spetterà a un bel po’ di persone svegliarsi e rendersi conto che non bastano più le parole d’uso comune e tre accordi di chitarra per fare il botto.

Oggi, un album particolare definito come un “lavoro estenuante”, porta alla luce una questione tagliente: le parole bastano?  

Caro Jacopo, quante volte sentirai dire che il tuo nuovo album non ha nulla a cui la bella Stormi ci aveva abituati. Così tante che Stormi smette di essere un brano per divenire un fenomeno, un metro di paragone fermo. Potrei quasi provare vicinanza per te, vittima della ridondanza mediatica e parolifera, se non fosse che va sempre bene perdonare la leggera distrazione degli ascoltatori.

Ma l’abitudine, nata per creare ordine e accordo, in realtà genera caos nel momento esatto in cui deve terminare.

La disabitudine

Ora è giunto il momento di disabituarci, di andare da soli, di smetterla di dire “IRA non ha nulla a che vedere con l’Iosonouncane di Stormi”. C’è bisogno di qualcuno che ci svegli dal passato e ci dica che su quella bicicletta, a 3 anni, andavamo spediti solo perché dietro c’erano le rotelle. Era tutta un’illusione apparente, (cos’altro può mai essere un’illusione se non apparente?) in cui non potevamo neanche scegliere di cadere e farci male. Un po’ come i cantautori che ancora decidono di non cadere, e restano aggrappati ad un manifesto indie per assicurarsi di azzeccarne almeno una.

L’illusione l’ha creata la facilità con cui ci siamo abituati a incastrare Jacopo Incani nel proprio lavoro DIE, e adesso, che possiamo volentieri disabituarci a questa visione, qualcuno ha paura. Per chi tratta Iosonouncane come uno che ha cambiato improvvisamente il proprio stile, io propongo l’ascolto di Buio di DIE. Un brano quasi preparatorio all’approccio giusto per IRA, un album che ti “fa” l’orecchio, come chi si “fa le ossa”. Dopo aver ascoltato un’ora e cinquanta minuti di IRA, sei pronto per la musica.

Un album politico

La canzone così come la immaginiamo, si presenta destrutturata e portata alla luce come un atto politico. Qui si fa politica rivendicando le mille proprietà intrinseche della musica, portata allo stato brado e mai domata. La costruzione intera dell’album diventa l’alter ego di una società che detta quei parametri musicali in cui i tempi vanno rispettati, la canzone costruita senza interruzioni né scomposizioni, e il registro linguistico scelto. Ma in IRA, dove l’inquietante prende il sopravvento buttandosi nella mischia dei suoni, vivisezionati e modellati come vasi da ceramica, tutto il controllo illusorio si perde.

La musica riprende il possesso di se stessa, diventa libera, ritorna ad essere di sua proprietà.

I suoni proseguono come cani sciolti raccogliendo sfumature impercettibili, a volte troppe, a volte irrompono nelle tue stesse emozioni. E tu, che sei un ascoltatore vittima e preda di quest’album, ma ancora non lo sai, avvertirai vuoto e pienezza nello stesso momento.

Iosonouncane mostra i suoi migliori abiti da compositore e arrangiatore e smette per un attimo di vestire i soli da cantautore, facili da abbinare con tutto. La facilità in IRA non è per niente contemplata, scelta che rientra in quella rivendicazione politica ed artistica che ribalta l’idea della semplificazione vigente nella nostra società. Si contrappone alla mania di ridurre in un minimo comune multiplo la musica, di rendere facile e frivola la parola, di affidarsi alla rapida comprensione delle cose. La produzione diventa corale, ricca, articolata: una risposta ad una società che ha confuso l’eleganza del minimalismo con la semplificazione e l’omologazione di pochi contenuti artistici.

La lingua

Le lingue si contrappongono, si inseguono. Arabo, inglese, spagnolo, italiano, tedesco, francese concorrono a rappresentare quella moltitudine che in IRA viene spiegata per filo e per segno, senza giri di parole, senza parafrasi né rassicurazioni, se non attraverso “una lingua dell’errore”, chiamata a rappresentare la mancata comunicazione.

Come può una lingua interpretare una comunicazione mancante?

Lo fa con un lessico occasionale, confuso, sottratto alle radici e origini, fatto di errori e necessità. Una neolingua, in pratica, nata grazie ad un uomo che “rinuncia in parte alla propria voce per abbracciare quella di una moltitudine che attraversa terre e mari”. E da qui nasce la coralità del disco, caratteristica anch’essa rivendicata politicamente come ciò che è sempre appartenuto alla musica, e poi dimenticata.

L’umanità

Arriva la parte più umana dell’album, in cui i sette musicisti, sui quali è stato costruito l’intero lavoro, assumono il ruolo di protagonisti. Come se fosse stata prima la musica a scegliere loro, e solo dopo a lasciare che si concedessero nudi in quest’unione destrutturante. Nudi, come l’uomo in copertina che si avvicina spettrale verso l’interlocutore. Nudi, come la donna sdraiata a terra in DIE.

Nella nudità intera, in IRA l’uomo si offre come mezzo e preda al contempo di una musica che si avvale della sua fisicità per riprodursi, in forme intrise nei particolari della Terra. Gli echi del Maghreb, la psichedelia, l’elettronica, gli accenni di jazz e le percussioni invasive si offrono come strumenti salubri all’essere umano.

La voce, qui non è oggetto del canto, bensì un’evoluzione narrativa che interagisce con gli altri strumenti. Ecco che mi viene in mente Thom Yorke, e la sua maniera di abbracciare il canto, rendendolo un mezzo fra tanti, non il mezzo.

Jacopo Incani ha dichiarato che porterà IRA live quest’estate accompagnato da Amedeo Perri e Bruno Germano, produttore dell’album, già firma del precedente DIE. Dalla primavera 2022, invece, presenterà il disco con l’intero team di musicisti con cui ha composto l’opera. A qualcuno spaventa l’idea che, nella resa live, possa essere tralasciato qualcosa delle 17 tracce, e a tal proposito l’artista ha già dichiarato che questo è un album che può essere suonato anche in tre senza omettere nulla degli infiniti suoni all’interno.
Attendiamo curiosi.

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