Margherita Vicario e lo “stupido gioco del rap”

da | Set 28, 2020 | News

Margherita Vicario e lo “stupido gioco del rap”: una piccola tempesta che può indurre una riflessione sui contorni e le sfumature di un genere musicale. La polemica che ha coinvolto Margherita Vicario dopo le sue critiche al singolo Sparami può essere un occasione per riflettere non solo sull’ennesimo episodio di hate speech, ma anche sui […]

Margherita Vicario e lo “stupido gioco del rap”: una piccola tempesta che può indurre una riflessione sui contorni e le sfumature di un genere musicale.

La polemica che ha coinvolto Margherita Vicario dopo le sue critiche al singolo Sparami può essere un occasione per riflettere non solo sull’ennesimo episodio di hate speech, ma anche sui criteri coi quali si possa giudicare il rap e le sue tematiche intrinseche. 

La vicenda

Sparami è scritta da un quartetto di “pezzi grossi” del nostro rap: Emis Killa, Jake La Furia, Fabri Fibra e Salmo. Il singolo è attualmente nella Top 50 di Spotify ed è un estratto di 17, album nato dalla collaborazione di Killa-La Furia. Il disco è uscito a distanza di poco più di tre anni da un altro 17, firmato da XXXTentation. Il compianto e controverso rapper statunitense aveva cantato in Look at me!, qualche mese prima del suo debutto discografico:

That bitch don’t wanna be friends
I gave her dick, she got mad
She put her tongue on my dick

Il testo non sembra distaccarsi molto da:

 

Quelle due tipe mi avranno stregato
Perché non sono due fighe
Ma a fine serata fra’ glie l’avrò dato
[…]
Il mood è schivare le vipere
Mettere il cazzo in queste fighe infime
Finché non muoio di AIDS o sifilide

E nemmeno da: 

Sì, voglio farmele tutte drogate
O di fronte al fidanzato trapper che piange

Questo registro da subreddit NSFW o da opinionisti autodidatti de La Zanzara ha suscitato in Margherita Vicario il desiderio di definire la canzone come misogina e anacronistica in una storia su Instagram. Il suo commento ha ricevuto come “risposta” una pioggia di insulti da una porzione della fanbase di Killa e colleghi, che ha riempito di commenti denigratori il profilo della giovane cantautrice ed attrice romana. 

Armature

Parlare a grandi linee di un genere universale e complesso come il rap non è letteralmente auspicabile né possibile. Tuttavia se una parte del suo repertorio nostrano crede che Un vero uomo dovrebbe lavare i piatti (Caparezza) ed ha esponenti che «di slancio come un fulmine travalic[ano] ogni limite che intralci la [loro] crescita e pregiudichi il buon fine» (Faccio la mia cosa, Frankie Hi-Nrg), un’altra frangia è pronta a definire la sua poetica stilistica attraverso forme più tronfie.
Gli esempi in questo caso sono incalcolabili e trovano nelle più recenti capillarità della trap casistiche anche involontariamente ironiche, pronte a scrollare il polso per mostrare un Patek Philippe o a far sgommare a suon di skrt skrt una Bugatti. Fa parte del gioco. È un bene che vi sia una musica pronta ad infondere sicurezza nei suoi ascoltatori ed in grado di sottolineare, come le forme di Marilyn Monroe durante gli affamati anni ’50, un modello di opulenza contro la crisi di questi decenni: una ricchezza ottenuta duramente, sbattuta in faccia al proprio pubblico come un obiettivo da raggiungere, uno status da conquistare. Questa è una delle grandi forze del rap, essere un esoscheletro per le nostre fragilità. 

Modelli

Narrando le forme di una realizzazione personale – almeno sul fronte materiale ed economico – non può mancare l’aspetto sessuale, erotico: proprio qui, d’altronde, si nascondono le insicurezze peggiori, le fragilità più insidiose. Dà certo conforto sapere che il tuo idolo ricco e famoso sarà pronto a portare il suo Rolex in assistenza per le troppe sculacciate dispensate alla ragazza «sconvolta e spettinata» di XXX Pt. 2 (Guè Pequeno, «Boom Boom il rumore che faccio quando ti sculaccio e ti sfondo il ****») o che la sua Mastercard ha delle voci di spesa dedicate alle bitches ordinate da casa «come su Deliveroo» (TVTB, Fedez ft. Dark Polo Gang).
In certo rap si corre però il rischio di giocare col fuoco delle parole. Sebbene come nel Kink Castle tutto si fermi ad una dimensione innocua ed artificiale, il pericolo è che il gioco si trasformi in messaggio, il messaggio in opinione e l’opinione in attitudine. Ne sono un esempio i commenti che hanno insultato Margherita Vicario. Quest’ultima ha semplicemente esercitato il diritto di sentirsi offesa da un testo che, per quanto fittizio, delle donne non definisce un modello particolarmente rispettoso. In risposta sono arrivate delle frasi che riprendono ed assumono il tono denigratorio della canzone: alcuni dei fan parlano con quella aggressività e giudicano con quella miopia, perché viene fornito loro un modello per difendersi, serrarsi ed esprimersi. 

Le parole sono importanti

Nel continuo e curioso alternarsi di diastole e sistole, distensione e contrazione dell’opinione pubblica sui social il nostro tempo sta ridefinendo i suoi confini morali, etici e sociali. È importante poter condurre questo strano ed affascinante processo evolutivo senza dimenticare l’importanza morettiana delle parole e del rispetto. La Vicario, nel commentare con le criticità di questa canzone senza alcuna aggressività («trattatela bene la figa, che è la cosa più preziosa del mondo») ha involontariamente innescato il classico meccanismo social dell’odio, dal quale le donne, come ha ben ricordato Giuseppe Civati, «sono le prime ad essere colpite».
Criticare Sparami per il suo contenuto può forse essere ascrivibile al criticare Mortal Kombat per la violenza delle sue celeberrime fatalities: si addita un mezzo espressivo sottolineandone un aspetto in certi casi strutturale, stilisticamente embedded. D’altro canto non va ignorato il potenziale negativo di tale linguaggio, soprattutto se rivolto ad un pubblico non sempre in possesso degli strumenti necessari a digerirne il contenuto, a trattenerne la parte “buona” ed espellerne idealmente la “cattiva”.

Un futuro roseo

Un libro straordinario come Il rap spiegato ai bianchi (D.F. Wallace – M. Costello) cita:

«La cazzuta genialità del rap sta in questo processo circolare, un loop quasi digitale: ha trasformato l’orrore del suo mondo – tradito dalla storia, bombardato da segnali contradditori, violento nella sua impotenza, isolato, claustrofobico e privo di vie d’uscita – ha trasformato questa specifica forma di orrore in una specifica forma d’arte d’avanguardia. Va persa la consolazione, ma si guadagna un nuovo tipo di mimesi, ruvida e spietata: Platone campionato mentre sta seduto sulla tazza del cesso.»

Ecco, questa mimesi «ruvida e spietata» è fatta anche di cazzi da infilare in «fighe infime» e quant’altro, fa parte delle sue modalità espressive, per quanto potenzialmente pericolose. Tuttavia non si può giudicare l’effetto di un contenuto artistico in base all’idiozia di qualche felino da tastiera, così come non si può pensare che ogni volo di linea abbia alla cloche Andreas Lubitz.
Resta però la curiosità di sapere quale rotta traccerà il compasso femminile del nostro rap e quanto potrà influire su alcune sue sfaccettature marcatamente maschili, quando non smaccatamente maschiliste.
Madame, Myss Keta, Beba & Co. potrebbero cantare in futuro di “cazzi da sbucciare” et similia, o  saranno in grado di sfruttare con maggiore arguzia questa inesauribile e meravigliosa forma di arte contemporanea.

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