È una notte di nuvole e stelle sotto una piovosa Napoli.Il rumore dell’acqua scandisce il silenzio.
In lontananza un vociare bianco e il suono delle risa raggiunge e accarezza le orecchie. Sembra una notte di controsensi. Di sogni e realtà. È una notte di mezza luna. È una notte di musica e vita. ‘Sembra Neverland’. Canta Mecna.
Sono le 20.30 circa quando arrivo alla Casa della Musica Federico I.
C’è già un bel po’ di gente accalcata sotto il palco. Facce giovani, e un pubblico per lo più femminile. Si respira un’aria di gioia e d’attesa. Emerge, dalle interviste pre concerto, un grande entusiasmo e una voglia di saltare e cantare. Tra le canzoni preferite “31/07” e “31/08” sono le più quotate. Grande affetto e attaccamento nei riguardi di Mecna, tanto che, il pubblico, sarebbe disposto ad ascoltarlo e seguirlo anche in casi estremi. In duetto con Albano o, addirittura, in seguito ad una X sulla scheda elettorale per Matteo Salvini.
Ridiamo, scherziamo insieme. Tra una birra ed una domanda al pubblico, incontriamo anche Drast degli Psicologi. Il gruppo indie-rap presente tra le collaborazioni dell’album Neverland di Mecna nell’omonima canzone..
Mecna entra sul palco fomentando la folla, in un gioco di luci ed ombre, fuori e dentro,voci e musiche alte e basse, che si scambieranno e mischieranno per tutto il concerto. Un’alternanza di controsensi e ossimori. Gli stessi ossimori contenuti proprio all’interno dell’album “Neverland”, il quinto lavoro dell’artista pugliese uscito nell’ottobre del 2019 Un album che vede come produttore Sick Luke, il producer della Dark Polo Gang, il quale ha dato alle tracce una nota pop-elettronica. Un connubio con i testi dalle sfumature malinconiche ai quali ci aveva già abituato Mecna, regala a chi si accosta a “Neverland” un viaggio tra continui up and down.
E la serata va proprio così. Tra momenti di salti e mani rivolte al cielo, ad altri perduti tra i propri pensieri e ricordi. Tra salite nella libertà dell’aria, a discese nella profondità del cuore. Tra poesia e dance. Lacrime e sorrisi.
In quell’isola che non c’è ch’è sogno, ma anche aspirazione a non abbandonare tutto quello che ci fa volare. A non perdere la forza d’immaginare, amare, nonostante la vita ci schiacci a terra con la sua realtà. A continuare a credere nella fantasia, nei desideri, in quel bambino che ci portiamo dentro, e che abbiamo bisogno ogni giorno di proteggere e prendere per mano.
Andiamo via così, sorridendo con gli occhi umidi. Chi Wendy, chi Peter Pan. Con la nostra Neverland dentro, ed i passi più vicini a quella seconda stella a destra.