Qui non si premiano “miglior outfit” o “tormentone dell’estate”, ma chi scrive, compone, pubblica. Autori ed editori: la parte invisibile della filiera, quella che sta dietro al ritornello che ti trovi in testa mentre lavi i piatti. I SIAE Music Awards nascono esattamente per questo: trasformare in riconoscimento pubblico ciò che, per il resto dell’anno, è solo report di consumo, statement di royalties, grafici che salgono e scendono negli uffici. La creatività qui non è uno slogan, è un dato di consumo.
A tenere insieme tutto questo ci sarà Amadeus, volto perfetto per una serata che parla alla tv generalista ma ragiona in termini da piattaforma: categorie per radio, streaming, social, club, locali live, colonne sonore, jazz, fino alle Recorded Track più suonate. Un mosaico che dice una cosa semplice: la musica italiana del 2025 non vive più in un solo posto, si sposta di continuo tra algoritmi, palchi piccoli, stadi e For You Page.
Le nomination sono una playlist generazionale travestita da tabella SIAE. Nei brani più streammati compaiono nomi che ormai sono infrastruttura pop: Annalisa, che con Sinceramente continua a dimostrare quanto una scrittura pop possa essere chirurgica e onnipresente; Instagram
Geolier, che porta il napoletano stabilmente al centro delle classifiche; Instagram
Lazza, che ha trasformato il rap in linguaggio emotivo di massa; Instagram
Angelina Mango, che con La noia ha mostrato quanto un pezzo possa nascere da Sanremo e vivere poi di vita propria tra social, radio e cuffiette. Instagram
Accanto a loro ci sono le traiettorie di chi esporta fuori dai confini: dalle hit da club come Freed from desire e I’m good (Blue) alle canzoni che continuano a girare nelle playlist globali. E poi i brani che funzionano soprattutto online, tra TikTok e Reels: Tuta Gold, L’ultima poesia, Sesso e samba. Il confine tra “canzone social” e “canzone radio” è sempre più sottile: cambia il primo luogo in cui esplode, non il numero di volte in cui la canti per sbaglio.
Il quadro si allarga con le colonne sonore: cinema, film tv, serie, piattaforme. Qui l’ego dell’artista lascia spazio alla macchina narrativa. È un altro modo di raccontare lo stesso fenomeno: la musica italiana vive ovunque ci sia una storia da raccontare, dal blockbuster internazionale a produzioni più locali. Allo stesso modo il jazz, con le sue categorie dedicate, ricorda che esiste ancora uno spazio per la scrittura complessa, per gli arrangiamenti che non inseguono lo skip ma l’ascolto lungo.
Sullo sfondo ci sono i premi live – concert, recital, under 35 – che fotografano dove si sposta il pubblico in carne e ossa. Non solo streaming, quindi: biglietti, venue, corpi stipati sottopalco. I SIAE Music Awards sono la prova che la misurazione dei consumi ha senso solo se poi torna in sala, davanti a un palco.
La sera del 22 novembre, al Superstudio, tutti questi numeri prenderanno forma in una cerimonia unica nel suo genere: molto istituzionale, certo, ma anche utile per capire chi sta davvero scrivendo la colonna sonora del paese. Niente storytelling salvifico, nessuna promessa che “la musica salverà il mondo”. Qui la musica, semplicemente, viene messa a verbale. E guardarla così, nuda e misurabile, è forse il modo più adulto di prenderla sul serio.









